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Dondero, la fotografia è un’arte semplice

Qual è il segreto del grande fotografo morto ieri a 87 anni? Come diceva lui, «il fatto che pur lavorando molto seriamente, non mi prendo troppo sul serio». In realtà è stato un grande. Come ha spiegato Giorgio Agamben

di Giuseppe Frangi

«Io ho non ho mai conosciuto la passione della fotografia come un fatto estetico a sé stante. A me ha interessato e interessa il reportage giornalistico, come chiave interpretativa della storia umana», si raccontava così Mario Dondero, il grande fotografo morto ieri a 87 anni.

Un fotografo anomalo, una voce eretica e dissonante in un mondo dominato dal narcisismo delle immagini. «Forse sono diverso per il fatto che pur lavorando molto seriamente, non mi prendo troppo sul serio», diceva di sé con una punta di ironia. «Si vive sempre più imbozzolati in se stessi. Si è troppo autocentrati e quindi disinteressati a quanto accade intorno. Per me è esattamente il contrario, da quel lontano 1951 in cui cominciai a fotografare».

Dondero non rappresenta il fotografo romantico “che non c’è più”. Rifiutava questa etichetta di eroe di un passato travolto dalla storia. Lui era ostinatamente convinto che la sua strada fosse quella giusta e quella che poteva garantire un futuro alla fotografia. «Ho sempre pensato a un racconto fotografico incentrato sull'osservazione di fatti minimali, su ciò che nella società rimane latente e deve essere riportato alla luce. In questo risiede il valore civile del nostro mestiere. Malgrado i giganteschi cambiamenti intervenuti». In effetti Dondero si è mosso con la stessa dimestichezza dai fronti di guerra, alle straordinarie immagini degli intellettuali che amava e stimava (Pasolini in primis), sino alle foto quotidiane, senza rilevanza di cronaca. La costante che unisce questi contesti così diversi sta in questa filosofia di Dondero: «Io inseguo sempre la variante».

In occasione della grande mostra che gli era stata dedicata a Roma lo scorso anno, Giorgio Agamben volle scrivere un breve saggio in catalogo. E nelle sue parole c’è tutta quella che potremmo chiamare “l’eccezione” Dondero. Ha scritto Agamben: «Mario ha espresso una volta una certa distanza rispetto a due fotografi che pure ammira, Cartier-Bresson e Sebastião Salgado. Nel primo egli vede un eccesso di costruzione geometrica, nel secondo un eccesso di perfezione estetica. A entrambi oppone la sua concezione del volto umano come una storia da raccontare o una geografia da esplorare. Nello stesso senso anche per me l’esigenza che ci interpella dalle fotografie non ha nulla di estetico. È, piuttosto, un’esigenza di redenzione»

Nella foto, un ritratto di Jean Seberg


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