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Se la speranza rinasce nel sottosuolo. Addio a Vladimir Makanin

La felicità è poca, spiega Dio a Kliucarev, il protagonista di un racconto di Vladimir Makanin, matematico e romanziere russo scomparso ieri all'età di ottant'anni. «La felicità è poca, prova a coprire otto persone con una coperta e chiediti: quanta ne tocca a ciascuno?»

di Marco Dotti

La felicità è poca, spiega Dio a Kliucarev, il protagonista di un racconto di Vladimir Makanin, matematico e romanziere russo scomparso ieri all'età di ottant'anni. «La felicità è poca, prova a coprire otto persone con una coperta e chiediti: quanta ne tocca a ciascuno?».

Nato a Orsk, fra gli Urali, il 13 aprile del 1937 Vladimir Semenovic Makanin studiò matematica all'Università Statale di Mosca. Il suo primo libro non fu un romanzo o un racconto, ma un saggio scientifico sulla teoria della programmazione pubblicato nel 1963.

Due anni dopo, l'esordio letterario con Linea retta. Fu allora che Makanin decise di affiancare allo studio della matematica quello del cinema iscrivendosi alla sezione "Sceneggiatura" dell'Istituto statale per la cinematografia.

Nei suoi racconti, osserva Daniela Di sora, editrice di Voland, che è stata fra le sue prime traduttrici (Un posto al sole, e/o, Roma 1988), ritroviamo queste due passioni, la matematica e la sceneggiatura: «l'ambientazione dei suoi racconti cittadini è quasi sempre in un milieu scientifico evidentemente autobiografico, e il montaggio degli episodi segue una logica cinematografica, visiva. Frammenti di scene che vanno rimontate secondo una tecnica filmica sono anche i racconti degli Urali, i monti della nostalgia e del rimpianto».

La perdita, il distacco, la malasorte degli uomini, la città, ma anche un'inedita, disincantata speranza: questi i grandi temi della narrativa di Makanin. Soprattutto in Underground. Ovvero un eroe del nostro tempo (Jaca book), il capolavoro maturo in cui Makanin descrive la stagione (1991-92) del passaggio fra comunismo e post-comunismo.

La città e i suoi rivoli, la sua dimensione tentacolare e la sua struttura da formicaio dove la storia sembra schiacciata dal peso della miserie e un'intera generazione è stata vinta dalla malasorte. Costretta a vivere nel sottosuolo. A Mosca, come altrove. Non è un caso se uno scrittore francese come Christian Garcin, in un suo interessantissimo romanzo-saggio, Le notti di Vladivostok (ObarraO, 2014) si sia servito proprio del lavoro di Makanin per "mappare il sottosuolo" di Vladivostok e New York, città nelle cui viscere vive (o vivrebbe: la realtà sconfina nel mito e viceversa) il cosiddetto tunnel people .

L'underground, scriveva Makanin, «è il subconscio della società, nel quale si elaborano e formano giudizi precisi. Giudizi che hanno la loro importanza. La loro influenza. Anche quando non emergono alla luce del giorno. (…) L'underground come una scorta – il vigile accompagnamento di Dio all'umanità in affanno». Ogni persona, reietta, derelitta, vinta trova o ritrova fra le pieghe oscure della vita quotidiana la propria unicità, il proprio inestinguibile valore. Di notte, è possibile incontrare angeli che il giorno trasformerà in demoni per questa umanità. Un'umanità la cui speranza rinasce, proprio là dove ogni speranza è stata consumata. Questa la lezione di Vladimin Makanin.


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