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Scontrini di coscienza

di Marco Dotti

Quando si afferma che i consumi sono in calo, si afferma una cosa ovvia ma dalle conseguenze per nulla evidenti. Oggi, basta guardare gli scontrini emessi da negozi e supermercati per capire che qualcosa non torna nel computo del ragionamento.

I consumi sono in calo con percentuali che variano, a seconda di chi le rileva, dal 1,5% al 3%. Eppure, dentro la curva della decrescita, qualcosa cresce in proporzione diretta e contraria: è il ricorso al junk food, un cibo che sazia, ma non nutre.

Chi prima spendeva 100, 150 euro in cibo per la “spesa grossa” del sabato, oggi ne spende 20, 30 se va bene e le cose cerca di farsele bastare. Sufficiente tutto questo per dire che che alla lunga la crisi dei consumi porterà, volenti o no, a maggior coscienza critica nei consumi stessi? Dubitiamo delle facili deduzioni. Tutto è terribilmente complicato, a questo mondo. Chiediamoci allora: che cosa comprano gli acquirenti del sabato – potenziali “consumatori critici” – con i loro 20, 30 euro?

Un amico, che lavora in un supermarket, mi segnala che quasi sempre nel carrello della spesa di queste persone finiscono prodotti ipercalorici. Sono buoni, chiosa un’altra amica. Rendono felici, osservano in coro i neurologi e uno di loro,David J. Linden ci ha pure scritto libri informati e divertenti (chi volesse approfondire, legga quanto meno il suo La bussola del piacere, Codice edizioni, Genova 2012). Linden ricorda che il junk food, come «lo shopping, l’orgasmo, il crack, la meditazione, l’esercizio fisico, l’oppio, (…) produce segnali neurali che convergono su un piccolo gruppo di aree cerebrali interconnesse. Ed è proprio qui, in questi piccoli ammassi di neuroni, che il piacere umano viene percepito».

Consumare junk food crea dunque dipendenza, desiderio e piacere. Che cosa sia, poi, il piacere è cosa alquanto complessa, visto che anche Freud avvertì difficoltà, definendolo solo in negativo: piacere è l’assenza di dispiacere. Oggi, in effettinessuno vuole stare meglio. Tutti cercano però di non stare peggio, di non rompere l’equilibrio piacere/dispiacere che in qualche modo permette loro di vivere alla giornata in un mondo che di loro, e delle loro giornate, non sa che farsene. Vivere alla giornata. Abbiamo alternative? Forse no, ma è esattamente quel “forse” ciò che porta acqua al sistema: persi nel dubbio siamo malleabili a ogni formuletta magica, e non possiamo essere in alcun modo d’intralcio al sistema stesso, che nulla teme fuorché le logiche di lunga durata. Per questo nessuno vuole davvero – né in alto, né in basso, tanto meno nel mezzo – cambiare le cose. Ecco dunque perché le “cose”, visto che nessuno ci si impegna davvero, diventano giorno dopo giorno terribilmente complesse. E non basta certo una caduta libera nei consumi, per attivare scontri o crisi di coscienza nei consumatori. Tutto è qui, la storia è finita diceva Francis Fukuyama, avete la democrazia, il diritto, il mercato. Paradise is now, e vi lamentata pure!

La storia è finita, come dire: niente passato, niente futuro, solo un orizzonte malleabile al mercato. E il mercato si è ridotto alla finanza delle calorie, spread come indici glicemici, tassi di colesterolo e di crescita, transaminasi che sballano a ogni microrilevazione di Borsa….

C’è una logica della caloria che pervade ogni cosa. Una logica, che in tempi di vacche grasse serviva per alimentare la retorica della dieta e del benessere, mentre ora, in tempi di magra, ritorna come una formula  rovesciata: se abbiamo bisogno di 1500 calorie giornaliere, mi compro barrette e scatolette, insomma qualcosa che basti a soddisfare i numeri e magari provo persino piacere nell’alimentarmi così (caso Kebab & Hamburger, studiati da decenni). In fondo, però, è una riduzione in scala famigliare – una mise en abyme, la chiamerebbero linguisti e critici – del processo di austerità montiana a cui assistiamo increduli e impotenti da alcuni mesi a questa parte. C’è da sospettare che anche lui e i suoi ministri, in qualche modo, provino piaceri simili a quelli descritti da Linden, nel somministrarsi e somministrare calorie che non nutrono a se stessi e al prossimo. Ma in fondo, anche Monti & Co. sono un sintomo di qualcosa di più profondo, junk food economico. C’è un calo di senso generale, ma questo, come nel caso dei consumi, non porterà ad alcuna presa di coscienza. Siamo passati dallo scontro allo scontrino di classe. Ma presto finirà anche la garanzia di relativa quiete offerta da questa fase.

La ricchezza rende spesso infelici, e la povertà non è mai stata di per sé sinonimo di infelicità. Ma la miseria è cosa ben diversa dalla povertà e persino dalla ricchezza: è casomai uno stato di pressione bassa del cuore e di indigenza dell’anima. Ecco perché la coscienza critica deve essere “simulata”: per non vedere l’ulcera nera che corrode quell’anima e quel cuore e che nessun indice dei consumi riuscirà mai a registrare. Cose “verdi”, cose “pulite”, cose “buone”, fatte “come una volta” sono lì, sugli scaffali, pronte per essere comprate consumate, appannaggio però di chi se la può permettere e, con esse, può illudersidi potersi dedicare a  una scelta non vincolata dalla necessità. Può illudersi di comprarsi un’anima e un cuore che ha mandato all’ammasso molti anni fa. La cosiddetta “Fat Tax”, la tassa sul cibo spazzatura a più riprese proposta dal Governo Monti, colpendo ad alzo zero in questo marasma di pulsioni, necessità materiali, piacere, simulazioni e desiderio mostra una coscienza involontaria del problema: ma è una coscienza nera, ipocrita, di un cinismo altrettanto involontario e beffardo. Tanto più involontario, quanto più bieco perché condotto attraverso angeli vuoti – portatori di un messaggio zero, magari brave persone, umili persino, che non si rendono conto di partecipare a un’immensa opera di avvelenamento dei pozzi. La “Fat tax” tocca il centro oscuro ma ipersensibile del nostro vivere civile: stiamo insieme perché consumiamo? Siamo in quanto consumiamo? Siamo ciò che consumiamo? Quale politica per la nostra carne? Già, consumare, consumare, ancora consumare e non produrre nulla. Fino a quando non si consumerà nemmeno più e moriremo di un’anoressia del pensiero. Se le cose stanno così – e per ora avanzo il dubbio che stiano proprio così – il nostro sarà un futuro senza opere, né giorni.

PS:

Cor ne edito, non divorarti il cuore – diceva Pitagora. E l’amico, ricordava Bacone in uno dei suoi saggi, è proprio colui che ti aiuta a non divorarti il cuore. Se in qualcosa possiamo sperare è proprio in una politica dell’amicizia contr l’impolitica del consumo. Oltre il consumo degli altri, che è poi  il consumo di sé.


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