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Gaetano Giunta

Le ricomposizioni armoniche contro le disuguaglianze economiche e sociali

di Gilda Sciortino

La valorizzazione in chiave contemporanea, tecnologica e produttiva di saperi locali tradizionali, l’economia circolare, green e sostenibile e la finanza etica. Sono i tre focus che la "Fondazione di Comunità di Messina" approfondirà durante i lavori che celebreranno i suoi primi 10 anni di vita. Un’occasione per spiegare come si possano ottenere così grandi benefici per la comunità. Ne parliamo con il presidente, Gaetano Giunta, guardando insieme ai prossimi dieci anni di vita di questa realtà dal respiro internazionale

È con l’Horcynus Lab Festival, in programma sino al 10 ottobre, che la Fondazione di Comunità di Messina celebra i suoi primi 10 anni di vita, alzando contestualmente l’asticella. Il bilancio del primo decennio di attività, infatti, sarà seguito dalla presentazione del nuovo Piano Strategico della Fondazione, che guarderà allo sviluppo sostenibile ed equo dei territori e delle periferie, non solo urbane.

Un percorso che tiene sempre ben presente il valore della bellezza, quello che nasce anche dal creare sistemi, connessioni, progetti, politiche virtuosi: solidali, sostenibili, etici, green, equi, produttivi.

Un viaggio ricco, entusiasmante, ma anche tanto faticoso, quello di cui ci racconta Gaetano Giunta, fisico teorico, presidente della "Fondazione di Comunità di Messina".

La Fondazione è una realtà certamente diversa da tante altre. In cosa si differenzia ?

La "Fondazione di Comunità di Messina" è una fondazione erogativa piuttosto anomala perché eroga una policy di sviluppo sostenibile sui territori e lo fa provando a costruire correlazioni tra sistema produttivo e sistema di welfare, sistema culturale e sistema educativo, azioni di ricerca e sviluppo anche tecnologiche, capacità di attrarre talenti creativi e scientifici, programmi di riqualificazione urbana con le social capability dei territori. Nei primi 10 anni sono state 7 le aree territoriali rigenerate, oltre 150 le imprese accompagnate a nascere o a svilupparsi, oltre 400 i posti di lavoro creati e migliaia i ragazzi che partecipano ad attività nelle nostre polarità spaziali. Moltissimi, poi, i programmi di ricerca e sviluppo che hanno creato prototipi e brevetti anche con fondazioni di ricerca di tutta Europa, per esempio americani, così come sono tantissime le produzioni culturali di cui potremmo parlare.

Il Piano Strategico della Fondazione che guarda al prossimo decennio avrà una sua continuità con il passato?

Certamente. Due fondamentalmente gli obiettivi: continuare a promuovere e fare evolvere, quasi con una logica di accrescimento biologico, i sistemi socio economici che in questi anni sono nati, sostenendo l’attuazione di processi di generazione urbana che la Fondazione ha costruito e determinato; espandere la propria attività e promuovere in un secondo tempo cluster di altri sistemi socio economici non solo della vasta area dello Stretto di Messina, nostro principale focus, ma anche della sponda sud del Mediterraneo. La logica che seguirà è quella che ci porterà a utilizzare le infrastrutture territoriali che valorizzano il patrimonio immobiliare acquisito in questi anni dalla Fondazione, realizzando quella rete che chiamiamo "Parchi della Bellezza e della Scienza", ciascuno dei quali sarà tematicamente declinato a seconda delle vocazioni del territorio e delle comunità locali. Il tutto, ruotando attorno adue grandi snodi che sono il contrastare le disuguaglianze e il contrastare i processi di mutamento climatico. Tutti i Parchi vivranno di una osmosi continua tra ricerca scientifica , territorio e comunità, avendo come obiettivo l’ essere, da una parte polarità educativa e di divulgazione scientifico culturale, dall’altra luoghi di promozione di nuovi sistemi socio economici che sostengono lo sviluppo di quelli già esistenti e di processi di metamorfosi urbana, sociale e culturale dei territori più ampi in cui sono inseriti.

Si parlava di altre aree del Bacino del Mediterraneo. Quali in particolare?

Le aree su cui stiamo ragionando sono quelle della Tunisia perchè delle Primavere araba è quella che più di altre è riuscita a consolidare, anche se ancora tenera e fragile, una democrazia; poi il Marocco, quindi un’area al confine tra Israele e Palestina. In questi anni la Fondazione ha sostenuto programmi di cooperazione culturale e scientifica tra le due sponde. Abbiamo parecchi riferimenti in ambito economico e solidale, nella finanzia etica, nell’arte contemporanea e nella cinematografia, quindi la nostra idea è partire da queste relazioni già costruite per provare a condensare dei sistemi socio economici permanenti che possano essere trasformativi.

Tutto questo cosa vuol dire nel quotidiano? Nel senso, le azioni che si andranno a realizzare sul territorio, di che genere saranno?

Da un punto vista operativo la policy della Fondazione è strutturata in due assi: da una parte promuovere sistemi socio economici, il che vuol dire collegare sviluppo ad assist strategici di economie che nascono dalla transizione ecologica, una grande opportunità per generare nuova economia; dall’altra parte, ripensare il welfare come progetti personalizzati che aiutano le persone a sapere riconosce le nuove opportunità che vengono generate dalle azioni di questi sistemi e le aiutano a scegliere ciò che è più funzionale a fare vivere loro la vita che veramente vorrebbero vivere. Questo significa trasformare le opportunità in libertà esistenziali perchè le occasioni, per le persone con minori stabilità culturali e sociali che non sempre sanno verbalizzare i loro bisogni e desideri, non sono percepite come libertà. Questi due pilastri, generare alternative e accompagnare le persone, costituiscono la modalità operativa con cui la Fondazione agisce attraverso i suoi programmi urbami e ed extraurbani.

L’azione che la Fondazione compie è anche molto pratica. C’è un target specifico a cui si rivolge?

Intanto la Fondazione si rivolge alla comunità nel suo complesso. Faccio l’esempio della Baraccopoli di Messina dove abitano oltre2mila persone come in nessun’altra città dell’Occidente. Abbiamo sperimentato prima in proprio e poi abbiamo calatoqueste sperimentazioni all’interno del Programma Nazionale delle Riqualificazioni delle Periferie Urbane. Ciò ha permesso a circa 650 persone di uscire dalla baraccopoli, di andare a vivere in case scelte senza costruire nuovo cemento, valorizzando il patrimonio immobiliare esistente. Poco meno della metà è andata ad abitare in un casa di proprietà. Siamo riusciti a realizzare il più grande programma di redistribuzione di ricchezza mai avuto dal dopoguerra a oggi.

Per concludere, qual è la ricetta che sta alla base di questi risultati?

Diciamo che stiamo sperimentando in maniera esplicita l’applicazione di teorie della complessità. Valorizzando le competenze specifiche, rispettiamo l’autonomia epistemologica statutaria di ciascuna disciplina, ma abbiamo l’ umiltà e il desiderio di costruire ricomposizioni armoniche. È’ quello che genera ciò che siamo riusciti a costruire in questi anni.


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