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Morti bianche

Sicurezza sul lavoro, l’unico spread di cui ci dovremmo preoccupare

Il presidente di Mcl, Alfonso Luzzi, ricorda che in Germania, col 20% di lavoratori in più e un paese con un popolazione di 80 milioni, si registrano solo 400 morti all'anno: un terzo di quelle italiani. E spiega cosa manca all'Italia: un'unica agenzia nazionale che centralizzi attività di ispettorato, formazione dei lavoratori, consulenza alle aziende. Un ruolo che, per efficienza e risorse, potrebbe svolgere l'Inail. Intervista

di Giampaolo Cerri

Con Alfonso Luzzi, presidente da marzo il Movimento cristiano lavoratori – Mcl, avevamo fissato un’intervista per raccontare del suo nuovo ruolo e di quello che vuol costruire insieme agli oltre 320mila associati a questa realtà cattolica con mezzo secolo di storia (nacque nel 1972) ma la notizia della tragedia di Casteldaccia (Palermo) dove, poche ore fa, cinque operai sono morti per le esalazioni mentre lavoravano a una fognatura e un sesto versa in gravi condizioni, ha cambiato i programmi. L’urgenza drammatica delle cronache ha suggerito di accantonare i ragionamenti di prospettiva e stare su uno dei temi che era già comunque sul tavolo: questa lunga e apparentemente inarrestabile teoria di morti.

Presidente lei era appena insediato che sull’Appennino bolognese, a Suviana, ci fu la strage della centrale Enel. Ora queste notizie, terribili, dalla Sicilia…

Credo che non ci si abitui mai a leggere queste notizie, purtroppo anche stavolta con numeri spaventosi. Non ci si abitua mai, anche se la ricorrenza è tale da essere scioccante: ormai non passa settimana che non ci troviamo con delle stragi di tre, quattro, cinque persone. Non facciamo in tempo ad asciugarsi gli occhi per ciò che abbiamo visto nel Bolognese che adesso ci troviamo con questa ennesima strage nel Palermitano. Errore umano? Cedimento strutturale? Penso che cambi poco. Penso i problemi siano proprio legati all’organizzazione del lavoro.

In che senso, presidente?

A noi di Mcl non piace dare i dati, soprattutto in queste circostanze ma in Germania, con un numero di lavoratori di circa il 20% superiore a quelli italiani, a una popolazione di oltre 80 milioni di abitanti, l’anno scorso i morti sul lavoro sono stati poco più di 400, che sono un terzo rispetto a quelli che abbiamo in Italia, costantemente ormai negli ultimi anni, anzi soprattutto negli ultimi anni. E ci deve essere un motivo per cui la differenza è così forte.

Perché, quasta differenza?

Non perché in Italia non ci sia una legge adeguata. La nostra legge sulla sicurezza sul lavoro, il Dgls 81/2008, il Testo unico sulla sicurezza del lavoro, è una delle norme più serie che ci siano in Europa. E da sempre che è così è stata innovativa, è quella che ha introdotto gli infortuni in itinere.

E dunque?

E dunque, oltre la norma, ci vogliono dei sistemi attuativi che consentano di garantire una maggiore sicurezza sul campo.

Che cosa lo impedisce?

C’è, forse un problema di carattere economico ma legato alla necessità di intendere diversamente il lavoro. Che innanzitutto la sicurezza non può essere un costo: Governo, aziende e parti sociali la devono intendere come un investimento e non un costo.

Cominciamo dalle aziende, Luzzi.

Le imprese devono cominciare a capire che devono applicare dei modelli organizzativi e gestionali sulla sicurezza del lavoro, imporli se del caso. Il Governo potrà agevolarne l’introduzione, anche attraverso delle forme di detassazione e quindi di credito d’imposta, ma l’adozione di modelli gestionali di sicurezza sul lavoro, che diano delle garanzie in merito al percorso non sono rinviabili.

In che cosa si tradurrebbe, operativamente?

Ci vuole consapevolezza di chi fa cosa, di quali sono le responsabilità, di quali sono le procedure che sono state adottate e per questo ci vuole un progetto economico e industriale che tratti la sicurezza come una qualunque altra fase dell’organizzazione imprenditoriale, da agevolare, ripeto, col credito di imposta ma non basta. Ci vuole la formazione, lo sappiamo, e ci vuole il controllo.

Alfonso Luzzi, da marzo è il presidente nazionale di Mcl

Presidente ma queste attività non ci sono?

Sì, ma sono frazionate fra diversi enti. Ci vuole un soggetto unico, un polo unico. che abbia il controllo completo della sicurezza in ognuno di questi aspetti. Guardi, sono contrario alle procure del lavoro, sono contrario a legificare ancora…

Che pare la medicina italiana: leggi e nuove pene, più carcere per tutti.

Non credo che introdurre il reato di “omicidio del lavoro” sia il modo di risolvere i problemi, mi pare solo una risposta, un po’ populista, a un problema grande, che avvertiamo come drammatico…

Ma?

Ma non credo che risolverebbe. Risolverebbe invece riportare a unità, dentro un’unica agenzia, per esempio chi si occupi di consulenza alle piccole imprese, chi si occupi del controllo, del monitoraggio dei sistemi. Costruiamo un’agenzia unica che, a 360°, si occupi di sicurezza.

Non potrebbe essere lo stesso Inail che cura solo gli aspetti assicurativi?

Guardi in Italia, in un Paese dove la Pubblica amministrazione spesso è in sofferenza, un istituto che funziona davvero molto bene è proprio l’Inail. Il mio lavoro, la mia professione, è quella di guidare, da direttore generale, un ente di patronato come il Sias-Mcl, quindi conosco le criticità e le buone cose dei varie realtà pubbliche. Bene, l’Inail è davvero una assoluta di eccellenza. E lo vediamo anche dei numeri e dei risultati di bilancio che gestisce. Credo accada per le professionalità che ha al suo interno, per la conoscenza complessiva del quadro attuale e futuro. Potrebbe essere benissimo un soggetto che può accorpare tutto al suo interno.

Non mancherebbero neppure le risorse perché, voi e le altre organizzazioni lo ricordate spesso, c’è un avanzo di gestione consistente.

Assolutamente. E, per tornare alla Germania…

Torniamoci.

Non hanno la normativa sulla sicurezza generale come la nostra ma i sistemi di controllo sono molto importanti e sono quelli che garantiscono formazione e monitoraggio consentendo, quel che più conta, di avere questi numeri nettamente più bassi rispetto che noi.

Uno spread tragicamente vero. Dove sbagliamo noi?

Le rispondo richiamando la vicenda del reddito di cittadinanza.

In che senso, presidente?

Nel senso che in Italia abbiamo introdotto questa bella norma e l’abbiamo fatta applicare, complessivamente, al massimo da 10mila ispettori, compresi i navigator. E infatti il caos è stato drammatico. In Germania il controllo dei redditi di cittadinanza avviene con una struttura burocratica amministrativa del Paese di oltre 80mila persone e infatti le truffe sono pochissime.

Che lezione dobbiamo trarne, Luzzi?

Che se noi continuiamo ogni volta a ridurre i costi per a ridurre la strutturazione del nostro Paese, dell’organico della Pubblica amministrazione in determinati settori perché, si dice, “non ci sono risorse”, poi è difficile che possiamo non andare a piangere quando ci troviamo di fronte a situazioni.

E dunque, che c’è da fare e fare in fretta, mi par di capire.

Sì perché, oltre al dramma, in questi casi la tragedia, degli infortuni mortali, c’è il tema dele malattie causate dal lavoro, oltre 7mila ogni anno. E ci sono le malattie che porterà il cambiamento radicale che sta investendo il mercato del lavoro: pensiamo ai rischi professionali che deriveranno, solo per citarne alcuni, dallo smart-working.

Ma come? Sembrava l’Eldorado dei lavoratori?

Sì ma da quel nuovo modo di lavorare potranno derivare anche molestie psicologiche e sessuali, ci sarà un ruolo più pervasivo dell’intelligenza artificiale, un maggiore confusione tra vita privata e vita lavorativa, con un forte rischio di disturbi psichici e comportamentali che potranno derivarne. Sono settori nei quali bisogna intervenire da subito per non pagarne il danno tra 30 anni. Pensando anche ai benefici che ne avrà il nostro welfare.

Nella foto di apetura, di Alberto Lo Bianco per LaPresse, i familiari delle cinque vittime, accorsi sul luogo della strage di Casteldaccia (Palermo).


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