Dipendenze

Io, primo assessore al contrasto delle dipendenze patologiche

di Gilda Sciortino

Un assessorato alle dipendenze patologiche che cerchi di fare capire alla politica che bisogna conoscere il territorio, soprattutto quello in cui le fragilità nascono e si alimentano, portando i giovani a fare uso di sostanze stupefacenti. L'ha voluto e lo sta guidando al Comune di Bagheria, in provincia di Palermo, Biagio Sciortino, forte della grande esperienza con la comunità "Casa dei Giovani" e con Intercear, il coordinamento nazionale dei coordinamenti regionali per le dipendenze

Quando la politica esce dai palazzi e scende nel territorio, il punto di vista, non ci sono dubbi, cambia e ci si accorge che inclusione, fragilità, dipendenze, disagio diventano termini che hanno a che vedere con la persona e la sua individualità, ciò che distingue l’uno dall’altro e non può consentire interventi fotocopia in base a protocolli che partono da altri presupposti.

Su queste basi ha deciso di fondare il suo impegno Biagio Scortino, al momento primo assessore del nostro Paese con delega al Contrasto delle dipendenze patologiche e delle fragilità del Comune di Bagheria, in provincia di Palermo,  la cui esperienza sul campo l’ha fatta e la porta avanti quotidianamente lavorando da anni alla Casa dei Giovani, comunità terapeutica fondata da Padre Lo Bue, dove è oggi direttore, ma anche come presidente nazionale di Intercear, il Coordinamento nazionale dei coordinamenti regionali che operano nel campo dei trattamenti delle dipendenze.

I Comuni solitamente si occupano di disagio giovanile e dipendenze. In cosa si differenzia il suo assessorato?

Molto spesso le dipendenze sono curate dall’area dei servizi sociali e degli assessorati alla Famiglia, per esempio quando si ha a che fare con l’adolescenza. Noi, invece, abbiamo separato le competenze, inglobandole in un assessorato specifico che si occupasse di fragilità, proprio quelle causate anche dall’uso e abuso di sostsnze stupefacenti. Avevamo bisogno che la politica entrasse dentro il contrasto delle dipendenze, non solo quelle legate alle sostanze, ma anche quelle comportamentali e affettive.

Siete, però, partiti dall’analisi del fenomeno e anche del territorio?

Siamo in un periodo di uso smodato,  per esempio di cannabis, ma pure di alcool abbinato. Già a 14 anni, poi, cominciamo a parlare di crack, quindi la situazione è particolarmente allarmante in questo senso. Quello che noi registriamo come dati, però, sono solo la punta dell’iceberg, non sono quelli reali, infatti li consideriamo ma non partendo da essi. Trattiamo anche casi di fragilità affettiva, di abuso, di dipendenza da Internet, da porno addiction. Tutto quello che potrebbe diventare una cosa banale, invece, diventa straordinaria e deflagrante in un ragazzo di 13, 14 e 15 anni, a partire anche dalla disfunzione alimentare e dal bullismo.

Fondamentale la sinergia, non solo quella tra operatori sociali

Devo dire che sto trovando una grande apertura, una grande disponibilità, una grande preparazione nelle forze dell’ordine. Parlo di Carabinieri, di Polizia, della Finanza che ci chiamano per interventi, per aiutare qualcuno, per chiederci consigli su cosa si può fare. C’è un’attivazione “umanizzante” del tessuto sociale, che non porta a vedere il problema soltanto come reato, ma quale azione globale nella relazione sociale del territorio.

Lei parla spesso di povertà delle periferie. A cosa si riferisce?

Quando parlo di povertà delle periferie, non mi riferisco alla povertà che si anima ai bordi delle città, ma a quella umana, quella che riguarda tutte quelle persone che soffrono in silenzio e che non hanno una visibilità, una dignità o anche un pari trattamento.  Persone che non possono esprimere, non possono rendere visibile il loro dolore, la loro sofferenza e la loro drammaticità. Questo le fa diventare periferie. Penso sempre a quel che diceva Papa Francesco: “Voi siete il centro della città, quindi le periferie vanno portate al centro”. Non portiamo, dico io, il disagio dentro la città, ma rendiamolo visibile prendendocene cura. Questo è la mia mission da sempre e lo vorrò fare finché posso e finché potrò, perché ritengo che la sofferenza e la fragilità appartengano a un sistema sociale, a un sistema urbano, appartengono a tutta la società. Non possiamo sentirci non responsabili e non possiamo girarci dall’altra parte.

Ma torniamo al tema della dipendenza da droghe. Lei sottolinea la necessità di porre attenzione alla persona e non alla specifica sostanza

Oggi si parla di dipendenza da sostanze senza trovare una soluzione immediata perché le droghe sono innumnerevoili e sul mercato ne arrivano di continue. Cotinueremo a fallire se puntiamo i riflettori su di esse. Dobbiamo partire da un’educazione alla cultura dell’ascolto, alla cultura dell’accudimento, della sensibilizzazione verso l’altro.  Se io domani porto avanti un corso di specializzazione non sul crack, ma su qualunque altra sostanza, saremo tutti concentrati su di esso, dimenticando che, dietro alla sostanza, c’è una persona, un ragazzo che soffre, ma anche una persona grande che patisce. Lo dico perché la sofferenza è trasversale, non conosce età. Io l’altro giorno ho ricevuto la telefonata di una figlia che chiedeva aiuto per la mamma di oltre 60 anni che da tantissimi anni faceva uso di cocaina. Solo per fare un esempio e farvi capire.

Quanto si sente dire che il problema è grande e non è facile fare qualcosa?

Questo vuol dire girarsi all’altra parte, vuol dire negare l’evidente sofferenza della società. Dobbiamo concentrarci su quello che noi possiamo fare dal punto di vista sociale, assumendoci le responsabilità di una società che non fa niente per l’altro o che non struttura interventi per l’altro. Diventa strategico pensarla, invece, diversamente.

Il suo assessorato ha dimostrato di volere stare sul territorio con azioni concrete

Noi abbiamo pensato di potere identificarci anche attraverso lo sportello dedicato a Don Peppe Diana. Si tratta del “Centro Don Milani”, all’interno del quale si è rafforzata la collaborazione con la comunità “Casa dei Giovani”, attivando un numero riservato anomino, il 349.9772081, operativo h 24, per chiedere aiuto in caso di dipendenze. Un riferimento per famiglie, per ragazzi che vivono nelle fragilità, anche quelle che non fanno strettamente riferimento alle dipendenze da sostanze stupefacenti. Tutto questo, all’interno di un bene confiscato, simbolo di lotta alla mafia, perché ricordiamolo che Cosa nostra con le sostanze ci sguazza e ci cresce.

Un percorso che si incontra con il suo impegno attraverso altre deleghe

Mi occupo anche di contrasto alla mafia, beni confiscati, gestione della cultura della legalità e di Patrimonio. Ritenevamo opportuno utilizzare anche quei beni non soltanto provenienti dalla confisca, che già gestisco e sto rimettendo in ordine, ma anche e soprattutto quelli comunali che molto spesso neanche si sa che esistono, utilizzandoli al meglio rifunzionalizzati. Significa renderli fruibili alle associazioni, a coloro che fanno attività di sensibilizzazione, per noi diventa fondamentale nel contrasto alle dipendenze e alle marginalità. Sulla porta della stanza dove ha sede lo sportello c’è un’iscrizione, “Per amore del mio popolo non tacerò”, che è una frase biblica, ma racchiude l’emblema di una lettera che Don Peppe Diana scrisse come atto di accusa nei confronti della camorra organizzata perché distruggeva i giovani con l’uso delle sostanze.

Giovani che vengono sempre più coinvolti in azioni violente, stigmatizzando anche i luoghi da cui provengono come se fossero serbatoi di criminalità organizzata dalla quale non si può sfuggire

Bagheria è un Comune dove abbiamo trovato anche in quartieri normali aggregazioni di ragazzi con bossoli di pistola a salve, ma che sono prodomici a quello che è successo a Monreale. Che non è soltanto il modo di essere forti andando a sparare all’impazzata, ma una modalità mafiosa, la modalità malata di ragazzi che magari hanno altre fragilità. Fragilità dove la cultura, la subcultura mafiosa ha innestato un sistema che regola i conti da sé. Quello che è successo a Monreale può succedere a Bagheria, a Canicattì, a Santa Flavia, può succedere ovunque.

Non è, quindi, più un problema di territorio

Ormai non possiamo parlare di posti dove non ci siano sostanze, di posti dove non ci sia la fragilità adolescenziale o la fragilità in genere. Usciamo da questi limiti. Ci sono anche persone di 30-40 anni con le loro fragilità che esplodono solo perchè qualcuno, in mezzo al traffico, ha alzato la voce. Perchè accadono cose come quelle di Monreale? Perché la società non è stata matura, non è stata protettiva, o meglio, la società non si assume le responsabilità di avere fatto crescere delle persone, dei ragazzi, degli adolescenti, senza avere la capacità di gestirli. Dobbiamo interrogarci anche noi come educatori, come genitori, come politici, come famiglie, su come abbiamo fatto crescere questi ragazzi che non gestiscono i no, che non gestiscono la frustrazione.

Quanto serve l’azione politica, magari a partire proprio dalla sua?

Serve, certo che serve. Dovremmo, però, tornare ad avere un pensiero sui quartieri, dividere le città in quartieri, intervenire con lo psicologo di quartiere che sa che al civico 24 ci abita quella famiglia e ogni tanto la va a trovare per chiedere: “È tutto a posto? Cosa posso fare?“. Questa è per me la prevenzione. Prevenzione è presenza, cura, attenzione. Concetti basilari che dovrebbero fare parte della vita di tutti noi.

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