Idee Educazione
Scuola e intelligenza artificiale: più che linee guida, servono comunità vive
L'intelligenza artificiale, quest'anno, a scuola nessuno potrà più ignorarla. La discussione però non può limitarsi al problema del “chi ha copiato da dove”. Parlare di intelligenza artificiale a scuola è una trasformazione radicale del contesto, che pone due domande cruciali: come cambia il ruolo dell'insegnante e quali sono le condizioni di sistema che permettono di implementare questo cambiamento. E per rispondervi, più che delle linee guida contano le comunità di pratiche. Per questo l'IA è una sfida da cui nessuno può chiamarsi fuori
di Luca Solesin

In questi giorni, circa 7 milioni di studenti e studentesse e quasi 800mila docenti e operatori riprendono la scuola. Tornano i trasporti scolastici, riaprono le mense, ripartono i corsi pomeridiani. Più di mezza Italia è coinvolta in questa giostra ed è proprio questo il momento giusto per riflettere su alcune sfide decisive per il nostro sistema educativo.
Quest’anno “intelligenza artificiale e scuola” è senza dubbio tra gli argomenti obbligati. Penso però che sia necessario ampliare lo spazio di ragionamento e dialogo portandolo fuori dai dibattiti tecnici o politici, evitando contrapposizioni ideologiche, al fine di costruire delle strade di sperimentazione quanto più possibile diffuse ed efficaci.
Ormai l’IA e la scuola non sono più un tema di nicchia. Sia a livello nazionale che internazionale il dibattito è acceso: dall’Unesco all’Oecd fino alla Commissione Europea, sono numerosi i framework, i regolamenti e i contributi di ricerca riguardanti l’Intelligenza Artificiale nelle scuole e il suo uso. Questo perché ormai è chiaro che l’IA ha carattere dirompente in tutti i settori, portando con sé rischi e opportunità multidimensionali (dalla pedagogia alla didattica, dai processi organizzativi alla valutazione) che non possono essere ignorati.
Due documenti che danno il frame
Recentemente ad alimentare il dibattito sono arrivati anche due documenti importanti. Settimana scorsa, l’Unesco ha ospitato a Parigi la nuova edizione della Digital Learning Week in cui è stata presentata la pubblicazione AI and the future of education. Disruptions, dilemmas and directions da cui emerge come l’IA stia «ridefinendo pedagogie, curricula e governance educativa, e sollevando interrogativi cruciali su equità, etica e ruolo dell’essere umano». Parlare di intelligenza artificiale a scuola è una trasformazione radicale del contesto in cui lavoriamo e viviamo e non significa discutere se usare o meno un chatbot, né ridurre tutto al problema del “chi ha copiato da dove”. Significa fare i conti con domande complesse: come garantire equità e inclusione? Come evitare bias e discriminazioni? Quale spazio dare alla creatività e al pensiero critico quando alcune operazioni possono essere delegate a una macchina? Sono interrogativi pedagogici, certo, ma anche politici, organizzativi, etici. Insomma, quest’anno non basta sperimentare ChatGPT in classe in maniera episodica.
Parlare di intelligenza artificiale a scuola è una trasformazione radicale del contesto in cui lavoriamo e viviamo. Non significa discutere se usare o meno un chatbot, né ridurre tutto al problema del “chi ha copiato da dove”
Come paese non siamo stati a guardare. È passato quasi inosservato, complice la fine dell’estate, ma verso la fine di agosto il ministero dell’Istruzione e del Merito ha pubblicato le Linee guida per l’introduzione dell’intelligenza artificiale nelle scuole. Lo scopo dichiarato delle linee guida è quello di provare a fissare principi e direzioni: centralità della persona, equità, innovazione etica, sostenibilità, tutela dei diritti. In altre parole, un tentativo di orientare l’uso dell’IA verso una scuola capace di innovarsi senza perdere la propria missione educativa. Il documento ha trovato detrattori e sostenitori, da chi lo vede come un passo necessario a chi lo giudica troppo astratto, distante dalla pratica quotidiana delle scuole. Tuttavia, come spesso accade, le comunità educanti nel loro agire innovativo sono più avanti del decision-maker.

Le comunità educanti? Sono già più avanti
In questi anni, infatti, nonostante grandi fatiche e resistenze, le comunità educanti hanno dimostrato capacità di resilienza e innovazione (si veda il lavoro sulla mappatura dell’innovazione svolto nel 2023/4). Indire ha avviato una rete di sperimentazioni; l’Istituto Comprensivo 3 di Modena porta avanti da anni “Lucy”, la scuola di intelligenza artificiale per ragazzi; l’Isis Europa di Pomigliano d’Arco ha elaborato un “Manifesto” che invita a considerare l’IA un’occasione di innovazione, non una minaccia. Anche la società civile è in campo, con esperienze come Casco Learning, a Parma, che supporta docenti e dirigenti nell’esplorazione di nuovi approcci pedagogici che uniscono IA e neuroscienze.
Il ruolo dei docenti: un nodo che ritorna
In linea teorica è tutto chiaro: “L’IA c’è e dobbiamo farci i conti”. Ok, ma concretamente su cosa dobbiamo discutere e cosa dobbiamo fare? Fra le molte opzioni, credo ce ne siano due che rimangono centrali. Una culturale e una sistemica.
Ogni volta che una tecnologia entra a scuola, ci ritroviamo davanti alla stessa questione: come deve trasformarsi il ruolo dei docenti? È stato così con la calcolatrice, con Wikipedia, con le Lim, con l’arrivo del registro elettronico, con la diffusione delle piattaforme digitali, con il Covid e la didattica digitale integrata… Nulla di nuovo, dunque. Eppure la domanda rimane centrale, perché il modo in cui le comunità educanti immaginano la figura dell’insegnante è il presupposto per qualunque trasformazione. Non è un caso che il Vision Statement del Segretario Generale delle Nazioni Unite sul Transforming Education Summit del 2022 richiami con forza la necessità di permettere ai docenti di trasformarsi e diventare agenti di cambiamento. Non semplici esecutori di programmi, ma protagonisti attivi di un rinnovamento educativo e sociale che non può essere delegato agli strumenti.
Urge riflettere sulle condizioni di sistema che rendono possibile il cambiamento del ruolo del docente. Non basta scrivere delle buone linee guida
Conseguentemente a questa riflessione culturale sull’AI, urge quindi riflettere sulle condizioni di sistema che rendono possibile questo cambiamento. Perché non basta scrivere buone linee guida. La domanda vera è: quali spazi, quali tempi, quali risorse, quali incentivi, quali comunità di pratica rendono i docenti liberi di a) ripensare se stessi e il loro lavoro, b) implementare i cambiamenti necessari sulla base di un nuovo ruolo? Come sostenere processi di collaborazione che devono essere al centro di una professione insegnante sempre più collettiva e dialogica? Come sostenere gli sforzi di aggiornamento professionale continuo e di qualità di circa 800mila persone, come il Summit Globale sugli Insegnanti conclusosi a fine agosto a Santiago ci ricorda?
Non linee guida, ma comunità vive
Non possiamo ridurre il dibattito sull’IA ad un discorso di nicchia, tecnico, ideologico e neppure basta ridurre la questione ad un elenco di rischi e opportunità. È piuttosto un’occasione di sperimentazione e di confronto con i limiti di sistema. L’IA rende evidente che le risposte devono nascere dentro le comunità scolastiche, con il coinvolgimento di insegnanti, dirigenti, studenti e famiglie, domandando alla politica e alle istituzioni quei cambiamenti necessari.
La posta in gioco è alta: creare condizioni di sistema perché la scuola possa continuare il suo servizio adottando percorsi di innovazione che sia endemica, inclusiva e sostenibile. Questo significa fare i conti con i vincoli organizzativi, con i tempi della scuola, con le disuguaglianze di partenza. Significa, soprattutto, riconoscere che ogni docente, ogni comunità, ha un ruolo insostituibile in questa transizione e che la scuola può cambiare (e sta cambiando) solo se a cambiare è il modo in cui immaginiamo — insieme — i suoi attori, le sue relazioni, le sue condizioni di possibilità.
Luca Solesin è responsabile dei programmi Giovani e Scuola e coordinatore della rete di Scuole Changemaker di Ashoka Italia
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