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Sostenibilità sociale e ambientale

Come appassionare una classe a 14 gradi sotto zero

Siamo dei facilitatore del gruppo. Ma la preparazione culturale e l’entusiasmo sono componenti fondamentali del nostro lavoro. Come la flessibilità...

di Maurizio Pagliassotti

APracatinat, ottanta chilometri da Torino, da vent?anni esiste un centro didattico per l?ambiente che forma i giovani educatori e gli insegnanti desiderosi di aggiornarsi e che, soprattutto, ospita settimanalmente classi che al posto della solita gita preferiscono fare un?esperienza residenziale nuova. Sono un educatore ambientale, e questo è il mio posto di lavoro, definizione che spesso fa arrabbiare amici costretti in orribili capannoni periferici o città congestionate. Lo schema didattico è semplice: esperienza nel bosco, quota 1.650, e discussione in classe. Lezioni dalle 9 alle 12 al mattino, e dalle 14 alle 17 al pomeriggio.Con gli insegnanti che accompagnano le classi si decidono, ad inizio settimana, i tempi e il programma. Un ostacolo potrebbe essere il clima, ma solitamente si esce con qualsiasi condizione meteo. Personalmente mi è capitato di portare una classe a visitare un villaggio alpino con meno 14 gradi. E tutti di solito apprezzano questo mettersi alla prova. Molti gli argomenti che trattiamo e le domande che ci poniamo. Quale relazione esiste tra gli alberi del bosco e una sedia? Cosa è naturale e cosa artificiale? Quale differenza tra le due ipotesi, e perché? Come reagiscono i nostri sensi quando vengono sollecitati in condizioni particolari? E ancora l?aspetto storico culturale dei villaggi alpini, la cooperazione all?interno dei gruppi, la ricerca degli animali selvatici. Molta attività fisica e molta riflessione. Gioco ma anche lavoro in laboratorio. L?educatore è un facilitatore del gruppo che, oltre ad un?ottima preparazione culturale, deve essere capace di trasmettere entusiasmo, voglia di sperimentare e riflettere sull?esperienza. Gli strumenti vengono offerti dalla natura. Il bosco è un luogo dove fare lezione sotto una nevicata copiosa, alla ricerca dei camosci o della volpe. Il tutto per riuscire a diventare un po? più cittadini consapevoli, per conoscerci un po? meglio. Detto delle gioie, passiamo ai dolori del mio mestiere. è veramente difficile far passare una settimana tra i boschi ai ragazzi di quarta o quinta superiore. Giustamente direi. Al mattino si presentano, talvolta, visibilmente alterati, poco reattivi. Gli interessi sono ben altri. Ancora più ostiche sono le lezioni in classe. Molto spesso i professori accompagnano le classi per dovere, e di questo ne risente tutto il programma. Ma anche l?educatore, in genere, ha le sue pecche. Egocentrista, onnisciente, ipercritico, di solito ha sempre la verità in pugno. Insomma, è un mestiere faticoso che bisogna fare con una forte motivazione. Altrimenti non si resiste troppo alla neve, alla pioggia, a bambini urlanti e professoresse isteriche. Ma come si diventa educatore ambientale? Per esercitare tale professione, solitamente inquadrata in cooperative che vincono appalti pubblici promossi da enti locali, non è indispensabile nessuna specializzazione anche se, dato il forte e recente interesse, stanno cominciando a nascere master post laurea. Il primo in Italia è promosso dall?università degli Studi di Bologna. Anche le maggiori associazioni ambientaliste come Legambiente e WWF promuovono corsi di formazione per la figura dell?educatore ambientale, alla fine dei quali vengono rilasciai attestati di partecipazione. Attualmente l?educatore ambientale ha due possibilità lavorative, filosoficamente molto diverse. Prima possibilità: andare nelle scuole a spiegare in maniera didattica e frontale cos?è l?ambiente e a cosa serve; magari con l?aiuto di qualche bella formula matematica che di solito stende gli studenti e fa spalancare le fauci allo sbadiglio selvaggio. Oppure scendere sul campo, solitamente nei boschi, e abbandonare la lezione diretta per provare a riflettere con i ragazzi. I duri e puri dell?educazione ambientale dicono «meta riflettere» (ovvero cercare di scoprire cosa non si vede) sulle relazioni tra uomo e la natura. L?educatore ambientale è, o quanto meno dovrebbe essere, capace di lavorare sia con i bimbi dell?asilo che con i ragazzi delle superiori. Una caratteristica che richiede una formazione culturale molto articolata che si forma secondo gli schemi della ricerca- azione.

Info: L?editore che fa ambiente

È famosa per pubblicare in Italia State of the world, il rapporto sullo stato del pianeta del Worldwatch Institute. Stiamo parlando di Edizioni Ambiente, casa editrice di Milano nata da un?idea di Roberto Coizet. «Più che un?idea, è stato un bisogno, un desiderio, quello di contribuire a riformulare il concetto di politica e realizzare un minimo di progetto sociale», spiega Coizet. Che continua: «Undici anni fa, fare l?editore nel settore ambiente era considerato una scelta di nicchia, ma noi ritenevamo che la chiave dei problemi ambientali fosse capace di raccordare diversi temi che negli ultimi anni si erano invece frantumati e che non erano più fruibili». Scuolachiamascuola è l?iniziativa di Edizioni Ambiente che, dal 1994, ha coinvolto 1.200 classi e 20mila alunni in 19 Paesi del mondo. «Forniamo materiali didattici per promuovere il dialogo tra classi di realtà diverse, ad esempio una scuola di Bolzano dialoga con quella in Sudan. I ragazzi scoprono dai loro stessi coetanei quanto differente sia l?approccio alle risorse naturali». Edizioni Ambiente ha anche un pubblico adulto, anzi, soprattutto adulto. La rivista Rifiuti è tra i testi più consultati dalle aziende. «Fa parte delle pubblicazioni delle nostra sezione normativa a cui è collegato anche il portale reteambiente.it in cui forniamo quotidianamente aggiornamenti di leggi, circolari, direttive europee. La sezione ?sostenibilità? invece si occupa di saggistica: pubblichiamo testi di esperti e collaboriamo con organizzazioni ed enti che operano sul campo e quindi offrono un taglio pratico. I nostri interlocutori sono in questo momento gli enti locali, perché pensiamo che da lì si possano realizzare concretamente dei progetti ambientali che servano poi da modello su scala nazionale».

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