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Come mettere a sistema i patti educativi territoriali

A Roma il punto sui patti educativi. La rete Educazioni ha pubblicato anche un vademecum per agevolare il confronto sul tema

di Alessio Nisi

Mettere a sistema le diverse esperienze dei patti educativi di comunità, quell’attività di compartecipazione di soggetti pubblici e privati al progetto educativo dei cittadini che ha l’obiettivo di rafforzare l’alleanza educativa, civile e sociale tra la scuola e le comunità educanti territoriali. Mettere a sistema, nella diversità. È la proposta presentata da Educazioni, rete in cui sono presenti dieci realtà del civismo attivo, del Terzo settore e del sindacato, che ha presentato un vero e proprio vademecum per lo sviluppo dei patti educativi territoriali (ne abbiamo parlato anche QUI): ovvero quegli accordi tra istituzioni locali e educative, enti del Terzo settore, famiglie e ragazzi per co-programmare e co-progettare azioni di miglioramento in campo educativo, in una determinata area territoriale.

Individuare interventi efficaci contro la povertà educativa

I patti hanno la funzione di individuare interventi efficaci contro la povertà educativa. Più nello specifico, i patti hanno al centro un progetto educativo territoriale dove ogni soggetto mette in campo le proprie competenze e le coordina con le altre. Il vademecum? Obiettivo dell’iniziativa di Educazioni  è mettere a sistema proprio le diverse esperienze e passare ad una dimensione più strutturata, progettuale.

Un momento del convegno incontro

Dai territori alla scuola al centro

«Un vademecum?», spiega in apertura Andrea Morniroli, di rete Educazioni, «non un modello applicabile in tutte le situazioni, sicuramente una sintesi di esigenze emerse e che andavano in qualche modo messe in ordine». Un modello non modello che fornisca «indicazioni che certo poi devono essere declinate dai singoli attori nei territori, il punto di partenza e di analisi di quello che succede».

La povertà educativa non ammette semplificazioni

Morniroli sottolinea come «a livello locale si accetta il piano della complessità, mentre la politica lavora sulla semplificazione. Il tema della povertà educativa», ammonisce «non ammette semplificazioni. Un vademecum», precisa, «che vuole individuare quello che sono ma anche quello che non sono patti educativi». 

In questa direzione, «i patti educativi non sono luoghi di svuotamento della scuola pubblica, ma che ne ribadiscono la centralità. Sono luoghi che fanno funzionare bene e meglio la scuola, dove si lavora con la scuola, rivendicandone la primarietà. I patti non sono luoghi per i progetti. Sono alleanze di prospettiva, che si definiscono come processi. Sono anche luoghi di dibattito civico, sono luoghi di connessione di azioni condivise di prevenzione alla povertà educativa, percepiti come utili da tutta la comunità». Non solo. I patti educativi «sono luoghi che si cura anche chi cura e si dà una grande attenzione agli educatori», un luogo di integrazione pubblica e privata virtuoso in cui «in cui il pubblico riconosce gli altri soggetti come paritari».

Il vademecum spiegato

Concretamente, il vademecum è un documento. Lo strumento del “Patto Educativo di Comunità”, si legge nel testo, “seppur ha ricevuto una diffusione principalmente quale risposta di emergenza alla Pandemia, può rappresentare un passo avanti significativo per lo sviluppo educativo dei territori”. 

Approccio partecipativo. Tra gli obiettivi principali dei Patti, “rientrano il contrasto alla povertà educativa e alla dispersione scolastica, attraverso un approccio partecipativo e la valorizzazione delle esperienze e delle risorse già presenti sul territorio”. 

Funzione costituzionale della scuola. In riferimento specifico alla scuola, il vademecum specifica anche: “I patti educativi di comunità riconoscono la funzione costituzionale della scuola e gli obiettivi del sistema pubblico di istruzione e li sostengono. Non sono, e non devono essere, una procedura per svilire la funzione pubblica della scuola attraverso la delega ad altri della propria responsabilità educativa”. 

Scuola e territorio vanno connessi. Non solo. “Nei luoghi dove è più profonda ed estesa la povertà educativa, le forze della scuola da sole non sono sufficienti per contrastare la piaga della dispersione scolastica. Scuola e Territorio vanno connessi. C’è bisogno di una “comunità educante” e i Patti educativi di comunità possono essere il luogo privilegiato per dare vita alla sua costruzione”.

Al centro Andrea Morniroli, rete Educazioni

Il campetto e il parco giochi a Palermo

Dunque la scuola. Lucia Sorge, dirigente scolastica Ics Rita Borsellino di Palermo, ha raccontato la sua esperienza, partendo da due parole: «sinergia e responsabilità». La prima «vuol dire lavorare insieme, vuol dire che certe cose da soli non le possiamo fare. La lotta alla povertà educativa da sola non si può fare. Come comunità dell’Ics Rita Borsellino di Palermo», precisa, «sentiamo poi fortissima la parola responsabilità: abbiamo cercato di fare squadra e fare rete con soggetti che credevano nella rete di rigenerazione urbana. Al centro ci deve essere la scuola pubblica. È un noi che funziona e che cambia le cose. La nostra avventura è nata nel 2013 con un campetto abbandonato che il Comune voleva utilizzare per costruire un canile. Da lì è iniziato un percorso, per noi è stato come un alert, un segnale di pericolo, che ha portato ad un percorso non solo di riflessione, ma anche di recupero urbano. Abbiamo bloccato il progetto del comune. Se si mettono insieme scuola genitori bambini si acquista potere, un potere pacifico. Alla fine abbiamo ottenuto la riqualificazione del campetto. Ma non ci siamo accontentati. Abbiamo fatto installare un parco giochi disegnato dai bambini. Abbiamo recuperato una palestra chiusa da anni e restituita alla scuola ristrutturata. Ora è a disposizione fino alle 10 di sera». 

Giù la dispersione scolastica. Nel 2017 ricorda poi, «abbiamo siglato un patto per il territorio, formalizzando alleanze che si erano create». Tra i progetti portati avanti anche “Dappertutto”. «Per tre anni abbiamo lavorato con le associazioni e abbiamo riqualificato un’area antistante la scuola, facendo anche eventi di territori diffusi». In tutto questo, dice con orgoglio, «si sono abbassati anche i numeri della dispersione scolastica ed è questa la direzione su cui dobbiamo proseguire».

Diseguaglianze e territorio

Sì, ma come i patti educativi affrontano le diseguaglianze? La rete, come è stato ribadito nel corso dell’incontro, nasce nel periodo del Covid per dare una risposta alle diseguaglianze educative. Tra le esperienze in questo senso c’è anche Futura di Asinitas a Roma, un progetto di contrasto alla povertà educativa di genere. «Volevamo la creazione di uno spazio per le donne», spiega Alessandra Smerilli dell’associazione, e ricorda che «870 mila ragazze, 1 su 5 sono neet, gli uomini sono il 17%. Abbiamo immaginato un progetto teso a rimuovere gli ostacoli alla formazione e all’emersione del talento». 

In primo piano Angelo Moretti

Da Roma a Benevento con Angelo Moretti, presidente della Rete di Economia Civile Sale della Terra e coordinatore  del progetto Pfp budget educativi. Per Moretti «quando è scoppiata la pandemia i piccoli comuni sono stati posti sotto le stesse normative delle grandi città. Il nostro patto educativo nasce nel 2020 ed era legato alla connessione, alla Rete. I nostri ragazzi erano disconnessi e nessuno se ne accorgeva. Ci siamo accorti che la pandemia stava funzionando come una sorta di evidenziatore. Ed è stata l’occasione per capire che non potevano andare avanti da soli. Ebbene, il patto educativo è stata la migliore risposta alla pandemia. Se nel 2023 ne stiamo parlando non l’abbiamo sprecato».

In apertura e nel testo foto per gentile concessione di Barbara Vatta


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