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“Come posso tesoro tenerti sul cuore…

di Gianfranco Marocchi

… se stanotte a Varsavia si muore”, diceva un verso di una canzone di Pierangelo Bertoli, ricordando la repressione del generale Jaruzelski nel 1981.  Se devo dire cosa più di tutto sorprende di queste parole  è che qualcuno possa sentirsi così colpito e sconvolto da un evento internazionale da non avere la sufficiente serenità d’animo per tenere abbracciata la propria compagna.

Oppure ricordo alcuni anni fa un cooperatore di una generazione precedente, che mi raccontava le mozioni dell’assemblea della sua cooperativa contro l’intervento americano in Vietnam. Oggi farebbe sorridere pensare ad una discussione assembleare che censuri Ahmadinejad o Kim Jong-un (i quali in effetti non ne rimarrebbero particolarmente colpiti). E poi c’erano gli studenti che danno solidarietà agli operai, gli operai ai colleghi licenziati a mille chilometri di distanza e via dicendo.

Non è possibile in poche righe arrivare ad una valutazione complessiva del sistema culturale in cui nascevano questo tipo di atteggiamenti, dei suoi lati positivi e degli aspetti discutibili; ma lo stacco che si avverte dalla situazione odierna è tale da stimolare qualche riflessione.

Già scrissi qualche giono fa della protesta dei malati di sla, che in queste ore sta riprendendo con se possibile ancor maggiore disperazione, e ritorno a chiedermi: quanto un cooperatore la sente “propria“, o quanto ha sentito “propria” l’indignazione per quei provvedimenti un po’ razzisti del precedente Governo o più in generale per un qualsiasi diritto negato a persone con cui lavora?

Forse che il mondo si è veramente frazionato in tanti piccoli cortili, con il rischio che il cooperatore sia attento allo sgravio per la cooperativa, il sindacalista a difendere il lavoratore proprio associato, il comune ad ottenere il ribasso, l’associazione il contributo: tutte cose legittime, ma che ci restituiscono un’immagine drammaticamente pacellizzata. E non mi riferisco alla mancanza di “allenze”, che in quanto tali possono essere (spesso sono) tattiche e per questo poco hanno a che vedere con l’effettiva creazione di legami profondi; ma ad una capacità di creare empatia, connessioni, visioni condivise, co-partecipazione. E’ un mondo in cui ciascuno si arrocca guardando fuori con un po’ di diffidenza, dove il “passo in più” (esempio: per un sindacato capire che per affrontare il problema del lavoratore è necessario affrontare il problema di quanto la cooperativa percepisce dal committente)  non solo manca, ma è culturalmente negato come un atto estraneo per vocazione e competenza dalla propria sfera d’azione, come una sbordatura impropria e quindi censurabile. Viene rivendicato quasi orgogliosamente che il problema diventa tale quando impatta su di sé; e, sindacato a parte, la reazione dei cooperatori sociali di fronte al taglio delle risorse per il sociale fu minima nel 2008 , quando venne decisa e quando appariva come una battaglia “culturale”; è presente ora che il meccanismo determina l’effettiva perdita di commesse, ma ovviamente è tardi…

Insomma, a parte le ritualità, le prese di posizione ufficiali di solidarietà e così via, quella che è da ricostruire è la coscienza dei legami che rendono fatti, persone, gruppi tra loro interconnessi e la capacità di entrare in relazione anche con quello che non ci tocca direttamente, non solo e non tanto perchè potrebbe toccarci domani, ma anche vedendone la connessione profonda che esiste con il sistema di valori e di priorità di cui si è portatori.

 

Poco più di un anno fa, da NotizieInRete, dopo le  reazioni di molti soggetti, tra cui la Chiesa, alla previsione di tassazione per le cooperative: «Non siamo, evidentemente, nella nota declamazione di Niemoller, talvolta erroneamente attribuita a Brecht (“Prima vennero a prendere gli zingari…”), proprio gli ultimi, quelli per cui non protesta più nessuno. Però, a dirla proprio tutta, forse in verità non siamo stati nemmeno i primi… Bene, un impegno per essere ben attenti e reattivi quando toccherà ai “prossimi”, forse un piccolo esame di coscienza per quanto siamo stati pronti o meno ad indignarci quando è toccato ai “precedenti”.»


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