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Sanità & Ricerca

Detenuti con l’Aids Via libera alle cure

Sembrerebbe una cosa scontata, ma non era così. I reclusi con Hiv non potevano ricevere i costosi inibitori della proteasi. Ora i direttori penitenziari potranno acquistarli. Anche se, paradossalmente

di Cristina Giudici

Deve essere proprio vero che in carcere il mondo va alla rovescia. Almeno a giudicare dalla vicenda dei detenuti sieropositivi e malati di Aids che da qualche giorno hanno acquisito il diritto a curarsi con gli inibitori della proteasi. Un decreto interministeriale firmato dal dipartimento dell?Amministrazione Penitenziaria e il ministero della Sanità ha stabilito infatti che verrà fornita assistenza sanitaria ai carcerati sieropositivi e in Aids. Ma come, potrà chiedersi qualcuno, allora fino a ieri non si curavano? Proprio così. La questione è un po? complicata. Nel 1995, in seguito alle rapine commesse dalla cosiddetta ?banda dell?Aids?, la Corte costituzionale aveva emesso una sentenza per stabilire la discrezionalità del giudice, annullando di fatto la legge 222 che prevedeva l?incompatibilità del carcere per i malati di Aids con meno di 100 CD4. Da allora a nulla sono valse le proteste delle associazioni, gli appelli della Lila e dell?Anlaids e dei gruppi di volontariato carcerario, i progetti di legge del deputato Corleone, dei Verdi, di Rifondazione. I giudici hanno smesso di scarcerare i malati e questi sono stati assoggettati alla sanità penitenziaria (autonoma dal Sistema sanitario nazionale): pochi infettivologhi, deficit di organico medico, strutture fatiscenti, tempi lunghissimi per ogni richiesta di esami specifici e soprattutto niente inibitori della proteasi (solo le Asl possono prescriverli, ma il 40% degli istituti di pena non è convenzioniato). Ai medici penitenziari non rimaneva che chiedere una convenzione o un procedimento d?urgenza a Roma. Ostacoli insormontabili per persone cui di fatto si accorciava la vita. Un anno fa, alla vigilia della conferenza di Napoli per la lotta alla droga, un?indagine commissionata dalla presidenza del Consiglio dava risultati allarmanti: i detenuti affetti dal virus erano raddoppiati in sei mesi, con un?aspettativa di vita di circa18 mesi. Poi, anche in seguito alle proteste, l?amministrazione penitenziaria ha ultimato la costruzione di centri clinici per i malati in stadio avanzato a Milano-Opera, Genova-Marassi, Roma-Rebibbia e Napoli-Secondigliano. Restava però irrisolto il problema dell?accesso agli inibitori della proteasi. Inoltre il trasferimento forzato in questi ?lazzaretti? allontanava i detenuti dalle famiglie. Ora, grazie all??interventismo? del direttore degli istituti di pena, Alessandro Margara, le cose dovrebbero cambiare. In una circolare inviata un mese fa a tutti i direttori penitenziari Margara raccomandava: «La cura a base degli inibitori di proteasi è indispensabile per la difesa della vita dei malati di Aids, si tratta di cure essenziali che non possono essere interrotte. Se le cure e farmaci, vitto speciale, integratori alimentari non possono essere forniti dal servizio esterno, ne è autorizzato l?acquisto e l?impiego senza il minimo ritardo». Ma le cose non cambieranno tanto, almeno a giudicare dalle parole del direttore dell?associazione medici penitenziari, Francesco Ceraudo, che così commenta: «I malati di Aids non dovrebbero stare in carcere, ma visto che sono obbligati a rimanerci allora dobbiamo poter dare loro il vitto ospedaliero, integratori dietetici, e la possibilità di stare fuori dalle celle. La Commissione unica del farmaco aveva deciso che solo la Usl poteva prescrivere l?inibitore della proteasi con previa autorizzazione da Roma. Ora invece è liberalizzato. Ma il problema permane: i detenuti malati non vogliono prendere gli inibitori per poter così giungere ad avere difese bassissime e sperare in una scarcerazione, che però avviene raramente».


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