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Detenuti da curare senza sbarre

Senza le nuove terapie, ricoverati in centri clinici che in realtà sono veri e propri lazzaretti. Così oggi 5000 carcerati ammalati di Aids non hanno neppure la speranza di una morte serena

di Redazione

I suoi articoli, trenta in tutto, hanno cambiato l?assetto giuridico internazionale, inaugurando una nuova era, quella dei diritti. Il 10 dicembre del 1948 l?Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la Dichiarazione universale dei diritti umani. Un testo lineare, succinto e pieno di grandi intenzioni, che ha nutrito le speranze di un mondo che rinasceva sulle macerie della seconda guerra mondiale. Ma, a cinquant?anni di distanza, la Dichiarazione rischia di essere un testo redatto più per riempire le pagine delle grandi occasioni che per servire allo scopo di rendere tutti gli uomini uguali e liberi. Appello al governo ?Vita? ha scelto di celebrare il cinquantesimo anniversario chiedendo al governo italiano che almeno a uno, un solo diritto, in questa occasione venga data piena attuazione: il diritto alla vita e alla cura per i detenuti sieropositivi e malati di Aids. L?articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti umani recita infatti: «Ogni individuo ha diritto a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia con particolare riguardo all?alimentazione, alle cure mediche e ai servizi sociali necessari, e ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà. (…)». Perciò chiediamo che il governo italiano si impegni a scarcerare i malati di Aids e i sieropositivi sottoposti a trattamento farmacologico. Lo chiediamo perché lo Stato, invece di provvedere alla salute dei suoi cittadini, ignora che 5000 detenuti sieropositivi non possono accedere alle nuove terapie faramacologiche, cure che hanno restituito la speranza a migliaia di malati non sottoposti ad alcun regime di detenzione. E lo chediamo perché, nonostante il dipartimento dell?amministrazione penitenziaria abbia mandato a tutti i direttori degli istituti di pena una circolare in cui si affermava l?obbligo di curare i carcerati malati, alla nostra redazione continuano ad arrivare testimonianze agghiaccianti da ?centri clinici? penitenziari. In una di queste lettere, Marco e Giovanni scrivevano: «Siamo dei detenuti in fase conclamata di Aids e siamo temporaneamente ?curati? nel Centro diagnostico terapeutico di Secondigliano, ma il suo vero nome è lazzaretto. Qui l?assunzione degli inibitori della proteasi, farmaci indispensabili per la regressione dell?infezione da Hiv, non esistono. Intorno a noi vediamo gente costretta sulle sedie a rotelle o che giace nelle barelle, gente che si meriterebbe almeno una morte serena…». Una sentenza negata Dopo la sentenza della Corte costituzionale del 1995, i detenuti malati scarcerati da giudici magnanimi si contano sulle dita. Gian Antonio Rocchetti, operatore della Lila, che da anni si occupa attivamene dei diritti dei detenuti sieropositivi dice: «La nuova impostazione giuridica sancisce la totale discrezionalità dei giudici, e l?applicazione di provvedimenti alternativi al carcere si è ridotta, povocando danni irreversibili alle persone. Il 1° luglio scorso la commissione Giustizia della Camera ha finalmente approvato una proposta di legge sull?incompatibilità tra malattia e regime carcerario. Occorre sollecitare i nostri poltici con iniziative di protesta per ricordare loro che il tempo di attesa è già scaduto». Dal mese di luglio a oggi il disegno di legge non è mai arrivato alla Camera per la discussione. Eppure la battaglia contro l?Aids è soprattutto la battaglia contro il tempo, bisogna poter fornire le cure giuste al momento giusto e i farmaci devono essere assunti con molta regolarità. «Il carcere ammazza», sussulta Rosaria Iardino, del gruppo nazionale sieropositivi dell?Anlaids che, in occasione dell?XI giornata mondiale della lotta all?Aids ha incontrato il ministro della Sanità, Rosi Bindi, per chiedere al governo la scarcerazione dei malati. «Il sovraffollamento», protesta la Iardino, «la mancanza di cure e di farmaci, il deterioramento della situazione igienico-sanitaria impediscono ai sieropositivi di sperare di sopravvivere». Un?attesa vergognosa Non c?è più tempo, quindi. I diritti dei malati non devono più essere calpestati. Non ha dubbi neanche il presidente della Lila, Vittorio Agnoletto: «Questa attesa è vergognosa. Il provvedimento di legge deve essere approvato urgentemente perché l?autonomia della sanità penitenziaria dal Sistema sanitario nazionale non permette ai sieropositivi di accedere ai farmaci necessari. Ho visitato uno dei centri clinici, istituiti dall?amministrazione penitenziaria, e ho verificato di persona che i detenuti malati vengono tenuti in celle che non sono diverse dalle celle delle altre sezioni e che alcuni farmaci non venivano somministrati». Sono passati cinquant?anni dalla Dichiarazione universale dei diritti dell?uomo, eppure mentre scriviamo migliaia di persone, ammalate gravi, sono obbligate a combattere, in carcere, nel più totale isolamento, la propria paura di morire. Allora, vogliamo fare qualcosa?


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