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Don Gnocchi, il duro al servizio dei deboli

Andreotti, che lo conobbe, ricorda

di Redazione

Il 25 ottobre sono cent?anni dalla nascita di uno dei più grandi pionieri della solidarietà: don Carlo Gnocchi. Giulio Andreotti all?nizio della sua carriera politica conobbe il grande sacerdote. E per le celebrazioni avviate a Milano ne ha tracciato un ricordo. Eccone la trascrizione. Penso che si possa partire dal don Carlo cappellano militare e dalle motivazioni con cui in Vaticano stanno procedendo alla sua santificazione. Gli anni di inizio secolo a Milano sono anni di conflittualità incredibile: la relativa vicinanza della questione romana creava una bipartizione fra chi accettava il nuovo status quo e chi invece non si rassegnava alla perdita del potere temporale della Chiesa. Dico questo, non per prendere la questione alla lontana, ma per affermare che a contribuire al superamento di questo antagonismo giovarono le esperienze di tanti sacerdoti e cappellani che durante la guerra diedero assistenza ai soldati, senza preoccuparsi di difendere il temporalismo. Don Carlo è uno di questi cappellani. L?affetto di un anticlericale Normalmente nelle cause dei santi, l?elenco delle testimonianze, comprende sacerdoti, suore, confraternite. Per don Carlo voglio citare la testimonianza del disegnatore Giuseppe Novello, il Forattini del tempo, reduce dalla guerra di Russia e dai campi di concentramento, un personaggio lontanissimo e ostile al mondo religioso. Novello dice di don Gnocchi: «Desidero che sia annoverato fra i santi per la cura che dedicò agli alpini impegnati sul fronte russo. Il fatto che dimostra la disponibilità di quell?uomo avvenne quando noi del Quinto alpini fummo bloccati in una sacca coi russi alle spalle. Eravamo in mezzo alla steppa. Vidi don Gnocchi in sella a un cavallo circondato dai feriti. Il cavallo gli era stato donato dagli alpini perché lo vedevamo ormai senza forze. Lo udii urlare imperiosamente: ?Non voglio questo privilegio, sono circondato da feriti!? Fu talmente insistente che i suoi desideri furono eseguiti immediatamente e il dorso dell?animale diede conforto a due moribondi». La connessione fra il sacerdote, il cappellano e l?uomo che ha vissuto le sofferenze della guerra lo conduce a comprendere una realtà: nella vita burocratica se avete un precedente potete fare tutto, se manca il precedente siete depistati. I mutilatini non avevano precedenti, la prima guerra mondiale non aveva creato mutilatini. Questo sacerdote venne al Viminale e con tono educato, ma fermo, disse: «Occorre fronteggiare una priorità nuova. Si tratta di bambini mutilati, un problema diverso dai mutilati adulti». Don Carlo e don Zeno Stare al governo dà molte possibilità (e qualche grana), io ho avuto la fortuna di conoscere due personalità di quei tempi, don Carlo e don Zeno Saltini. La storia mi ha dato la prova di come il Signore aiuti queste opere. Don Zeno un giorno, erano gli inizi degli anni 50, venne da me per chiedermi 50 milioni per la sua opera. Gli risposi che non avevamo disponibilità. Lui mi disse che li dovevamo trovare se no non se ne sarebbe andato dal mio ufficio. Io uscii, quando tornai lui era ancora lì, deciso ad aspettare. Un ufficiale del contingente alleato, nel frattempo, entrò nel mio studio e mi chiese un permesso per andare a caccia. Don Zeno non si fece remore, prese la parola e spiegò la sua necessità. Io accordai il permesso al militare e questo, soddisfatto, il giorno dopo fece la donazione a don Zeno. Con don Gnocchi la provvidenza fu meno immediata. Dovette attendere la spinta dell?arcivescovo Montini prima di ricevere il compito per iscritto di sovraintendere all?opera per i mutilatini. L?Opera nazionale invalidi di guerra, infatti, si sentiva minacciata e il parlamento deliberò per lasciarle la competenza sui mutilatini. Fortunatamente l?Italia ha molte leggi, ma non tutte rispettate. Don Carlo non si arrese e proseguì al grido: «non c?è tempo da perdere!». Alla fine ricevette l?incarico di supervisione. Non sopportava i burocrati Quando incontrava delle resistenze era anche duro, per aiutare i deboli bisogna esserlo. Chiedeva aiuto allo Stato, ma anche ai privati. «Adesso, vedremo», non esisteva nel suo vocabolario. Ai burocrati del pubblico rispondeva: «Con i vostri tempi i mutilatini prima di essere assistiti compiranno 18 anni». Don Carlo a un certo punto si inventò anche pubblicitario. Propagandò il farsi carico dei mutilatini con un volo verso il Sudamerica. Il risultato in quattrini fu nullo, ma fece parlare la stampa mondiale. Stupenda fu la collaborazione della parte medica con la parte religiosa e amministrativa. Facevano impressione la volontà di ferro e la durezza con cui difendeva i diritti. Morì giovane. Il suo fu un funerale di popolo, raramente ho visto qualcosa di simile: c?erano tantissimi bambini. La cosa importante è raccogliere l?insegnamento di don Carlo, il suo approccio ai problemi dei più deboli. Il fatto che se ne occupi il pubblico è indispensabile, ma deve essere visto come completamento dell?iniziativa, religiosa o meno, di privati. Se avesse vissuto un po? di più ci avrebbe guidati verso la cooperazione allo sviluppo. Spesso diciamo che non è giusto che il 20 per cento degli uomini consumi l?80 per cento delle risorse. Di programmi di attenuazione del debito, si parla da tempo. Ma se fosse possibile aiutare le opere dei missionari, anche pubblicamente avremmo risultati cinque volte superiori. Don Carlo è il sacerdote. Divenne anche il cappellano del Guf (Gioventù universitaria fascista), voleva fare il sacerdote anche in quell?ambito: lui era un sacerdote in azione, un sacerdote vivo. La sintesi: don Carlo è diverso da tutti, è don Carlo, capace di trovare la strada per risolvere un problema nuovo. Pubblico più privato. Capace di trattare con la burocrazia anche da morto: donò la cornea prima dell?introduzione della legge sui trapianti, e la polizia non riuscì a fermare l?espianto. Quando si sente nel cuore un problema, quando si vuole fare del bene non ci devono essere ostacoli, questa è l?eredità morale di don Gnocchi.


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