Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Tossicodipendenze

Emergenza fentanyl in arrivo anche in Italia?

Dopo che è stata sgominata una banda di Piacenza che importava fentanyl, per fare il punto VITA ha intervistato Riccardo Gatti, medico specializzato in psichiatria e tra i massimi esperti in Italia del fenomeno emergente, quello legato alle nuove droghe e di fronte al quale il nostro sistema sociosanitario rischia di farsi trovare impreparato

di Paolo Manzo

Credits: Michael Nuccitelli, Psy.D.

Negli Stati Uniti l’epidemia di fentanyl (oppiaceo sintetico 50 volte più potente dell’eroina) sta rivoluzionando il mondo della politica. Il governatore democratico della California, Gavin Newsom, ha annunciato una nuova task force per trattare le morti legate agli oppioidi come omicidi. «La crisi ha causato troppe vittime e i trafficanti di fentanyl devono essere ritenuti responsabili per omicidio», ha affermato.

Insieme all’Oregon che ha legalizzato anche il consumo dell’eroina, la California è lo stato dove il fentanyl ha fatto più morti. Il sindaco di San Francisco, città californiana dove il fentanyl è l’emergenza, la democratica London Breed ha dichiarato: «le persone devono essere informate che lo spaccio potrebbe portare ad accuse di omicidio».

Gli Stati Uniti hanno annunciato a metà novembre un accordo con la Cina ma, a detta degli esperti, i risultati concreti saranno minimi, soprattutto perché oramai i precursori chimici per produrre la nuova droga arrivano un po’ da ovunque.

Dall’Italia, per esempio, l’ultima notizia è che da Piacenza sono passate “in transito” 100mila dosi di fentanyl. Per fare il punto, VITA ha intervistato il professor Riccardo Gatti, medico specialista in psichiatria esperto di dipendenze.

Da attento osservatore che percezione ha avuto di questa nuova droga che sta arrivando anche in Italia?

La situazione è strana. È come se si fosse in attesa che debba succedere qualcosa. Ad oggi il fentanyl non sembrerebbe essere presente più di tanto nella distribuzione da noi. Glielo dico perché le overdosi in Italia non sono all’ordine del giorno. Anzi, sono relativamente poche. I numeri ufficiali del dipartimento politiche antidroga della presidenza del Consiglio sono molto contenuti. Il caso di Piacenza è però strano, anche perché i mercati sono diversi da quelli di una volta. 

In che senso?

Si diceva che l’Italia era un Paese di transito sull’eroina anche tanti anni fa, poi abbiamo visto che era una bugia. Quindi la domanda è: perché sinora non si è diffuso da noi? Negli Usa il fentanyl è stato mixato ad altre sostanze e si è diffuso perché costa molto poco produrlo, si guadagna tanto e crea una forte dipendenza.

Per questo dico che la situazione è strana oppure “a valle” ci sono accordi diversi. Cioè, in Italia stanno andando molto bene la cocaina ed è in crescita il mercato del crac e forse i distributori locali dicono ‘Vabbè, ma io sto guadagnando bene su quello, perché devo cambiare?’ Questa è un’ipotesi, ma è molto debole secondo me.

Nelle analisi che ho visto dei sequestri giudiziari di sostanze il fantanyl non è dichiarato. Sì, è successo un caso lo scorso anno, il decesso di una persona che sembrava eroina ma poi si è scoperto che era mischiata con fentanyl. Ma sono casi singoli.

Preoccupa però che la commissaria europea alla sicurezza, dopo un incontro con i ministri degli interni latinoamericani, ha allertato sul suo arrivo in Europa. Suppongo che lei abbia informazioni che le dicono qualche cosa di più di quelle che ho io, che monitoro il sistema «a valle».

Si, Bruxelles ha lanciato questo allarme, che però è stato quasi ignorato dai nostri media…  

Se la situazione fosse come diceva Ue bisognerebbe attrezzarsi per prepararsi ad una tempesta in arrivo ma in questo momento ci sono altri problemi, ci sono guerre che attirano l’interesse dei media e dunque non c’è nessuna mobilitazione su questo fronte. Diciamo che in Italia abbiamo un difetto: dichiariamo che c’è un problema, poi aspettiamo che succeda qualcosa e, solo dopo, ci attrezziamo per l’emergenza.

Lei ha sentore di una possibile sostituzione dell’eroina con il fentanyl?

Da chi lavora in strada ricevo notizie che l’eroina costa poco, ovvero quasi mezzo grammo si sta avvicinando al grammo di cannabis. Uno può provare l’eroina proprio perché è venduta a prezzi molto bassi e questo mi fa pensare a un tentativo di reclutamento. Di certo tra un po’ mancherà, visto il divieto imposto dai talebani sulle coltivazioni del papavero e dal prossimo anno gli stock si esauriranno.

Il fatto che oggi l’eroina sia venduta a basso costo fa pensare: ‘incomincio a reclutare i clienti e poi gli offro qualche cosa d’alto’. Perché il dipendente da eroina non è che la può sostituire con la cocaina ma diventerà dipendente da fentanyl o da altri oppiacei sintetici ad alto potenziale.

Quali sono i problemi se dovesse verificarsi uno scenario del genere?

Il primo è che le scorte di antidoti che vengono messi nei luoghi a rischio sono molto basse. Poi bisogna saperlo usare l’antidoto e se metti una persona nella situazione di svegliarsi in una situazione di astinenza, quella se ne va e muore dopo un po’. Infine, se riesci a prendere le persone in cura, il metadone va usato in dosaggi molto alti, non quelli di oggi.

Infine diventa più difficile fare una cosa che si fa in Italia, cioè l’affido del farmaco alle persone stabilizzate. Quindi c’è tutto un lavoro da fare in una situazione in cui i nostri servizi di cura, i servizi di prossimità, sono già in grossa difficoltà.

Soprattutto nelle grandi città l’offerta dei servizi di cura è satura, ce lo conferma? 

Sì, anche se c’è un’offerta privata in crescita, in parte qualificata, in parte punto di domanda. Quindi sarebbe il momento di riunirsi tra esperti del settore, legislatori e tutti quanti hanno a cuore questo problema nella società, senza clamori né iniziative di contrapposizione politica, per pensare cosa sia meglio fare per allargare la capacità e la capienza del nostro sistema.

C’è anche un problema di formazione?

Sì, in Italia non è facile trovare personale nell’ambito delle dipendenze. Anche una persona specializzata in medicina interna o in psichiatria, quando entra nel sistema ha bisogno di almeno un anno o due per andare a pieno regime. 

Noi abbiamo un sistema molto logico, in ogni territorio esista un servizio ad accesso diretto, multidisciplinare, che si fa carico delle persone. E poi intorno una catena di centri residenziali e semi-residenziali collegati per coloro che hanno bisogno.

Tutto questo funziona a livello ideale. Ma sa se non ne fai la manutenzione, se non dai una formazione per rendere professionalmente attraente entrare in questo settore, se non fai ricerca né hai sistemi di allerta locali, il rischio è che costruisci un impianto che tende a sgretolarsi.

Bisogna mettere in relazione chi si occupa di emergenza, chi si occupa di medicina sul territorio e i servizi specializzati anche perché, se dovessimo affrontare un’ondata di fentanyl ma anche di crack, incominceranno problemi seri.  


Scegli la rivista
dell’innovazione sociale



Sostieni VITA e aiuta a
supportare la nostra missione


Come funziona e come dovrebbe funzionare?

Il sistema nasce in relazione ancora a vecchi criteri degli Stati Uniti, cioè la guerra alla droga. Questo collegamento però crea una serie di cortocircuiti, tra cui il fatto che le persone segnalate alla prefettura poi debbano andare ai servizi per le dipendenze. Che ricevono tutta una serie di pazienti che non hanno la volontà di curarsi, ma piuttosto di risolvere il loro problema legale o amministrativo.

All’interno di questa organizzazione generale ci sono diverse unità di offerta pubbliche e private, ambulatoriali e residenziali, il cosiddetto sistema per le dipendenze. Che però dovrebbe essere un’interazione positiva, con percorsi preordinati e rapidi, trasversali a tutto il sistema socio-sanitario. La logica attuale nasce quando sono stati accreditati dei servizi in tutta Italia dopo il Dpr 309/1990, la legge Jervolino-Vassalli, per far sì che le persone si rivolgessero al trattamento e prevedeva anche la possibilità del carcere per chi non si curava. Poi è stata abrogata con un referendum qualche anno dopo.

Nasce così il nostro sistema. La conseguenza è che gli altri si son tirati fuori, a cominciare dai medici di famiglia che dicevano, ‘vai al Sert’. L’ospedale è pieno? ‘Vai al Sert’. Insomma, mentre  la questione droga usciva dall’ambito della devianza e si distribuiva trasversalmente nella società, il sistema di intervento restringeva il campo.

Oggi il problema droga riguarda l’emarginazione, i ragazzi che muoiono, quelli che girano come i matti perché si fanno di crack in alcune regioni d’Italia. Ma il sistema non tiene conto che in realtà la questione droga è molto più diffusa ed è molto più insidiosa. 

Un contrasto enorme con i mercati delle droghe, in continua evoluzione.

Sì. E invece di fare come i mercati che stanno allargando i loro obiettivi, cercano di prevedere il futuro e si muovono per costruirlo, il nostro sistema si è chiuso su se stesso. Questo è il più grosso problema che dovremmo cercare di affrontare. Dopodiché, nel momento in cui apri un gruppo di lavoro nasce subito la battaglia tra proibizionisti e antiproibizionisti e il risultato è che nemmeno le cose su cui si potrebbe essere d’accordo vengono trattate.

C’è una sottovalutazione non tanto del problema. quanto del fatto che per affrontare i problemi che abbiamo dobbiamo muoverci con ragionamenti di nuova generazione. Il mondo è cambiato e le persone costruiscono la loro opinione in un modo diverso da come la costruiva mio padre o da come la costruivo io in passato. 

Si può spiegare meglio?

Non possiamo pensare che la droga oggi sia ancora quella che infiammava i dibattiti tra Muccioli e Pannella. Però se lei ha visto la serie Netflix su San Patrignano il dibattito che ne è scaturito è quello degli anni novanta.

Oggi anche a causa dei blocchi geopolitici che si sono formati sta diventando meno conveniente far transitare la droga da un punto all’altro del globo ma si rinforzano le produzioni locali. Ed è quello che la logistica della grande distribuzione sta già facendo. Altro elemento fondamentale è l’accelerazione dei cambiamenti che non hanno più tempi generazionali ma sono molto più brevi.

Per questo possiamo affrontarli in modo costruttivo solo con un’ottica previsionale, cercando l’evoluzione degli scenari e, di conseguenza, prepararci ed investirci sopra, che è esattamente quello che non stiamo facendo. 

Cosa pensa della legalizzazione?

Dobbiamo ragionare in maniera laica su cosa conviene fare, per fare cosa e perché, ovvero concentrarci su quali obiettivi vogliamo raggiungere. Se discutiamo su se è giusto legalizzare o vietare non arriveremo da nessuna parte. Il fentanyl (l’anestetico più usato per intubare i pazienti gravi, ndr) e anche la xylazina (un sedativo veterinario, ndr) sono farmaci legali.

Come lo sono anche l’alcol e il tabacco…

Sì, ma il problema è l’uso improprio delle sostanze più che la dicotomia legalizzazione/non legalizzazione. E per affrontarlo bisogna rimettersi a ragionare sul legislativo, i sistemi di intervento, quelli previsionali e trarre delle conclusioni dichiarando gli obiettivi. Che non possono essere un concetto astratto perché l’obiettivo deve essere la salute delle persone.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA