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Festa finale per i 40 anni

Giovedì 12 si concludono le celebrazioni per l'anniversario. Intervista al presidente Marco Impagliazzo

di Daniela Verlicchi

Per la conclusione delle celebrazioni del suo quarantennale, la comunità di Sant’Egidio si è fatta un regalo speciale: un accordo con il governo del Bukina Faso per avviare un programma di iscrizioni ai registri anagrafici dei minori sottoscritto proprio ieri dal presidente Marco Impagliazzo. Grazie al quale, quasi 3 milioni di bambini potranno uscire dall’invisibilità. Ma quella dell’iscrizione ai registri (costosi, lontani, introvabili e spesso ignorati in Africa) è solo l’ultima battaglia della comunità fondata da Andrea Riccardi. La Comunità si riunirà a San Giovani in Laterano il prossimo 12 febbraio con una messa celebrata da monsignor Agostino Vallini, cardinale vicario di Roma. Un’occasione per voltarsi indietro e ripensare al percorso fatto: Sant’Egidio ha costruito oltre mille comunità in 70 paesi, soprattutto del Sud del mondo. In esse lavorano 50mila volontari. Ai pranzi di Natale organizzati dalla comunità (nella foto, un’immagine dell’ultima edizione) siedono 120mila persone. La battaglia contro la pena di morte, lanciata oltre 10 anni fa da Sant’Egidio, ha coinvolto 250 città per un totale di 2mila eventi organizzati in tutto il mondo. E poi la cooperazione in Africa; il programma Dream per la lotta all’Aids; il progetto Scuole di Pace per insegnare l’italiano agli immigrati. Sono tante le sfide affrontate e vinte da Sant’Egidio in questi anni. Tante anche quelle che aspettano la comunità. Ne parliamo con il presidente Marco Impagliazzo

Chi erano i «poveri» 40 anni fa?
Probabilmente i 2 o 3 mila bambini, figli di immigrati dal Sud che vivevano nelle baraccopoli alla periferia di Roma. Per loro è nata Sant’Egidio nel ’68 da un gruppo di studenti delle superiori di allora, capitanati da Andrea Riccardi , che mettevano a disposizione quello che avevano, cioè la loro cultura, per aiutare questi bambini. Così è nato il primo servizio di dopo-scuola.

Chi sono invece i «poveri» oggi?
Gli anziani. E’ un grande popolo che si è appena affacciato alla nostra società. La loro è una «povertà» economica ma soprattutto sociale. Sono soli. Per esser loro vicini abbiamo avviato il progetto «W gli anziani» in due quartieri romani che consiste nell’attivare reti di vicinato per “vigilare” sulla salute e lo stato emotivo di qualche migliaio di anziani. Sono coinvolti 50 volontari.

Qual è stata la battaglia più bella che avete vinto?
La pace in Mozambico nel ‘92: abbiamo dimostrato che si possono fermare le guerre con il dialogo e con la preghiera

In Africa avete conquistato l’autorevolezza per dialogare direttamente con i governi…
Cerchiamo solo di far capire che la pace conviene a tutti. In Mozambico, dopo il conflitto, l’economia è fiorita e c’è più democrazia. Per questo la metà dei nostri volontari e moltissime delle nostre comunità si trovano in Africa. La priorità ora è il programma Dream per la cura dell’Aids, che ha coinvolto oltre mezzo milione di persone in 10 paesi.

E la sfida di domani?
L’integrazione: dobbiamo imparare a vivere assieme a popoli diversi e ad accogliere chi arriva come persona, tutta intera, non solo come utile forza lavoro.


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