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Fuori dai manicomi un mondo da scoprire

Stavolta il ministero della Sanità non accetterà più rinvii: le Regioni inadempienti verranno “multate” con tagli ai fondi sanitari. Ma a vent’anni dalla 180 molte sono le realtà positive: come case a

di Cristina Giudici

Questa volta il D-day è arrivato davvero: il 31 marzo scade l?ultima proroga concessa dal ministero della Sanità alle Regioni per la riconversione degli ospedali psichiatrici. Il giorno dopo, il ministero dovrà spedire dei commissari straordinari per verificare se gli ospedali psichiatrici sono diventati Rsa (Residenze sanitarie assistite per pazienti disabili, con problemi geriatrici o insufficienze mentali gravissime) e vedere se i malati sono stati realmente dimessi dai manicomi. Il terreno è scivoloso. Se ne parla dal ?96, da quando cioè il ministro Bindi decise di saltare in sella alla battaglia della chiusura dei manicomi, dettando ?le linee guida per il superamento degli ospedali psichiatrici?, che suggerivano i piani di salute mentale alternativi a quella che Basaglia chiamava ?la bestia?, il manicomio. A vent?anni dalla promulgazione della legge, i manicomi aperti, pubblici e privati, sono ancora più di 50, le Regioni agiscono in modo incerto, le stime sono ambigue. Ma intanto qualcosa è davvero successo in tutta la penisola: all?interno delle strutture pubbliche e del privato sociale, le realtà alternative al manicomio si sono diffuse a macchia d?olio, anzi a macchia di leopardo. Sorte spesso in modo anarchico (a volte più per volontà individuale degli operatori, di medici e volontari appassionati, che non delle strutture pubbliche), testimoniano una volta di più la voglia della società civile di andare incontro alle aree del disagio. Alcune esperienze sono conosciute, altre quasi invisibili. ?Vita? ha cercato di scoprirle. Case-alloggio. Mottola, provincia di Taranto, un paese di 18 mila anime a 120 chilometri dall?ospedale psichiatrico privato di Bisceglie (mille pazienti). Qui, dopo dieci anni di battaglie contro l?inerzia delle amministrazioni pubbliche, una generosa équipe di operatori psichiatrici, psicologi e infermieri ausiliari, è riuscita ad avere uno stabile per dar vita a una struttura alternativa. Così nel 1992 è nata la ?casa?, sette persone strappate al manicomio di Bisceglie che dopo vent?anni hanno ricominciato a vivere. La responsabile, la dottoressa Isa Argentiero, spiega come: «Abbiamo iniziato dalle posate. In manicomio erano permessi solo i cucchiai ed era vietato entrare in cucina. Allora noi abbiamo riempito la cucina di forchette e coltelli e abbiamo delegato ai pazienti la gestione della cucina. Oggi i nostri utenti hanno smesso di rubarsi il pranzo a vicenda, di inghiottire il cibo in modo disordinato. Hanno iniziato ad andare a fare la spesa, a uscire fare la passeggiata in piazza, frequentare il bar, a fare amicizia con la gente del paese. Un processo lento di restituzione della loro dignità che ha già dato risultati; tre dei nostri utenti stanno per andare a vivere soli con l?assistenza temporanea di alcuni operatori». Così Tito, schizofrenico dall?età di 25 anni e con la madre in manicomio: oggi ha cinquant?anni, ma è tornato a vivere e sta per andare ad abitare da solo in un ?gruppo-appartamento?. Vivrà con due compagni che come lui stanno guarendo, con l?assistenza discreta dei servizi territoriali. Cooperative sociali. Sono tante, tantissime. A Torino, per esempio, la Nuova Cooperativa, nata il giorno dopo la chiusura del manicomio di Collegno, nel 1980, oggi ha 380 soci. «Nel manicomo lavavano i pavimenti per tre sigarette, noi gli abbiamo dato la possibilità di riscattarsi con contratti regolarmente stipulati, consentendo loro di misurarsi con la società dopo anni di umiliazioni», dice la presidentessa della cooperativa, Eva Coccolo. «I matti lavorano in squadre, dove quelli affetti da psicosi più gravi sono compensati da altri meno svantaggiati. Grazie a una convenzione con il Comune di Torino, gestiamo la pulizia e la sorveglianza delle scuole elementari, garantiamo la manutenzione di aree verdi, maneggi, campeggi, bar. Il fatturato annuale è di undici miliardi». Più a Nord-est c’è la cooperativa sociale Noncello di Pordenone: 1300 soci, fatturato 30 miliardi, un ideatore capace e stravagante, Rodolfo Giorgetti. L?idea base è quella basagliana di rimescolare la carte, sani e matti, tutti insieme, coniugando l??inclusione? (dei matti) all?imprenditoralità. E così è sorto un mondo di progetti con finanziamenti dei soci-utenti e del Fondo sociale europeo. Le attività sono le più svariate: come produrre un kit di ?sopravvivenza per il mare? con il marchio ?Robadamatti?. Oppure rilevare, ristrutturare e riaprire locande dette ?buonedammatti?: una è stata chiamata Tso, Trattamento sanitario obbligatorio. E poi ancora rottamazione, smaltimenti e riciclaggio di materiali ricavati dagli elettrodomestici, dove il gusto maggiore sembra essere quello dello sfascio. Centro diurno del Servizio di riabilitazione psicosociale. A Trieste, all?interno del parco di San Giovanni, prima c?era il manicomio e oggi c?è la struttura psichiatrica più all?avanguardia d?Europa, che si ramifica poi all?interno della città con oltre 80 appartamenti e cinque Centri di salute mentale diurni. In cima alla collina del Parco san Giovanni ogni giorno arrivano disagiati di ogni genere. Ex pazienti del manicomio che, in seguito alla loro dimissione, sono andati a vivere in appartamenti con altri ex ?lungo degenti?, pazienti dei Centri di salute mentale. Arrivano con le proprie gambe, attraversando la città per frequentare corsi di serigrafia e pittura, fotografia, scrittura, corsi formativi, alfabetizzazione. A tutti viene offerto un programma terapeutico personalizzato che fa da apripista per giungere al reinserimento lavorativo o tornare a casa, dalle famiglie. All’interno del Centro diurno c?è anche uno spezzone dell?Accademia dei folli fondata da un vero matto, Claudio Misculin. Misculin, attore e regista, è stato in manicomio a Trieste dove ha montato i suoi primi spetttacoli «ma ho avuto la fortuna di incontrare Basaglia e il teatro. E il binomio teatro-follia mi ha fatto uscire dalla melma». Le accademie della follia hanno prodotto molti replicanti, a Rimini, a Cremona, Milano (di cui fa parte anche l’avvocato milanese Giuliano Spazzali), in Svizzera e anche a Cuba. Il loro motto è ?i nostri errori permettono la vostra intelligenza?. A Rimini si chiama Teatro per bande, spettacoli itineranti recitati «da pazzi, sciancati che a differenza degli attori ?normaloidi? non devono recitare la parte di Napoleone, perché loro sono Napoelone e anche dei veri attori», conclude Misculin. Questa volta il D-day è arrivato davvero: il 31 marzo scade l?ultima proroga concessa dal ministero della Sanità alle Regioni per la riconversione degli ospedali psichiatrici. Il giorno dopo, il ministero dovrà spedire dei commissari straordinari per verificare se gli ospedali psichiatrici sono diventati Rsa (Residenze sanitarie assistite per pazienti disabili, con problemi geriatrici o insufficienze mentali gravissime) e vedere se i malati sono stati realmente dimessi dai manicomi. Il terreno è scivoloso. Se ne parla dal ?96, da quando cioè il ministro Bindi decise di saltare in sella alla battaglia della chiusura dei manicomi, dettando ?le linee guida per il superamento degli ospedali psichiatrici?, che suggerivano i piani di salute mentale alternativi a quella che Basaglia chiamava ?la bestia?, il manicomio. A vent?anni dalla promulgazione della legge, i manicomi aperti, pubblici e privati, sono ancora più di 50, le Regioni agiscono in modo incerto, le stime sono ambigue. Ma intanto qualcosa è davvero successo in tutta la penisola: all?interno delle strutture pubbliche e del privato sociale, le realtà alternative al manicomio si sono diffuse a macchia d?olio, anzi a macchia di leopardo. Sorte spesso in modo anarchico (a volte più per volontà individuale degli operatori, di medici e volontari appassionati, che non delle strutture pubbliche), testimoniano una volta di più la voglia della società civile di andare incontro alle aree del disagio. Alcune esperienze sono conosciute, altre quasi invisibili. ?Vita? ha cercato di scoprirle. Case-alloggio. Mottola, provincia di Taranto, un paese di 18 mila anime a 120 chilometri dall?ospedale psichiatrico privato di Bisceglie (mille pazienti). Qui, dopo dieci anni di battaglie contro l?inerzia delle amministrazioni pubbliche, una generosa équipe di operatori psichiatrici, psicologi e infermieri ausiliari, è riuscita ad avere uno stabile per dar vita a una struttura alternativa. Così nel 1992 è nata la ?casa?, sette persone strappate al manicomio di Bisceglie che dopo vent?anni hanno ricominciato a vivere. La responsabile, la dottoressa Isa Argentiero, spiega come: «Abbiamo iniziato dalle posate. In manicomio erano permessi solo i cucchiai ed era vietato entrare in cucina. Allora noi abbiamo riempito la cucina di forchette e coltelli e abbiamo delegato ai pazienti la gestione della cucina. Oggi i nostri utenti hanno smesso di rubarsi il pranzo a vicenda, di inghiottire il cibo in modo disordinato. Hanno iniziato ad andare a fare la spesa, a uscire fare la passeggiata in piazza, frequentare il bar, a fare amicizia con la gente del paese. Un processo lento di restituzione della loro dignità che ha già dato risultati; tre dei nostri utenti stanno per andare a vivere soli con l?assistenza temporanea di alcuni operatori». Così Tito, schizofrenico dall?età di 25 anni e con la madre in manicomio: oggi ha cinquant?anni, ma è tornato a vivere e sta per andare ad abitare da solo in un ?gruppo-appartamento?. Vivrà con due compagni che come lui stanno guarendo, con l?assistenza discreta dei servizi territoriali. Cooperative sociali. Sono tante, tantissime. A Torino, per esempio, la Nuova Cooperativa, nata il giorno dopo la chiusura del manicomio di Collegno, nel 1980, oggi ha 380 soci. «Nel manicomo lavavano i pavimenti per tre sigarette, noi gli abbiamo dato la possibilità di riscattarsi con contratti regolarmente stipulati, consentendo loro di misurarsi con la società dopo anni di umiliazioni», dice la presidentessa della cooperativa, Eva Coccolo. «I matti lavorano in squadre, dove quelli affetti da psicosi più gravi sono compensati da altri meno svantaggiati. Grazie a una convenzione con il Comune di Torino, gestiamo la pulizia e la sorveglianza delle scuole elementari, garantiamo la manutenzione di aree verdi, maneggi, campeggi, bar. Il fatturato annuale è di undici miliardi». Più a Nord-est c’è la cooperativa sociale Noncello di Pordenone: 1300 soci, fatturato 30 miliardi, un ideatore capace e stravagante, Rodolfo Giorgetti. L?idea base è quella basagliana di rimescolare la carte, sani e matti, tutti insieme, coniugando l??inclusione? (dei matti) all?imprenditoralità. E così è sorto un mondo di progetti con finanziamenti dei soci-utenti e del Fondo sociale europeo. Le attività sono le più svariate: come produrre un kit di ?sopravvivenza per il mare? con il marchio ?Robadamatti?. Oppure rilevare, ristrutturare e riaprire locande dette ?buonedammatti?: una è stata chiamata Tso, Trattamento sanitario obbligatorio. E poi ancora rottamazione, smaltimenti e riciclaggio di materiali ricavati dagli elettrodomestici, dove il gusto maggiore sembra essere quello dello sfascio. Centro diurno del Servizio di riabilitazione psicosociale. A Trieste, all?interno del parco di San Giovanni, prima c?era il manicomio e oggi c?è la struttura psichiatrica più all?avanguardia d?Europa, che si ramifica poi all?interno della città con oltre 80 appartamenti e cinque Centri di salute mentale diurni. In cima alla collina del Parco san Giovanni ogni giorno arrivano disagiati di ogni genere. Ex pazienti del manicomio che, in seguito alla loro dimissione, sono andati a vivere in appartamenti con altri ex ?lungo degenti?, pazienti dei Centri di salute mentale. Arrivano con le proprie gambe, attraversando la città per frequentare corsi di serigrafia e pittura, fotografia, scrittura, corsi formativi, alfabetizzazione. A tutti viene offerto un programma terapeutico personalizzato che fa da apripista per giungere al reinserimento lavorativo o tornare a casa, dalle famiglie. All’interno del Centro diurno c?è anche uno spezzone dell?Accademia dei folli fondata da un vero matto, Claudio Misculin. Misculin, attore e regista, è stato in manicomio a Trieste dove ha montato i suoi primi spetttacoli «ma ho avuto la fortuna di incontrare Basaglia e il teatro. E il binomio teatro-follia mi ha fatto uscire dalla melma». Le accademie della follia hanno prodotto molti replicanti, a Rimini, a Cremona, Milano (di cui fa parte anche l’avvocato milanese Giuliano Spazzali), in Svizzera e anche a Cuba. Il loro motto è ?i nostri errori permettono la vostra intelligenza?. A Rimini si chiama Teatro per bande, spettacoli itineranti recitati «da pazzi, sciancati che a differenza degli attori ?normaloidi? non devono recitare la parte di Napoleone, perché loro sono Napoelone e anche dei veri attori», conclude Misculin. Diecimila pazienti in attesa Le Regioni che non avranno completato il processo di riconversione dei ?residui manicomiali? entro il 31 marzo verranno penalizzate del 2% dal fondo regionale sanitario. Lo prevede la Finanziaria ?98, e la Consulta nazionale per la salute mentale ipotizza che ci saranno circa 2000 miliardi da reinvestire per legge nei piani alternativi di salute mentale. Una cifra ingente: la spesa annuale per l?assistenza psichiatrica in Italia è di 3500 miliardi. A vent?anni dalla legge Basaglia, il bilancio è però positivo: nonostante i ritardi delle Regioni e i pazienti ancora ricoverati (circa diecimila), le strutture ?riformate? che dipendono dal Dipartimento di Salute Mentale, o quelle autonome promosse dal privato sociale sono moltissime. Settemila malati psichici lavorano attualmente in cooperative sociali mentre i Centri di salute mentale sono 740. Gli ospedali psichiatrici privati però continuano a ricoverare nuovi pazienti, e così fanno i manicomi criminali istituiti nel 1930 e mai sfiorati dalla riforma psichiatrica (vi sono reclusi in mille). Massimo Cozza, coordinatore della Consulta Nazionale, continua ad accusare le Regioni, colpevoli di aver miracolato con una delibera migliaia di pazienti pur di risultare adempienti. All?indice c?è il Veneto, che al 31 dicembre ?96 aveva 18 ospedali psichiatrici aperti e nove mesi dopo dichiarava di non avere più un solo paziente ricoverato. Fra gli istituti privati sotto accusa l?Aris, che gestisce otto ospedali privati con 4000 pazienti. L?opinione di Giacomo B. Contri Ero stato tra i pochi vent?anni fa a osservare che la legge180 era passata per tante ragioni ideologiche, ma in particolare perché faceva risparmiare soldi allo Stato, o agli enti locali. Non si doveva più spendere per i malati psichici. Oggi non sono proprio interessato a rinnovare un dibattito come quello avvenuto allora con Basaglia. Se il problema è che restano aperti dei rimasugli di ?manicomi? – e chiamiamoli come li si chiamava una volta -, che li si chiuda e non se ne parli più. Il problema vero invece è un altro. Oggi la malattia psichiatrica non è più una cosa seria per nessuno. Non esiste più un serio curarsene, anche scientificamente. Tanto si sa che ormai i farmaci fanno quanto basta. I malati stessi (a parte i serial killer che, notiamo bene, non sono dei malati psichiatrici ufficiali) si comportano tutti come bravi ragazzi. Sembra quasi che abbiano fatto tutti l?Azione Cattolica. Si è sviluppata una psichiatria ufficiale che dice solo banalità. Si tratta allora di passare a un?idea più seria della vita psichica. Già Basaglia, da pararomantico, idealizzava troppo la malattia psichica, idealizzava la schizofrenia. Oggi la malattia psichica è stata fatta sparire. Siamo in una ?gestione? (parola che odio) della sparizione della malattia psichica: è come una soluzione finale nel senso nazista. Un annullamento del fatto. Vernichtung, dicevano i nazi. Il fatto malattia mentale non esiste più: annullato banalizzato, appiattito, non è il caso di occuparsene. Si dà così attuazione al celebre articolo della Costituzione relativo alla possibilità dell?istruzione privata, purché sia ?senza oneri per lo Stato?: annullata, la malattia psichica non pesa più sullo Stato o la collettività. Ben vengano allora tutte queste cooperative che danno lavoro agli ex pazienti degli ospedali psichiatrici. ben fa chi fa, si potrebbe dire. Però anche queste iniziative rischiano di ridursi a un appiattimento della malattia mentale. Ma non ne faccio una colpa a chi le porta avanti. C?è comunque un vantaggio in questa cultura che banalizza la malattia mentale: ha reso molto meno interessante la psichiatria odierna. E questo è un beneficio. Questi poveri psicologi non sanno da che parte cominciare. Gli psichiatri anche. La malattia psichica torna così a essere o cosa di nessuno (dato che non esiste culturalmente) o cosa da persone libere (come sono gli psicanalisti) che le prestano attenzione e cura. Non solo cura nel senso corrente della parola ma un?attenzione culturale vera e propria. psicoanalista


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