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Il linguista militante che prende lezione dai Berberi

Vermondo Brugnatelli

di Natascia Gargano

Ci voleva un milanese per far far sedere intorno a un tavolo algerini, tunisini, marocchini e libici. Brugnatellici è riuscito perché è uno dei massimi esperti di cultura berbera: il dna comune che unisce, ancora oggi,i discendenti delle antiche tribù guerriere del NordafricaHa iniziato con lo studio di segni grafici e strutture semantiche, e si è ritrovato in rocamboleschi viaggi in mezzo al deserto, in manifestazioni di piazza contro il colonnello Gheddafi e poi nelle stanze di un’associazione che, a Milano, riesce a far sedere intorno allo stesso tavolo algerini, marocchini, libici e tunisini. Vermondo Brugnatelli, linguista e docente universitario tra i massimi studiosi contemporanei della lingua berbera, è stato «culturalmente rapito» (parole sue) da questo popolo di tribù guerriere, che qualcuno ha definito «gli ultimi uomini liberi».
Cosa ci fa un milanese tra i berberi del Nordafrica?
Tutto è cominciato con gli studi di linguistica, da appassionato di lingue camito-semitiche. Poi, a inizio anni 80, all’Istituto di glottologia dell’università di Milano ho incontrato uno studente berbero, in Italia per frequentare l’Accademia di Belle arti: era lì in cerca di libri sulla sua lingua. Trovammo pochissimo materiale, e fu allora che mi dissi: «Proviamo a fare un lavoro sul campo». E sono finito in un mondo affascinante.
Tanto che ha fondato l’Associazione culturale berbera…
Era il 98: allora come oggi la sistemazione era piuttosto precaria, poco spazio e sempre “ospiti” di altre associazioni. Ma allo stesso tavolo hanno iniziato a sedere algerini, marocchini e libici. Che non è cosa di tutti i giorni, se si considera che i nazionalismi nell’Africa del Nord rimangono molto forti. Ci incontriamo ogni domenica pomeriggio; organizziamo concerti, proiezioni, esposizioni di materiale, tutte iniziative per far conoscere meglio questo popolo. A maggio a Milano si terrà la seconda edizione del Festival berbero, aperto alla città, che già l’anno scorso ha avuto un successo inaspettato.
Chi sono i berberi di Milano?
Agli inizi c’erano molti algerini della Cabilia, una regione dell’Algeria in cui la consapevolezza di appartenere al popolo berbero è più forte; adesso invece sono molto più numerosi i berberi marocchini. Le donne partecipano soprattutto alle iniziative pubbliche, dove preparano ottimi cous cous, danzano e coinvolgono i bambini facendo disegni all’henné. Nel direttivo dell’associazione ci sono una giovane berbera neolaureata, un marocchino – il vicepresidente – che di mestiere fa il portiere di notte, molti operai, e tempo fa c’era anche un’italiana. Sono tutti molto attivi e conoscono bene l’italiano parlato, mentre per quello scritto do una mano io. Intorno all’associazione si è creata una rete di nordafricani consapevoli di avere caratteristiche e usi comuni, per esempio seguono il calendario giuliano, diverso sia da quello arabo che da quello latino. Festeggiano il Capodanno il 14 gennaio e sono nell’anno 2961; hanno una loro bandiera e usano l’alfabeto nordafricano, a lungo dimenticato, eccetto che dai Tuareg.
Va spesso in Nordafrica?
Mi sento molto legato alla Cabilia, il primo posto che ho visitato e dove, 20 anni dopo, ho reincontrato quel famoso algerino dell’università. Nei viaggi africani ho coinvolto anche la mia famiglia: mentre loro si godono le spiagge, io approfitto per proseguire con le mie ricerche. Per motivi di studio vado spesso a Djerba: lì conosco quasi tutti, ormai è come andare a trovare gli amici, ed è buffo se si pensa che ero partito con l’idea di studiare dei segni grafici sui libri… Nel mio piccolo cerco anche di supportare “la causa”, per esempio ho regalato alla biblioteca cittadina l’abbonamento a una rivista berbera, che come tale è considerata “sovversiva”.
Un linguista militante…
Sì, devo dire che mi sono ritrovato coinvolto anche politicamente. Ultima in ordine di tempo la mobilitazione per liberare Madghis Buzakhar, un amico libico arrestato assieme al fratello dai servizi segreti di Gheddafi, prima che iniziassero le rivolte, con l’accusa di spionaggio per il solo fatto di parlare e studiare la lingua berbera. In Paesi in cui la lingua è negata, è difficile separare gli aspetti culturali da quelli politici.
Da quanto tempo le rivolte del Nordafrica esplose in questi ultimi tre mesi erano nell’aria?
Già nel 2001, durante la cosiddetta Primavera Nera capeggiata dalla regione berbera della Cabilia e ignorata dai media europei, c’erano stati dei forti scontri, la gente era scesa in pazza protestando e chiedendo la democrazia, situazioni molto simili a quelle di oggi. I cabili si erano auto-organizzati in comitati di villaggio, facendo rinascere strutture arcaiche di tipo tribale. La parola tribù evoca qualcosa di selvaggio: in realtà l’organizzazione funzionava, seppur su basi completamente diverse dalle nostre. Per esempio, non esiste il voto a maggioranza e le decisioni si prendono con il consenso di tutti i membri. Questo mi ha fatto riflettere sulla possibilità in quelle aree di una democrazia diversa sia dal dispotismo dei regimi attuali, ma anche dalla democrazia all’occidentale che in tanti, sia in Europa che negli Stati Uniti, vogliono a tutti i costi esportare.


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