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Famiglia & Minori

Il nostro inviato tra gli “street children”. I piccoli figli della colla

Sono migliaia. Saddam li odiava. Oggi sono abbandonati a loro stessi. la maggior parte vive “tirando” droghe rudimentali.

di Maurizio Pagliassotti

Bagdad, gennaio

In Iraq ci sono un prima e un dopo per tutti. “La vostra vita era migliore prima o dopo la guerra?”, questa è la domanda più ricorrente in tutto il Paese e ogni iracheno ha una propria idea, studiata e ponderata a fondo perché sono gli eventi di tutti i giorni che portano a fare una valutazione continua. Esiste però un piccolo gruppo di esseri umani che non sa cosa rispondere a questa domanda semplicemente perché per loro è inesistente il concetto di prima e dopo. Sono gli ?street children?, i ragazzi di strada delle grandi città irachene, Bagdad, Mosul, Bassora. Nelle loro vite la notte è perpetua. è stupefacente constatare che alcuni di questi ragazzini, soprattutto i più piccoli, abbiano un?idea vaga di quanto sia accaduto in questi due anni, ed è come se vivessero in un mondo parallelo e da esso abbiano assistito a questo strano spettacolo che però non ha mai inciso più di molto nelle loro vite. “Give me money! One dollar mister, give me money!”: occhi duri, tono deciso, hanno imparato l?unica cosa che poteva interessare loro dall?arrivo degli stranieri che ora affollano in gran quantità le vie adiacenti i grandi alberghi della capitale. In cerca di prede Girano in gruppetti composti da cinque-sei elementi, piccoli bambini scaltri e selvatici che hanno adottato nella loro vita la logica del branco e della lotta per la sopravvivenza. Cercano le loro prede, solitamente occidentali che si avventurano nella città da soli o nelle ore notturne, cui portare via portafogli e macchina fotografica da rivendere immediatamente e correre a comprare la droga per il loro ?viaggio?. Scalzi nel gelido inverno iracheno, vestiti di stracci, sono alla continua ricerca di soldi per poter comprare le sostanze chimiche, meglio conosciute come ?colla?, che sniffano per stordirsi e devastarsi il cervello. Non hanno padre né madre, non sanno nemmeno spiegare perché la loro vita sia andata così. Loro ci sono dentro e basta e non si pongono domande. “Tanto a cosa servirebbe? Forse a migliorare qualcosa?” In un Paese dove tutte le classi sociali ormai lottano per la sopravvivenza, in cosa possono sperare loro, gli ultimi fra gli ultimi? Per non pensare, per ridere, per avere la forza di continuare. Gli iracheni disprezzano questi bambini, li considerano delinquenti incalliti, figli di prostitute che poi li hanno abbandonati al loro destino, senza famiglia che non meritano alcuna considerazione. Pensiero diffusissimo e retaggio dell?epoca di Saddam dove la polizia usava il pugno di ferro contro questi disperati che, allora come adesso, vivevano di piccoli furti e accattonaggio. Non c?è pietà verso di loro, e gli unici che allungano ancora una banconota da 250 dinari sono gli stranieri, un po? per compassione, un po? per timore. Sono tre i luoghi dove è più facile incontrarli: nei pressi delle basi americane, vicino alle discariche di immondizia e la notte nei sotterranei della città, luogo dove un tempo la polizia del regime non andava a cercarli. Il tacito accordo era che non uscissero e rimanessero a fare la loro vita da topi là sotto, senza andare a infastidire, con la loro presenza puzzolente e chiassosa, le persone normali all?esterno. Ma la polizia di Saddam non c?è più e loro stanno venendo fuori da quelle fogne schifose e sono gli stessi cittadini di Bagdad che si stupiscono della loro presenza e rimpiangono i tempi del dittatore quando questi “figli di? venivano ammazzati insieme a tutti gli altri ladri!” Si rimane interdetti per la diffusa durezza di animo che vi è verso i ragazzi di strada. Interrogatorio per caso Chiedo: “Ma non provate pena per questi bambini? Alcuni non hanno nemmeno dieci anni?” Risposta: “Il padre sarà sicuramente un ladro e la madre una prostituta e loro diventeranno o l?uno o l?altra cosa. Già adesso rubano e non fanno nulla, sono solo capaci di tirare la colla!” Mille, cinquemila, diecimila, le cifre si rincorrono e ognuno dice un numero sparando un po? a casaccio perché mai nessuno nel passato li ha contati. Qualcuno si occupa di loro? Le associazioni che dicono di volerlo fare non mancano, anche se il loro operato risulta dubbio, soprattutto quando si comincia a parlare di soldi e di finanziamenti. La colpa della scarsa incisività ricade sempre sugli americani e sulla scarsità di finanziamenti che questi devolvono al problema dei bambini di strada. Non tutti si arrendono I gesti più belli stanno arrivando invece dagli ex scudi umani che, finita la guerra e terminato il loro compito, hanno deciso di fermarsi in Iraq, chi non è scappato, ed impegnarsi nell?aiuto di questi ragazzini. Giapponesi, americani, svedesi, canadesi, età dai 20 ai 50 anni. Nessuna organizzazione alle spalle, vantano quasi tutti un passato di uomini e donne di successo che un giorno hanno mollato tutto e sono venuti in Iraq, prima come ?human shield? ora a tentare di aiutare gli ?street children?. In tutto sono circa venti e fanno base nella zona centrale di Karrada, presso il Casablanca Hotel, uno dei più fetidi della città. Riunioni di coordinamento tutti i giorni, poi ognuno avanti con il proprio progetto. Decisione drastica della maggioranza: concentrare gli sforzi su chi ancora non fa uso di droghe perché chi ?tira? è ormai perso per sempre. La giornata inizia alle dieci della mattina quando i volontari raggiungono i bambini nei rifugi per portare loro una pagnotta o un dolcino, un piccolo dono con cui tentare di convincerli a seguirli. Se accettano, inizia una lotta quotidiana: vi saranno lezioni di ballo o di un?arte marziale, un pranzo, e altre varie attività. Non vi sono progetti a lunga scadenza, l?importante ora è strappare questi ragazzi dalla strada. Le difficoltà maggiori sono due: la lingua e la diffidenza. La prima è in via di soluzione perché molti volontari riescono a parlare già un discreto arabo iracheno e alcuni si muovono anche con giovani interpreti, mentre la seconda può risultare talvolta insormontabile. “Perché siete venuti in Iraq a lavorare con gli ?street children??”, domando a Yukiko, una bella e simpatica ragazza giapponese. “Il mio Paese ha supportato la guerra contro l?Iraq condotta dagli Stati Uniti e personalmente mi sento responsabile del disastro attuale. Mi sono licenziata a gennaio e sono venuta in Iraq, da allora non sono mai tornata in Giappone”. “Avete dei finanziamenti?”. “Non abbiamo bisogno di molti soldi, mi bastano i risparmi che ho accumulato nel passato. Magari un giorno tenteremo anche la via dei finanziamenti pubblici ma adesso la situazione è troppo caotica per pensare al futuro, bisogna vivere e impegnarsi giorno per giorno”.

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