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Il wto, un round che vale milioni di vite

Nonostante l’azione del francese Pascal Lamy, gli accordi sui commerci sono sull’orlo della paralisi.

di Sergio Marelli

La recente riunione ministeriale del Wto, l?organizzazione mondiale per il commercio , chiusa a Ginevra lo scorso primo luglio, non ha raggiunto i risultati sperati. I negoziati sono rimasti bloccati a causa delle posizioni intransigenti di Usa, Unione europea, Brasile, India, Giappone e Nuova Zelanda, sulla riduzione dei sussidi all?agricoltura e delle barriere tariffarie. L?unico risultato tangibile di questo incontro è stato il mandato del Consiglio dei ministri al direttore generale del Wto, Pascal Lamy, affinché faccia da facilitatore e catalizzatore di un possibile accordo da raggiungere nelle prossime settimane, preferibilmente entro la fine del mese di luglio. Quindi un potenziamento del ruolo di Lamy che, sin dall?inizio del suo mandato, si è mostrato molto determinato nel volere raggiungere a tutti i costi la conclusione del Doha Round. Nell?attuale clima di stallo, pare normale che in un appuntamento come il G8 che si terrà a San Pietroburgo, venga affrontato il tema del commercio internazionale. Tuttavia sembra oramai certo che dal summit russo non uscirà niente di più che una dichiarazione d?auspicio alla conclusione del negoziato, nonostante al G8 partecipino in qualità di auditori paesi come Brasile, India, Cina, Sudafrica e Messico, ossia attori fondamentali in quanto membri del G20 e, attualmente, protagonisti commerciali di primaria importanza, insieme alle grandi economie industrializzate. Negli incontri preparatori a San Pietroburgo si era auspicato l?inserimento nel programma ufficiale di una riunione ministeriale ?a latere?, come più volte accaduto in passato. Purtroppo, invece, questo non accadrà. Il motivo? Si è voluta mantenere Ginevra come luogo privilegiato di decisione politica ma, soprattutto, i governi del G8 hanno scelto di non assumersi responsabilità alcuna in questa delicata materia. La conclusione del Doha Round appare ancora più problematica se si pensa all?imminente scadenza del mandato per il negoziatore statunitense (che quindi, anche in caso di accordo, non potrà passare per il Congresso per l?approvazione dello stesso), e alle elezioni in Brasile, previste per il prossimo primo ottobre. Tutti premono per una rapida conclusione ma nessuno è disposto a fare il primo passo, né a fare concessioni. In questo stallo, l?Associazione ong italiane ribadisce che tra i 120 paesi in via di sviluppo ci siano anche quelli poverissimi e meno avanzati che, da questo round, attendono finalmente il riconoscimento di un trattamento speciale e differenziato che consenta di poter esportare verso i mercati occidentali i loro prodotti e di proteggere dal dumping le proprie produzioni. È a loro che bisogna pensare per non fallire il Doha Round e per fare le debite pressioni affinché i governi facciano uno sforzo che può salvare la vita a milioni di persone. Sergio Marelli è presidente dell?Associazione ong italiane


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