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La testimonianza

Io, volontaria, vi racconto il degrado delle carceri italiane

Continua a far parlare il memoriale di Ilaria Salis, detenuta a Budapest, nel quale descrive le condizioni disumane della sua detenzione. Lo stato dei penitenziari italiani, spesso oltre il limite della decenza, fatica invece a suscitare attenzione. Ornella Favero, presidente Conferenza nazionale volontariato giustizia: «Nelle carceri italiane c’è un disagio crescente, si ha la sensazione che siano diventate il luogo in cui la società mette quello che non riesce ad affrontare fuori»

di Ilaria Dioguardi

Foto e video dell’ingresso di Ilaria Salis nell’aula di tribunale alla Capital Court di Budapest, con manette e catene ai piedi, hanno fatto il giro del mondo. «Mi trovo tutto il tempo in una cella minuscola e senza aria, tra gli scarafaggi, il vitto scarso, senza possibilità di comunicare, trattata come una bestia al guinzaglio», scrive lo scorso ottobre Salis nel memoriale (diffuso in esclusiva dal tg de La7), per il suo avvocato italiano dal carcere ungherese. «Il degrado c’è anche nelle carceri italiane ed è crescente», dice Ornella Favero, presidente della Conferenza nazionale volontariato giustizia e direttrice della rivista Ristretti Orizzonti.

Favero, cosa può dirci dello stato delle carceri italiane?

I numeri dei detenuti stanno crescendo con una rapidità impressionante. E sta cambiando la popolazione detenuta. Ci sono molti giovani, molte persone emarginate socialmente, molte con patologie psichiatriche che non dovrebbero neanche starci in carcere. Vedo che anche in un carcere come quello di Padova ci sono continuamente tensioni, problemi, conflitti. Vedo tanti detenuti che non ce la fanno proprio e che non danno modo neanche agli altri di fare una carcerazione decente: quando in sezione ci sono una-due persone che stanno male, che urlano, che creano conflitti non si vive più. C’è un disagio crescente, si ha la sensazione che il carcere sia diventate il luogo in cui la società mette quello che non riesce ad affrontare fuori. La redazione di Ristretti Orizzonti è all’interno del carcere di Padova, ma essendo responsabile del volontariato nazionale conosco la situazione un po’ di tutto il paese. A Padova la situazione è migliore di tante altre realtà perché il carcere è una casa di reclusione e perché il volontariato e il Terzo settore sono estremamente attivi. A Padova ci sono molte cooperative che danno lavoro vero, è uno dei pochi istituti penitenziari in cui ci sono attività lavorative non dell’amministrazione.

Il disagio è creato anche dal sovraffollamento, in media nelle carceri italiane del 117,2 per cento?

Quando sento dire che il sovraffollamento non c’entra nulla con i suicidi, penso che non è proprio vero. Il sovraffollamento crea una situazione di grande disagio nella vita quotidiana e di scarsa attenzione del personale. Gli operatori della salute mentale, gli educatori, gli psicologi sono pochi e non sono in grado di rispondere ai bisogni dei detenuti e al loro stare male. Le persone si sentono abbandonate. Quando noi facciamo la richiesta (banale) di aumentare i contatti con le famiglie, lo facciamo perché pensiamo che dare la possibilità alle persone di chiamare casa sia l’unico modo per prevenire i suicidi. Dovrebbero essere liberalizzate al massimo le telefonate, in questa situazione.

Riunione di redazione della rivista Ristretti Orizzonti (Ornella Favero al centro) nel carcere di Padova

I detenuti quante telefonate possono fare a casa?

Una a settimana, è la regola base, se hanno figli minori possono farle anche quotidianamente. A Padova siamo riusciti (per adesso) a far restare il diritto di una telefonata al giorno, introdotta durante la pandemia. Ogni giorno è una guerra per non farle togliere, ma bisogna capire che dovrebbe essere in tutte le carceri così, aiuterebbe anche l’amministrazione: se una persona ha un legame con casa e può chiamare di più, è più sereno.


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Quali sono i maggiori problemi, nelle carceri italiane?

Ci arrivano segnalazioni di celle fredde da più carceri, ad esempio da San Vittore a Milano. Condizioni veramente pesanti. Non riesco a capire come non si pensi a un progetto rispetto alla manutenzione. Anni fa elaborammo, assieme ad Alessandro Margara (uno dei più importanti magistrati della riforma dell’ordinamento penitenziario), un progetto di lavori di pubblica utilità, con il coinvolgimento delle persone detenute in lavori, sistemazioni in carcere in cambio di un’anticipazione della fine della pena. era una bella idea, c’è veramente tanto degrado, con situazioni in cui in molte carceri ci sono ancora celle con letti a castello a tre posti. Si continua a fare una politica di aumento dei reati, invece di pensare a ridurre la carcerazione ai casi e alle situazioni di pericolosità sociale, e non all’emarginazione sociale. C’è tutto un clima intorno che sta peggiorando.

La persona dovrebbe essere privata della libertà e basta, non del riscaldamento e delle condizioni di vita minime di decenza

Quale clima? Ci spieghi meglio…

Il clima che sta portando sempre di più la gente in carcere è quello che fa credere che il carcere sia la soluzione. Ci sono carceri in cui, alle tre del pomeriggio, finisce tutto, non ci sono attività. La carcerazione fatta in branda è il peggio del peggio, è una scuola di criminalità, non si fa altro che parlare di reati, magistrati, avvocati, di quanto si è trattati male. Le persone finiscono per sentirsi vittime: è la cosa peggiore che possa capitare in carcere. Una persona entra in carcere, deve scontare una pena, durante la carcerazione si ribalta la situazione e diventa vittima. Da una parte ha ragione: la persona dovrebbe essere privata della libertà e basta, non del riscaldamento e delle condizioni di vita minime di decenza.

La Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la norma dell’ordinamento penitenziario che nega gli incontri senza controllo visivo tra i detenuti e i partner. Cosa ne pensa?

Sono molto curiosa. È una sentenza rivoluzionaria. Stiamo già lavorando con il direttore della casa di reclusione di Padova, per fare dei prefabbricati. Stiamo cercando di fare in modo che conceda subito dei colloqui intimi: è un po’ di umanità. Se la Corte costituzionale dice che, così come è adesso, in carcere c’è una “desertificazione degli affetti”, c’è la possibilità da subito di far partire quest’opportunità per i detenuti. Non ci sono particolari ostacoli, vogliamo che le persone possano avere colloqui riservati e un po’ di sollievo, passare del tempo con la propria compagna, avere un minimo di vita più umana. E non è un lusso. Già si stanno mettendo le mani avanti dicendo che, nelle condizioni problematiche in cui sono le carceri, si pensa a queste cose. Non è un lusso, non è una cosa in più che si può fare più avanti, deve partire subito. Il primo numero della rivista Ristretti del 1998, il numero zero, parlava della sessualità negata. Dopo 26 anni, finalmente, è arrivata questa sentenza storica.

Ieri il presidente Sergio Mattarella ha incontrato Giovanni Russo, il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Dap. Russo ha riferito di aver trovato il capo dello Stato preoccupato per il grande sovraffollamento e l’alto numero dei suicidi in carcere…

Come aveva già fatto in passato il presidente Napolitano, Mattarella cerca di sollecitare il Parlamento ad avere un’attenzione per una situazione che rischia di essere davvero esplosiva.

Quale sarebbe, a suo avviso, la prima cosa da fare?

Ridurre il numero delle persone detenute, di quelle in attesa di giudizio, di quelle che sono dentro per problemi legati alla droga e alla malattia psichiatrica e che non ha senso che stiano lì. Il problema non è solo costruire nuove carceri, il problema è che nelle nuove carceri bisogna mettere il personale, che non c’è. Non basta neanche ora, a gestire i problemi, i conflitti, le tensioni. Cominciamo con l’arrestare meno. Non bisogna credere che con tanti arresti si creano meno disagi e rischi per la collettività, mettere le persone in carcere con queste condizioni degli istituti penitenziari non vuol dire certamente rendere la società più sicura. Dobbiamo combattere, riprendendo la parola della Corte costituzionale, la “desertificazione” delle relazioni, degli affetti in carcere.

In apertura, nella foto Giampiero Corelli/Sintesi, la Casa Circondariale Femminile Gazzi di Messina. Le altre sono della redazione di Ristretti Orizzonti.


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