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Droga, perché la parola chiave è inclusione

Mauro Falchetti, psicologo e psicoterapeuta del Parsec, coordina le unità di strada della cooperativa, operativa soprattutto nel centro di Roma: «Lotta alla droga? Occorre fare uscire i consumatori dallo stigma»

di Alessio Nisi

Adulti over 40, ma anche settantenni con cinque decadi di storia di dipendenza dalle droghe alle spalle, alla spasmodica ricerca della normalità, immersi in un contesto di disagio sociale, ambientale, ma soprattutto psichico. «Solo loro il nostro zoccolo duro, non i giovani» spiega Mauro Falchetti, 46 anni, psicologo e psicoterapeuta di Parsec, coordinatore delle unità di strada della cooperativa. Si occupa di tossicodipendenze dal 2005, «da 18 anni». La sua zona di riferimento è quello della ASL Roma 1: uno spazio coperto da 1 milione e 200 mila persone tra Centro e periferia e che ricomprende Trastevere e San Lorenzo, zone di spaccio calde. Un lavoro il suo e quello della sua squadra da 4 mila contatti l’anno, una media di 15 al giorno. «Usciamo 5 giorni a settimana per 4-5 ore dal lunedì al venerdì». No le droghe non sono tutte uguali, perché «le persone sono tutte diverse». Si dovrebbe parlare di «promozione della salute, altrimenti è una lotta fatta sulla pelle delle persone che consumano e che hanno un disagio».

Integrazione e coesione sociale

Per Falchetti occorre fare molta attenzione quando si parla di lotta alla droga. «È importante soprattutto interrogarsi su come vogliamo fare questa lotta. Sanzionando e penalizzando le persone che la usano?» si chiede. La strada è un’altra. «Occorre fare uscire queste persone dallo stigma, perché più sono integrate e coese nel tessuto sociale e più i correlati sociali ed economici psicopatologici della loro dipendenza scemeranno – sottolinea – nel momento in cui queste persone saranno costrette a nascondersi, a nascondere la propria condizione, a inventarsi la qualunque per evitare di incappare in controlli in qualsiasi ambito, queste persone cederanno sempre».

Consumatori da una vita

Con un bagaglio di esperienza quasi ventennale, Falchetti sottolinea che «il mondo delle dipendenze è cambiato tantissimo, ma in parte è rimasto anche uguale. I cambiamenti sono soprattutto relativi alle alle sostanze di abuso. Un tempo erano le solite. Negli ultimi tempi si sono gradualmente diversificate. A quelle tradizionali si affiancano quelle nuove, creando dei fenomeni di policonsumo: mentre prima avevamo delle persone legate ad una singola sostanza adesso si passa da una sostanza all’altra».

La droga e il disagio

Tra le nuove sostanze lo psicoterapeuta parla anche di «sdoganamento importante del crack». Poi il discorso torna ai consumatori, «quelli adulti – rimarca di nuovo – c’è un disagio che permane anche nella maturità. Il disagio è ambientale e psichico. Analizzando la storia delle persone il ricorso alla sostanza è un tentativo per quanto fallace e per quanto come dire un po’ perverso di uscire dal disagio».

A fari spenti

Potresti non accorgerti nemmeno dell’unità di strada di Parsec. «Non c’è bisogno di pubblicizzarsi, cosa che non sarebbe nell’interesse delle persone. Quando siamo sempre su un territorio particolarmente battuto o conosciuto vediamo che anche da parte della popolazione generale nei nostri confronti c’è una una benevolenza perché in qualche maniera vedono che c’è qualcuno che sia di aiuto». Il concetto è questo: «Per lavorare su un territorio così grande è necessario che la nostra unità di strada sia mobile ma non estremamente mobile. Dobbiamo dare dei riferimenti territoriali per cui sanno che a quel giorno a quell’ora grosso modo siamo su quella piazza o su quella via, quindi nel tempo con un lavoro che è sempre in movimento continuo le persone sanno che hanno un riferimento in quel luogo in quell’ora e quindi comunque vengono poi lavoriamo insomma anche sul passaparola».

Persone con una vita normalissima

Il lavoro di tutti i giorni è «cercare di contattare gruppi informati di consumatori o persone singole ma anche fare un lavoro sul territorio e sulla cittadinanza, si va da appunto dalla distribuzione di materiale fino alla mediazione sociale e al sostegno psicologico». Perché, quando qui parla di emarginazione e di solitudine. «Non soltanto di situazioni relative alla persone senza dimora, ma anche la solitudine delle persone in quanto tali. I nostri consumatori sì per un 30% sono senza dimora, ma il resto sono anche persone che hanno una vita normalissima. Persone quasi a ogni livello di categoria sociale».


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