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5 per mille, tante organizzazioni non ne hanno colto le potenzialità

Andrea Romboli, neo presidente di Assif, pensa che il 5 per mille sia «una palestra perfetta per le piccole organizzazioni che ancora non fanno fundraising. Se non siamo in grado di raccogliere una firma, come pensiamo di poter portare a casa donazioni?». E sugli esclusi dice: «La riforma è complessa, mancano professionisti competenti che accompagnino le organizzazioni più piccole»

di Sara De Carli

Il 5 per mille torna a crescere, dopo la pandemia, ma nè gli italiani nè gli enti ne sfruttano appieno ancora le potenzialità. Ne è convinto Andrea Romboli, esperto di fundaising e neo presidente di Assif. «Il 5 per mille è uno strumento molto interessante soprattutto per gli enti più piccoli, che lo possono usare come prima palestra per il fundraising», dice. Il 5 pe mille infatti tecnicamente non è una raccolta fondi, dato che il contribuente non fa alcuna donazione ma semplicemente sceglie a chi destinare una parte della propria Irpef, che comunque verserebbe allo Stato. «Diciamo che dandoti la firma e la preferenza, il cittadino manifesta semplicemente una certa simpatia nei confronti di una organizzazione: ma se non riusciamo a portare a casa neanche una firma che dice questa simpatia (che comunque poi porta risorse), figuriamoci se riusciremo a convincere i cittadini a fare delle donazioni. Sono le organizzazioni le prime che devono far capire quanto è importante quella semplice firma».

L’altro dato rilevante che Romboli evidenzia è la quota di italiani che ancora non firmano e non destinano il loro 5 per mille. «Non firmano perché non sono stati adeguatamente informati, in particolare sulla gratuità dello strumento e sulla sua importanza per realizzare tante attività. Non dimentichiamo per un’organizzazione piccola raccogliere 300-500 firme con un valore medio di 30 euro a firma significa ricevere dallo Stato una cifra di tutto rispetto, che permette di realizzare tantissime cose. Ma a chi spetta questo compito di informare? Ci vorrebbe una grande campagna nazionale, certo, lo diciamo da tanto. Intanto spetta alla organizzazioni. Tutto questo per dire che c’è tanto lavoro da fare e tanto spazio ancora da occupare».

L’alto numero di enti esclusi che si è verificato nel 2022, per Romboli, è legato al fatto che «siamo in piena attuazione della riforma: alcuni enti sono passati in automatico nel Runts e altri invece hanno dovuto cambiare lo statuto, fare l’iscrizione al Runts e successivamente richiedere il beneficio del 5 per mille. Sembra semplice ma non lo è se chi ti segue non è preparato e se tu organizzazione non segui bene tutto quello che accade: in molte così per tempi o vizi di forma sono rimasti fuori in questa edizione. il problema è che serve una cultura diversa che parte dall’avere un quadro completo delle novità da parte delle organizzazioni ma anche poi dall’avere professionisti e consulenti esperti di Terzo settore, figure che ci sono ma non ancora abbastanza, necessarie per accompagnare il processo del cambiamento», conclude Romboli. «Poi certo ci sono le realtà che hanno deciso di stare fuori dal perimetro Terzo settore: stando fuori hanno minori vincoli e minori benefici. Non vuol dire che devono nascondere qualcosa, una realtà che vive di raccolta fondi e donazioni deve per sua natura rendere conto ai suoi donatori, si tratta solo di scelte ponderate e strategiche, che riguardano l’opzione per un regime fiscale piuttosto che per un altro».

Foto di Nick Hillier su Unsplash


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