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La parola /Re

Una favola nera. Senza lieto fine, senza appelli né scappatoie. La favola di un re e del suo popolo mancato. Che non si piacciono, ma alla fine si somigliano

di Alter Ego

C?era una volta un re. Era il re che gli italiani avrebbero avuto se per un imbroglio ordito da comunisti e democristiani nel 1946, al referendum costituzionale non avesse vinto la Repubblica. Questo re, esiliato da bambino per oltre 60 anni, con residenza svizzera e atteggiamento aristocraticamente neutrale a qualsiasi losco traffico, è poi rientrato grazie a un complesso di colpa. Non poteva usare bene l?italiano, usando propriamente i congiuntivi, avverbi, aggettivi, e infilando – raramente – una corretta consecutio, però conosceva bene tutto il catalogo delle parole oscene. Aveva un?idea chiarissima delle donne e ricambiava dell?ospitalità il popolo sardo, che negli anni l?aveva sempre accolto, appunto, come un re. Questo re faceva anche affari con i mafiosi, pensava sempre e solo al denaro, contrabbandava favori e corruzioni, e non riusciva a liberarsi, proprio no, dal vecchio vizietto di giocare con carabine e fucili illegali. La sua specialità però era raccogliere fondi per le orfanelle che amava tanto, anche in senso carnale. Insomma, non aveva problemi questo re a essere peggiore non solo della sua stirpe, ma anche della peggiore parte dei suoi mancati sudditi e della classe politica che con lui trafficava e che oggi si sente sollevata. Finché, un bel giorno, il re si svegliò in prigione e cadde dal letto. E gli italiani si svegliarono in Italia e continuarono a non accorgersi di non essere troppo diversi da lui.


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