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La Sanità in coma

I posti letto per i traumatizzati gravi sono solo cinquecento in tutta la penisola. Eppure in molte strutture si sta pensando di tagliarli ulteriormente

di Redazione

La denuncia di Marisa Borlini Valentini, fondatrice e anima del Telefono Bianco, è pesante. Dopo anni di lotta ora vuole arrendersi, sentendosi come «un Don Chischiotte andato a combattere contro un mulino a vento talmente grande che la gente ha imparato a non vederlo più». Ma davvero la situazione in Italia è così grave per chi ha un parente in coma o in riabilitazione post coma? A giudicare dalle cifre, parrebbe proprio di sì. Secondo l?Aci (Automobil Club Italiano), i feriti gravi per incidenti stradali sono 350 mila ogni anno: di questi il 35 per cento (circa 123 mila) rimane disabile a causa dei traumi subiti. E moltissimi fra di essi passa attraverso l?esperienza del coma. I casi di coma in seguito a incidenti stradali sono in aumento di anno in anno: l?Istat ne ha stimati 35 mila all?anno. A fronte di questa ?massa? di incidentati, i posti letto nei reparti di riabilitazione della penisola, non sono più di 500, per una media di 18 posti in media per reparto. Inoltre, la massima parte è concentrata nel Centro Nord. Occorre poi considerare che il periodo di degenza medio nei centri di riabilitazione è di cinque-sei mesi, per cui il ?turn over? è lentissimo. Nonostante la cronica carenza di posti letto, nessuno si preoccupa di aumentarne il numero. Anzi, al contrario: anche in questo caso si cerca di declinare il verbo più amato dai responsabili della sanità italiana: tagliare. Tagliare i posti letto, come sta succedendo all?ospedale di Passirana di Rho, alle porte di Milano. Tagliare il periodo di degenza, riducendolo quanto più possibile perché i posti costano. A Roma c?è un reparto modello per i comatosi, il reparto Lepanto dell?ospedale San Giovanni Battista, gestito dal Sovrano militare ordine di Malta nel castello pontificio della Magliana. Reparto che costituisce un punto di riferimento anche per tutto il sud d?Italia (a sud di Roma esistono solo due centri di riabilitazione) ma che è sul punto di chiudere: la Regione Lazio infatti non si è degnata nemmeno di una risposta alle insistenti richieste dell?amministrazione, che ha chiesto un sostegno economico per coprire almeno i costi reali del servizio dato. Dalla Regione né una lettera né una telefonata. Silenzio che è una condanna per l?ospedale, non più in grado di sostenere i costi della degenza. Nel vuoto delle istituzioni sorgono associazioni come Arco ?92 per la riabilitazione del comatoso (ha realizzato una guida per i familiari che si può richiedere allo 06/3294665) che sopperiscono con un?efficiente assistenza domiciliare a quanto non è offerto dal Servizio sanitario nazionale. Non sarà che il vero coma profondo è quello della Sanità italiana? Piccola guida per i familiari 1. In fase acuta il paziente ha innanzitutto bisogno delle cure del rianimatore e dell?assistenza continua di tutte le funzioni vitali (respirazione, attività cardiaca, pressione sanguigna). Occorre dunque affidarsi alle cure del reparto di rianimazione, terapia intensiva o neurochirurgia dove il paziente è ricoverato. Non ha senso nelle prime settimane chiamare consulenze esterne per avere più pareri, è invece utile lasciar lavorare con tranquillità i medici. 2. Nei primi giorni non serve bombardare il paziente con stimoli vari (cassette con musiche e voci, visite di più persone). È opportuno che il paziente avverta la presenza di parenti e amici nei momenti di visita o di colloqui con il microfono, con parole rassicuranti o magari con carezze e baci, senza caricarlo delle ansie che inevitabilmente vivono i familiari. È utile anche evitare, per i primi giorni, di lasciarlo in compagnia di cuffie con voci e suoni continui perché questo potrebbe impedirgli di riposare anche quando vorrebbe. Gli stimoli diventano utili, sempre con parsimonia, quando il paziente mostra segni di contatto con l?ambiente esterno. 3. Quando le condizioni si sono stabilizzate è opportuno che il paziente lasci la rianimazione o la neurochirurgia al più presto. Se i tempi di attesa dei vari centri di riabilitazione contattati sono troppo lunghi, non va scartata la possibilità dell?assistenza domiciliare, se le condizioni lo consentono e se i medici e gli infermieri (dell?Usl o della riabilitazione stessa) sono disponibili ad assistere a domicilio. In attesa del ricovero in riabilitazione è utile iniziare la fisioterapia. Informarsi anche presso l?Usl sulla possibilità di ricevere infermieri, ottenere letti ortopedici, materassi antidecubito ecc. Non bisogna trascurare di avviare una domanda di invalidità all?Usl: potrà poi non servire, ma sarà utile comunque per ottenere i presidi non a pagamento. 4. Il momento del ritorno a casa fa paura a tutti. Se abitate nella stessa città o non troppo lontano dal centro di riabilitazione che vi ha ospitato è bene programmare un ?day hospital? o un trattamento ambulatoriale che potrà durare anche dei mesi. Contattate l?Usl di competenza e ?pretendete? assistenza infermieristica e medica. 5. Per continuare la fisioterapia e la terapia cognitiva, se per voi non è possibile il day hospital o il trattamento ambulatoriale, la Usl e il Centro di salute mentale di zona potrebbe aiutarvi. In alternativa esistono associazioni per la terapia domiciliare. C?è una lunga lista d?attesa, ma intanto fate domanda e mettetevi in lista.


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