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Attivismo civico & Terzo settore

l’energia del futuro? bviene dalla campagna

ecologia Le imprese agricole che producono... kWatt

di Daniela Verlicchi

M onopolisti che impazzano nel mercato dell’energia, bollette salate e prezzi legati a doppio filo alle sorti del petrolio. Tra gli agricoltori c’è chi ha detto basta. E allora, autarchia: l’energia se la producono da soli. Con il biogas, i pannelli solari o le agroenergie non importa, purché sia verde.
I fratelli Corvezzo, ad esempio, producono vino nella marca trevigiana, a Cessalto, da più di 20 anni: spumanti, prosecchi, Cabernet-Sauvignon oltre agli autoctoni Raboso e Refosco. Con oltre 500mila bottiglie l’anno, 14 ettari di vigneto e un agriturismo, di energia ne usano. «Almeno 225mila kWatt l’anno», quantifica Giovanni Corvezzo , figlio di Renzo, uno dei due fondatori. Dall’11 novembre, l’elettricità la fanno in casa, o meglio sul tetto, con 1.800 metri quadri di pannelli solari sul capannone. La soddisfazione è palpabile, anche se l’investimento non è di quelli che si fanno a cuor leggero: un milione e 200mila euro, tanti anche in un settore fiorente come quello vitivinicolo. «Ce lo ripagheremo in una decina d’anni», quantifica Corvezzo, «ma non è solo una questione economica: fa parte della mission aziendale». Una scelta, dunque, ben calcolata: «Con i pannelli, l’approvvigionamento energetico diventa un costo fisso. Lo accantoni e non ci pensi più».
Per altri, invece, virare sull’energia verde è stata una necessità. Gianenrico Spoldi alleva maiali (9mila, destinati a produrre Parma e San Daniele) nell’azienda di famiglia Brugnole, a Trigolo, in provincia di Cremona. Un’attività non sempre gradita ai vicini. Soprattutto nel loro paesino di pianura, dove odori e olezzi ristagnano facilmente. All’inizio, spiega Gianenrico, figlio del proprietario Giacomo, è stata guerra: «Ordinanze, esposti, denunce per le esalazioni del nostro allevamento». Urgeva una exit strategy. Quella della famiglia Spoldi è stata geniale: un impianto a biogas che, oltre a produrre energia per l’intera azienda, ha ridotto gli odori. «Non è un roseto», ammette Gianenrico, però «nessuno si lamenta più». In pratica, coprendo la vasca che contiene le deiezioni dei maiali con i teloni che captano il biogas (e spostandola in una zona meno esposta ai venti), gli Spoldi hanno preso i canonici «due piccioni con una fava»: pace sociale e una riserva di energia gratuita. Fantascienza, soprattutto nel 2002, quando gli Spoldi hanno pagato 180mila euro per l’impianto, senza incentivi, né sovvenzioni. Oggi invece, grazie alla vendita di certificati verdi (300 l’anno a 75 euro l’uno), hanno dimezzato i tempi di recupero dell’investimento, guadagnandoci pure. Del maiale, si sa, non si butta via niente…


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