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Pedagogia

Lo sgomento non serve per educare

Il lavoro educativo è in crisi. Dinanzi alla fragilità diffusa e al timore per il futuro, l'educare deve ripartire da azioni che nascono dalla capacità di vedere e farsi carico di ciò che si è veduto, senza limitarsi allo sgomento

di Vanna Iori

occhi di un ragazzino

Sul valore del lavoro educativo si è costruita la storia dell’umanità. Educare significa lasciarsi interpellare dalla relazione e assumerne la responsabilità che contribuisce a costruire il futuro.  Il “ruolo” degli educatori in ogni servizio educativo nasce da qui ed è cresciuto modificandosi in relazione ai cambiamenti sociali, politici, culturali. E oggi proprio dalle grandi trasformazioni in corso dobbiamo partire.

Il tempo che stiamo vivendo è fatto di grandi trasformazioni sociali, relazionali e culturali, dal lockdown alle guerre, lo scenario ha comportato nuove fragilità e insicurezze che hanno profondamente cambiato il volto delle nostre comunità. Ci troviamo in una crescente difficoltà economico-sociale e in presenza di diverse criticità culturali e sociali che si intrecciano nello spazio e nel tempo: le differenze territoriali, le differenze di genere, i cambiamenti relazionali, la dissoluzione del tessuto solidaristico e la chiusura familiare, l’inverno demografico, la trasformazione del ruolo genitoriale, l’aumento delle violenze profonde. A questo si aggiunge la dispersione scolastica (l’Italia è uno dei paesi europei con il più alto tasso di abbandoni in Europa) e la mancanza di servizi educativi per la prima infanzia. Tutti questi elementi di fragilità sono poi in relazione con i tre macrocambiamenti del nostro tempo avvenuti nell’arco di una generazione: la crescente presenza migratoria, l’ingresso del web nella nostra vita e ora il ruolo dell’intelligenza artificiale.

Per aiutare i figli della crisi a trovare ancora possibilità di progettare futuro si impongono interventi per azioni che nascono dallo sguardo. Il che significa innanzitutto non limitarsi all’inquietudine o allo sgomento di fronte ai comportamenti più allarmanti che la cronaca ci riporta

Vanna Iori

Lo scenario

Di fronte a queste difficoltà il lavoro educativo è divenuto ancora più rilevante e necessario, ma anche più complesso per la crescente incertezza educativa. Tutti i lavori di cura sono in crisi: i modelli, il ruolo, l’identità, il valore del lavoro educativo ed anche il suo senso devono dunque rafforzarsi per fornire risposte efficaci alle nuove criticità. Purtroppo tutte le ricerche ci dicono che oggi si stanno moltiplicando le sofferenze esistenziali, le situazioni di malessere emotivo e il vuoto vissuto da molti bambini e adolescenti: un quadro desolante che esprime i vissuti emotivi di giovani che sembrano vivere quotidianamente sensazioni di malessere esistenziale, senza risorse cui aggrapparsi. Ragazzi isolati che non sanno prendersi cura di sé, come se la vita si esaurisse nell’attimo presente e non offrisse nessuna reale prospettiva di senso.  Una diffusa insicurezza, il timore di non corrispondere alle aspettative, l’incapacità di gestire le emozioni, il disorientamento. 

Ma le ricerche ci dicono anche che questi percorsi di fragilità hanno fatto riscoprire a molti ragazzi il valore della relazione “in presenza” con i compagni e le compagne di scuola. E mostrano il valore e  il senso del lavoro educativo, la “bellezza” di aiutare a costruire benessere esistenziale. In questo quadro, la prospettiva prioritaria da potenziare è la prevenzione. Per aiutare i figli della crisi a trovare ancora possibilità di progettare futuro si impongono interventi per azioni che nascono dallo sguardo; il che significa innanzitutto non limitarsi all’inquietudine o allo sgomento di fronte ai comportamenti più allarmanti che la cronaca ci riporta ogni giorno, ma cercare di conoscere i vissuti da cui hanno origine. La capacità di vedere e farsi carico del veduto è il primo passo della cura educativa che vuole alleviare il malessere nelle situazioni difficili. Mentre lo sguardo indifferente, che esprime in-curanza, “passa oltre”. 

È lo sguardo che genera il sentimento

Molto significativa è la parabola del Vangelo di Luca, in cui il Samaritano si ferma per aiutare un sventurato, lasciato mezzo morto dai briganti, uno sconosciuto, eppure, scrive Luca, “passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione”. Prima del samaritano erano passati un sacerdote e un levita che avevano proseguito la loro strada, senza curarsi di quella persona ridotta in fin di vita, cioè senza assumere la responsabilità di ciò che avevano veduto. 


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Lo sguardo genera il sentimento. Su questo versante le competenze emotive sono indispensabili per cogliere, valutare e gestire le emozioni proprie e riconoscere le emozioni di chi ci circonda e per compiere scelte di senso. Le emozioni sono sempre collegate alla ragione. Ma non dimentichiamo che anche se l’intelligenza cognitiva è molto importante, l’intelligenza emotiva e l’accompagnamento all’alfabetizzazione dei sentimenti sono indispensabili. La grande sfida educativa oggi è proprio questa: tenere insieme le competenze emotive con quelle cognitive. 

Il sapere dei sentimenti

Ecco perché educatori non ci si improvvisa. E la competenza emotiva deve essere prioritaria competenza professionale. Animare l’azione educativa significa darle anima e aver cura della vita emotiva è una risorsa pedagogica  spesso sottovalutata dal primato della ragione che ha dominato in gran parte il percorso del sapere: la visione cartesiana del “cogito ergo sum”. C’è un sapere dei sentimenti che non può più essere ignorato o sottovalutato, proprio quando le competenze emotive sono indispensabili in questo momento difficile.

Educatori non ci si improvvisa. La competenza emotiva deve essere prioritaria competenza professionale. Animare l’azione educativa significa darle un’anima e aver cura della vita emotiva è una risorsa pedagogica troppo sottovalutata

Vanna Iori

L’innovazione avrà quindi come obiettivo accoglienza  e inclusione che richiede la costruzione della comunità educante che è la risposta principale di solidarietà e condivisione di prospettive educative. Occorre cioè saper tessere reti tra scuole, Pubbliche amministrazioni, Regioni e Comuni, Asl e integrazioni con il Terzo settore, il privato sociale (e non), il volontariato, parrocchie, oratori, centri sportivi e culturali, scoutistici, musicali, artistici, e altre realtà aventi finalità educative per ragazzi.

Un sistema integrato dei servizi educativi basato cioè su co-progettazione e cor-responsabilità dell’azione educativa. Per superare questa stagione di isolamento e insicurezza, il tema della cura esistenziale diventa sempre più un perno educativo che riguarda tutti gli ambiti, formali e informali, dai nidi d’infanzia fino all’accesso al mondo del lavoro. Più opportunità offriamo ai ragazzi, maggiore è la possibilità di sottrarli all’emarginazione, al disagio e alla violenza. Bisogna iniziare subito ad agire, insieme. 

Vanna Iori, pedagogista, è ordinaria di Pedagogia all’Università Cattolica di Milano. Abbiamo parlato della difficoltà di educare in un tempo di delusione e disillusione nei confronti del futuro anche nell’ultimo numero di Dire, fare, baciare, la newsletter settimanale di Sara De Carli dedicata ai temi della famiglia e dell’educazione. Se sei abbonato a VITA, puoi già attivare l’iscrizione alla newsletter da questa pagina. Se invece ti interessano questi temi e vuoi sostenere il lavoro di VITA, puoi abbonarti a questo link: insieme al magazine avrai accesso a tanti contenuti esclusivi come i i podcast, i focus book, le newsletter e le infografiche. In apertura, foto di Mustafa Ezz, Pexels


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