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Cooperazione & Relazioni internazionali

L’unica chance dell’Occidente è riscoprire la libertà

Parla il filosofo e professore Alberto Pappalardo, che dopo la strage di Parigi non ha dubbi: «Questa guerra non si può vincere con prove muscolari ma solo con le idee. Riprendiamo in mano i grandi valori, come democrazia e libertà, e invece di affermarli, decliniamoli concretamente»

di Lorenzo Alvaro

I commenti non si contano più. Tutto il mondo, da ieri, non parla che di Parigi, del Charlie Ebdo, dei giornalisti uccisi a colpi di kalashnikov nella propria redazione e della caccia all’uomo per catturare i due killer. Tornano prepotentemente i discorsi nazionalistici e il controcanto di chi distingue tra terrorismo e Islam. Intanto in queste ore arriva la notizia di un strage da 2mila morti che i miliziani di Boko Haram hanno perpretato in Nigeria. Per provare a mettere ordine e a contestualizzare i fatti parigini abbiamo chiesto aiuto al professore e filosofo Alberto Pappalardo.

Di fronte alla strage di Parigi che idea si è fatto?
Ho questa impressione di fondo: quello che è successo va oltre al valore simbolico che gli si può attribuire. Non è solo una punizione alla blasfemia nei confronti dell'islamismo. Che è la lettura che ha fatto il Financial Times dicendo che Charlie Ebdo aveva passato il limite attirandosi le ire di questi signori. A mio avviso il punto fondamentale è un altro. Innanzitutto questo atto avviene dopo una serie di attentati che sembrano simili e che conseguono ad un appello arrivato da Al-Baghdadi con cui chiedeva di seminare con qualunque mezzo e dovunque in Occidente terrore e vulnerabilità. Ricordiamo Sidney, Ottawa, Boston. Su Parigi il punto di maggior rilievo è il salto di natura militare di questa strage. Un’operazione perpetrata per altro da parte, di persone che provengono dalla stessa comunità occidentale, francesi in questo caso. Un salto di qualità che vuole alzare il livello di scontro

In che senso?
Nel senso di provocare quello che era già un programma di Bin Laden che oggi si è sofisticato. Provocare una reazione molto forte e generalizzata che in qualche modo coinvolga tutto il mondo musulmano. Il risultato sarebbe di creare artificialmente la Umma, la Grande Famiglia Musulmana che ha effettivamente una sua universalità. Semplificando molto non è stato un atto semplicemente terroristica, ma un atto di guerra diffusa di cui si possono intravedere alcune linee strategiche.   

Si ripropone drammaticamente la questione irrisolta del rapporto tra occidente e oriente…
C'è da sezionare il problema. Indubbiamente il jihadismo sti sta collocando ben al di fuori dai limiti e confini di quello che chiamiamo Medio Oriente. All'interno del mondo islamico esistono tantissimi conflitti e contrapposizioni. Si tratta di un mondo estremamente complicato e magmatico in cui le politiche occidentali hanno messo le mani con una stolida semplificazione del problema.

Parla di quello che è succedo dopo il crollo delle Torri Gemelle?
Sì, come se dopo l'11 settembre americano la cosa migliore fosse seminare guerre e non pace. Un serie di interventi militari guidati dal pretesto della democrazia esportata e dall’esigenza di sanare una ferita gravissima nascondevano interessi ben più miseri e banali. Questo non ha fatto altro che complicare i problemi. A questo si aggiunge il secondo round di questo approccio estremamente limitato con le primavere araba. Salutate come una serie di disgeli importanti, non si è tentuo conto che avvenivano in un mondo percorso da una competizione interna che ha in tutti i casi favorito i fondamentalismi. Basti pensare a quello che è successo e alla situazione che vive oggi la Libia.
 
Leggo che in molti, spaventati dall'avanzare dei nazionalismi in Europa, provano a smarcare i fatti francesi dalla matrice religiosa. È un operazione sensata?
Buttarla sul terrorismo delinquenziale è eludere il problema. Non è nemmeno però specificatamente un terrorismo religioso. Da un punto di vista essenzialmente religioso queste forme di jihadismo sono poco compatibili con la stesa religiosità islamica. Lo spiegò bene anche Papa Benedetto XVI nel suo discorso a Ratisbona. Il problema è che tipo di equilibrio in questo magma spaventoso, che va dalla Nigeria al Turkmenistan, sia possibile realizzare all'interno di un disegno più ampio. Va visto in termini bellici o pre-bellici. Non lo relegherei al fenomeno religioso. Pensiamo solo al fatto che il cosiddetto Stato Islamico sta diventando uno Stato sul serio, oggi ha anche una propria banca.

Si tratta veramente di una dichiarazione di guerra? Per altro nel cuore di un'Europa che è ormai al centro di una cintura di conflitti grandi e piccoli. Le due cose sono collegate?
Le due cose sono effettivamente collegabili. È davvero, questa strage, una dichiarazione di guerra per approfittare di una profonda crisi d'identità dell’Europa. L'Ue non ha un politica estera, non sa cosa vuole fare da grande ed è facilmente aggredibile. Se lei guarda le dimensioni dello Stato Islamico, con che Stati e con che mari confina, scoprirà che un ponte nell'Europa lo può effettivamente gettare. Tenendo conto che questo tipo di atti bellici possono veramente ingenerare delle esplosioni all'interno di Stati in cui gli equilibri sono già saltati, come in Germania, Belgio e proprio Francia. Paesi In cui il conflitto sociali sono enormi e pronti ad esplodere.
 

Geopolitica del Mediterraneo. L'Europa è cinta da un arco di instabilità che si estende dall'Ucraina fino al nord Africa

Si parla di attacco alla libertà. Forse però è il caso di capire in cosa consista la libertà dell'Occidente…
Certamente. C'è indubbiamente una reazione quasi pavloviana, sia sui grandi giornali italiani che stranieri, nel parlare di un occidente senza macchia attaccato da un demonio esterno. L'Occidente invece ha grandissime responsabilità in quello che sta accadendo e sembra non comprendere che certe situazioni non si possono risolvere con reazioni muscolari quando non isteriche. Le guerre non si vincono solo con i muscoli. Ci vogliono le idee. Ma per avere le idee bisogna prima riprendere in mano i termini. Ricordarci cosa significhino democrazia, popolo o libertà. Per vincere una guerra bisogna innanzitutto depotenziare l'armamentario lessicale, ideologico, linguistico e mediatico dell’avversario. Ma non si può fare parlando dei grandi temi, bisogna declinarli concretamente. Per affermare la libertà bisogna dimostrarla non discuterne. Mi chiedo: perché in un mondo occidentale che si considera libero ed evoluto c'è un grande numero di persone che vanno a cercare un senso, obbiettivi e regole da quello che è considerato un nemico?    

Da dove viene questo deserto del pensiero?
Quello che indubbiamente è una inevitabile caratteristica delle società globalizzate e poi massificate, anche in senso buono, è che non si riesce a contestualizzare. C’è un enorme indebolimento della prospettiva in mancanza di una retrospettiva. Mi spiego: tutto quello che succede oggi va messo in prospettiva sulla base di un analisi di quello che è successo negli anni precedenti. Mi chiedo, un giovane di 30 anni oggi che tipo di approccio può avere? Che elementi ha per capire da dove viene quello che succede nell'oggi? Non c'è più la possibilità di un punto di vista prospettico e documentato e contestualizzato all'interno in uno sguardo a largo raggio. C'è un bombardamento tale che questo non è più possibile.

     


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