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Medici in crisi di fiducia

Vengono consultati sono nei casi più "facili" o per avere il via libera alla visita dello specialista. Ma non sono soltanto i dottori della mutua a pagare il prezzo della crisi

di Marco Piazza

Pragmatici, realisti, informati. Pronti ad aprire il portafoglio per farsi curare al meglio. E disponibili anche a sostenere parte dello sforzo di riorganizzazione dell?intero sistema sanitario nazionale. A patto che, in cambio, venga fornita efficienza e qualità. Italiani e sanità: un rapporto difficile, almeno a leggere le cronache dei giornali. E ancora di più se ci si rifa ai ragli delle ultime Finanziarie. Eppure la domanda di salute, quella sì, cresce, nonostante la crisi dello Stato sociale e i casi di malasanità. Non può essere alitrimenti, visto che la popolazione invecchia e ha sempre più bisogno di cura e di assistenza. Diventa quindi di importanza, soprattutto per chi dovrà ristrutturare l?intero sistema sanitario, sapere come si organizza la gente. A quali strutture si riferisce. Cosa si aspetta dal futuro. Ci riesce la Fondazione Censis con il libro ?La domanda di salute negli anni Novanta? (Franco Angeli editore, Milano), un testo che arriva esattamente dieci anni dopo una ricerca analoga e che fornisce spunti utilissimi al dibattito sulla riforma del Welfare state. La prima cosa che si nota è il confronto dei risultati con quelli della precedente edizione. Dalla fine degli anni Ottanta gli italiani sono cambiati, sono diventati più esigenti e più simili a popoli maggiormente evoluti. La fiducia nel servizio -pubblico – che – pensa – a- tutto è definitivamente tramontata. La percezione della crisi dello Stato sociale è largamente diffusa; allo stesso tempo, però, gli italiani sanno bene che la Sanità privata, da noi, non può essere paragonata (se non in rari casi) a quella delle nazioni anglosassoni. Ecco quindi emergere l?importanza dell?infomazione. L?italiano vuole sapere dove può ricevere le migliori cure, non dove risparmia. E al medico, più che la cortesia o la disponibilità, chiede la professionalità. Passando ai dati, dopo aver specificato che il campione è composto da 2000 individui (di cui il 13 per cento ritiene di avere un eccellente stato di salute, il 62 per cento buono, il 20 mediocre e il 3 non buono), si passa al rapporto con il medico. In generale le qualità richieste a un dottore sono capacità professionale ed esperienza (58%), capacita di rapporto umano (34%), disponibilità e reperibilità (15%). Cambia, e radicalmente, la funzione del medico di famiglia. Nel 1987 era prevalentemente (nel 42% dei casi) il medico di fiducia, da cui farsi curare per tutte le malattie. Oggi quella percentuale scende al 30 per cento. E il medico di base diventa prevalentemente (44 per cento dei casi) la figura che cura le malattie ?facili? e indirizza allo specialista i casi più gravi. Complessivamente il medico di famiglia è più amato dagli anziani che dai giovani e sono ancora pochi coloro che lo cambiano (10 per cento). L?informazione, dicevamo, è fondamentale; vediamo da dove arriva. Dal medico di base (53 per cento), da familiari o parenti (23%), dal farmacista (6.5%), da rubriche televisive (28%), da pubblicazioni e riviste specializzate (17%), da quotidiani con inserti salute (17%). Prudenza e responsabilizzazione, virtù che gli italiani esercitano anche nei confronti dei farmaci. Per il 60 per cento degli intervistati vanno utilizzati con molta cautela, sotto stretta sorveglianza medica e solo in casi limitati. Il 41 per cento ritiene che ci sia un?offerta eccessiva rispetto alla quale si fa fatica ad orientarsi. Infine qualche dato globale. La spesa privata per la salute nel 1997 è stata pari a 44 mila miliardi di lire. Di questi, 17 mila miliardi sono serviti per farmaci, 3 mila per materiali terapeutici; 13 mila per servizi medici e 10 mila per case di cura. Sorpresa, il pubblico vince in affidabilità Pubblico o privato? Clinica o ospedale? In moltissimi in Italia, si sono trovati almeno una volta a dover prendere questa decisione. E l?imbarazzo della scelta è destinato a crescere, visto che ora i nosocomi si chiamano Aziende sanitarie e le strutture sanitarie sono il più delle volte, convenzionate con il pubblico. Dalla ricerca del Censis il punta di vista dei cittadini emerge con chiarezza. In caso di malattia grave il campione (vedi tabella) si affida a una struttura pubblica per quasi il 50 per cento e il gradimento del pubblico aumenta con l?avanzare dell?età. Alla sanità privata si affida il 34 per cento, mentre il 16% prende la via dell?estero. La qualità delle strutture pubbliche, dopo la nuova riforma sanitaria, è rimasta per gli italiani sostanzialmente stabile (63%). I servizi più carenti? Quelli per gli anziani (56%) e l?assistenza domiciliare (49%). Quanto alle strutture e ai medici privati, le frequentano di più le persone con alto livello di istruzione (47%) e i motivi sono i tempi più rapidi la maggior fiducia. Per ciò che riguarda i disagi, sono forti nel pubblico, principalmente a causa della lontananza da casa, delle attese nell?ambulatorio e della scortesia degli impiegati.Curioso notare che il numero di coloro che ricorrono a ?raccomandazioni? per farsi curare è calato in dieci anni dal 39 al 22%. Quanto alle ultime ?novità?, sostanzialmente promosso, dice il Censis, il riccometro e ancora poco utilizzate le assicurazioni sanitarie private. Anziani, 76 su cento li cura la famiglia C?è molto spazio per il volontariato e per la solidarietà, nell?ambito della Sanità italiana. E la ricerca del Censis non poteva non tenerne conto. Nel libro lo chiamano ?supporto della rete informale? e dietro questa brutta locuzione ci sono le famiglie che assistono direttamente i loro parenti ammalati, le associazioni di malatti e di volontariato. Il primo dato che emerge è che nel 76 per cento dei casi, gli anziani non autosufficienti (e il 74 per cento dei disabili) sono curati esclusivamente dalla famiglia, mentre si rivolge agli istituti solo il 6 per cento degli intervistati. Ma la solidarietà non è circoscritta nell? ambito familiare. Un buon 37 per cento degli intervistati offre ospitalità o accompagnamento a persone bisognose, il 23 per cento aiuta il prossimo nell?espletamento delle pratiche burocratiche, il 27 per cento fornisce assistenza. La partecipazione ad associazioni di volontariato e di malati riguarda il 10 per cento del campione, mentre il 7,7 per cento dichiara l?intenzione di farne parte, in futuro. Quanto al giudizio sulla loro attività, il 41 per cento ritiene che svolgano un ruolo di supplenza, intervenendo dove lo Stato è insufficiente, il 31 per cento crede che in settori come quello dell?assistenza le associazioni debbano affiancare il servizio pubblico, mentre il 27 per cento dichiara che se il pubblico funzionasse bene non ci sarebbe bisogno del volontariato.


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