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Ogni secondo consumiamo 8 metriquadri

Questo il dato che dà il titolo al libro di Domenico Finiguerra, “8 mq al secondo. Salvare l'Italia dall'asfalto e dal cemento”. L'autore non ha dubbi «invece di continuare a costruire creiamo occupazione salvando i nostri territori»

di Lorenzo Alvaro

Si chiama “8 mq al secondo. Salvare l'Italia dall'asfalto e dal cemento” edito da Emi edizioni ed è l'ultima fatica di Domenico Finiguerra. Ex sindaco (dal 2002 al 2012) di Cassinetta di Lugagnano, Comune in provincia di Milano, l'autore è anche promotore della campagna e del Movimento nazionale “Stop al Consumo di Territorio”. Il libro riporta dati allarmanti su temi come il dissesto idrogeologico, il consumo di territorio e la cultura economica del cemento in Italia. Per addentrarci nel lavoro abbiamo chiesto a Finiguerra di raccontarci il suo libro.
 

La copertina del libro


Nel libro lei cita il Rapporto Ispra 2013 che spiega come in Italia oggi si consumino «8 metri quadri al secondo. In un anno significa 31 milioni e 536mila di secondi pari a 252.288.000 metri quadri. Oltre 252 kmq». Che cosa ci dice questo dato? 
Intanto ci restituisce una fotografia di un Paese in mano ad una politica che ha divorato la terra in maniera insostenibili con un ritmo folle. Denuncia una classe dirigente che manca di prospettiva e intelligenza. A questo dato poi vanno affiancati i milioni di edifici e capannoni vuoti e in stato di abbandono che disseminano il territorio nazionale e le conseguenze dal punto di vista economico e finanziario, dovuta alla bolla immobiliare che ci ha portato a questa situazione. Da ultimo ci sono anche le conseguenze della cementificazione del suolo che dà vita a gravi dissesti idrogeologici. In queste settimane abbiamo avuto la dimostrazione di quello che è successo in tutta la sua drammaticità. Basta ormai una goccia per far traboccare il vaso.

Ma l'Italia non era un Paese nimby in cui è impossibile costruire per l'ostruzionismo delle comunità locali?
Altro che nimby. Non è così. È una impressione legata alle vicende della Val di Susa o del ponte sullo Stretto Dove non si tutela il proprio giardino ma si prospetta, con l'opposizione alle grandi opere, un altro paradigma economico e sociale. Ma in realtà è solo retorica. Basta fare un giro per l'Italia per scoprirlo. Il problema è dovuto alle migliaia di piani regolatori, pianificazioni, concessioni edilizie, rilasciate dagli 8mila comuni d'Italia. Una sterminata serie di cantieri che è diventata piano piano una rete fittissima. Rese ancora più pesanti negli effetti dall'edificazione di migliaia di centri commerciali. Quelle dove sorgono questi enormi centri dello shopping erano tutte zone agricole che vanno scomparendo. È un processo che sembra inarrestabile.

Ma com'è possibile che si continui a parlare di crisi, anche del mattone, e allo stesso tempo si continui a costruire a ritmi forsennati?
Quello dell'edilizia è un ambito in cui si continuano a fare un sacco di soldi nonostante la crisi. Ma questa economia basata sul cemento e sulla speculazione svuota l'economia reale. Perché fa mancare le risorse a ciò che ha un impatto reale sulla vita delle persone. La speculazione uccide l'utilità sociale. La nostra Costituzione agli art. 41 e 42 dice che la proprietà privata e l'impresa privata devono essere tutelate e incoraggiate se rispettano questa utilità sociale. Non è un fatto casuale. Ma qui si apre il grande tema: che utilità per la collettività possono avere capannoni vuoti o stabili di cento appartamenti abbandonati. La politica dovrebbe porsi queste domande.

Parlando di dissesto idrogeologico, nel suo libro cita il Rapporto di Ance e Cresme del 2012 secondo cui «i comuni ad elevata criticità sono 6.631, cioè l'89,1% del totale per una popolazione a rischio di 5,8 milioni di persone. Gli edifici a rischio sono 4,2 milioni, di cui 3,9 milioni abitazioni e 34mila capannoni». Come si gestisce una criticità così vasta?
Si gestisce facendo investimenti ingenti. Secondo il Ministero dell'Ambiente nel 2012 erano 41 miliardi di euro la cifra utile per mettere in sicurezza tutto il territorio. Servono tantissime piccole opere. La sicurezza è un diritto. Ma è anche un settore che potrebbe assorbire il lavoro che l'edilizia perderebbe se si fermasse questa corsa al cemento. Se spostassimo le risorse pensate per le opere faraoniche e inutili come il Tav sulla sicurezza potremmo veramente recuperare i territori

Il Governo e molti tecnici però ritengo, alcuni lo hanno anche dichiarato apertamente, che in un momento come questo è preferibile anche fare opere inutili piuttosto che la stagnazione e che quini lo Stato deve investire, investire in qualunque opera dia lavoro e crei occupazione…
L'investimento non è spreco. Se dobbiamo investire facciamolo su quello che di utile c'è da fare. E mi pare che nell'elenco delle cose utili al primo posto c'è la messa in sicurezza del territorio. Certo per una rete fognaria non si fanno tagli di nastri o eventi che creano consenso elettorale Però è questo quello che serve. Abbattimento di barriere architettoniche e nuove fognature. Mentre invece nello Sblocca Italia si parla dell'autostrada Orte-Mestre. Abbiamo le città più belle i paesaggi migliori ma investiamo sul cemento e sulla deturpazione di questo patrimonio.

Lei è stato sindaco in provincia di Milano quindi conosce la realtà lombarda. È la regione con il più alto tasso di sfratti eseguiti e con il maggior numero di edifici abbandonati. Con tutti i problemi, tra questione abitativa e rischio idrogeologico, che conosciamo. Expo poteva essere uno strumento per provare a cambiare le cose?   
Poteva essere una grande occasione. Ma ormai il danno è stato fatto. Mille ettari di suolo agricolo cementificato per fare la kermesse più grande del mondo che parla di nutrire il Pianeta. Sarebbe ironico se non fosse drammatico. Si sarebbe potuto fare benissimo un evento diffuso, nei milioni di metri cubi di edifici vuoti che la città può vantare. Se si fosse usata la fantasia si sarebbe potuto recuperare tutto questo patrimonio. Invece l'unica cosa diffusa sono questi fantasmi, volumetrie vomitate per mettere a rendita e in patrimonio qualche milione in più. Credo che sia arrivato il momento di cambiare le cose. Di cambiare il paradigma con cui si gestisce il territorio.



 
 
 


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