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Poteri centrali e poteri locali, contrordine?

di Gianfranco Marocchi

Per chi non fosse già assiduo lettore di NotizieInRete, l’articolo pubblicato lunedì scorso.

Solo un abbozzo di riflessione, per ora, ma il tema meriterà senz’altro di essere approfondito. Questa ultima fase politica ha portato, nell’ambito di misure assunte per lo più sotto l’urgenza di contrastare la crisi, ad una decisa sterzata in tema di federalismo, forse più agita che teorizzata, ma non per questo meno rilevante. Mettiamo insieme alcuni aspetti:

  1. emergono gli scandali in Lazio e in altre regioni, tra sprechi e privilegi; esce poche settimane fa il libro “La casta invisibile delle regioni“, CGIA Mestre pubblica i dati sulla crescita della spesa regionale nell’ultimo decennio; si potrebbe continuare con innumerevoli contributi che, dal caso Fiorito in poi, argomentano come le Regioni spendano tanto e male;
  2. le manovre finanziarie che si sono succedute dal 2008 ad oggi (DL 112/2008; DL 78/2010; DL 95//2012) hanno sottratto quantità ingenti di risorse alle Regioni (e più in generale ai diversi livelli di governo locale), che di fatto, al di là della gestione sanitaria – affidata però nei fatti ad aziende con questo specifico compito – dispongono di risorse ormai minime da destinare in base a proprie opzioni politiche. Le regioni esercitano un potere regolativo ma hanno sempre meno in mano il portafoglio;
  3. da un punto di vista ordinamentale, mentre sino a pochi mesi fa il cammino sembrava orientato ad una sempre maggiore diffusione dei poteri verso il livello locale, gli ultimi provvedimenti (primo tra tutti il DL “Nuove misure in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali”) vanno in direzione contraria, determinando un regime molto più stringente di controlli sulla spesa delle regioni e definendo in sede centrale quante risorse per la gestione della macchina regionale. E vale poco notare che l’inserimento di questo mutato assetto in una riforma del Titolo V della Costituzione in senso meno federalista sia probabilmente destinato a subire una battuta d’arresto, è un salvataggio della forma, di fronte ad una sostanza chiara: Errani si ritrova ad applaudire un “impianto omogeneo” sui costi degli apparati regionali (pochi mesi fa le Regioni avrebbero fatto barricate sostenendo che si trattava di aspetti da autodeterminarsi in sede regionale) e, dopo un tentennamento delle regioni trattenute dalle spinte locali, è stato il Governo a definire quali province andassero accorpate (idem, impensabile un anno fa);
  4. ciò avviene nell’ambito della constatazione che non sempre, come documenta un articolo di qualche giorno fa su LaVoce.info, il decentramento in assenza di risorse di capitale sociale locale, porta benefici ed eguaglianza; se mai ci fosse bisogno di ulteriori argomentazioni, il Rapporto sulla coesione sociale 2011, ben documentava le diseguaglianze nel welfare locale, più debole dove i bisogni sono maggiori;
  5. soprattutto in campo sociale, in tutti questi anni i vari Governi succedutisi si sono dimostrati incapaci di dare gambe ad un welfare regionale distruggendo alla base – economicamente e normativamente – il concetto di livello essenziale delle prestazioni che avrebbe costituito il necessario complemento da parte statale ad un serio disegno federalista.
In sintesi, che valutazione dare di questa evoluzione? Certamente il tema è complesso, vi sono buone ragioni per sostenere, in ottica di sussidiarietà verticale e di rispetto dei territori, le buone ragioni di un impianto decentrato e federalista, e vi al tempo stesso sono tutti i temi sopra richiamati che mettono in luce i limiti di come questo disegno si è realizzato in Italia. Resta solo da capire se sia peggio l’inazione e la confusione che hanno portato a quanto sta accadendo o il mutare senza dibattito politico in poche settimane sotto forma di misure d’urgenza un orientamento maturato in oltre un decennio di riflessione politica.


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