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Quante stelle ha il terzo settore?

di Gianfranco Marocchi

Premessa d’obbligo: non ritengo un blog su Vita luogo di coming out elettorale e comunque in questo post non intendo cimentarmi in giudizi su diversi aspetti del Movimento 5 Stelle rilevanti per decidere il proprio voto: capace di governare o composto da giovani di buone intenzioni ma di poca esperienza; dotato di un programma propositivo e articolato o legato ad alcune tematiche specifiche e settoriali; portatore di proposte condivisibili e praticabili o di istanze confuse e velleitarie? Di questi e altri interrogativi – che per brevità ometto – non parlerò.

Ho però seguito diverse fasi della campagna elettorale in Sicilia attraverso le dirette web degli eventi di piazza e marginalmente attraverso quanto appariva sui principali – e inadeguati – organi di informazione; e penso che, quale che sia il giudizio di ciascuno sulle questioni sopra richiamate, quanto avvenuto abbia messo in luce degli elementi che meritano una riflessione attenta da parte di chi opera nel terzo settore.

Il punto di partenza sono le piazze piene – al di là che ad esse corrispondano o meno, come afferma (e spera) Musumeci, urne vuote. Certo, vi sarà, come è stato scritto, chi va lì per godersi lo spettacolo gratuito di un comico, ma sarebbe riduttivo. Guardate le facce dei presenti. Non sono piazze piene di esaltati, di risentiti, non sono composte solo da attivitsti, non ci sono capobastone, persone in carca di posizionamento che vogliono farsi vedere presenti da un leader; nelle piazze vi è una fetta di normale cittadinanza, ci sono tante normalissime persone e famiglie, proprio quelle che ciascuno di noi vorrebbe riuscire a coinvolgere nelle iniziative che fa. Si tratta di una fetta di cittadinanza che accetta – chi per un’ora, chi in modo più impegnativo e continuativo – di dedicare al minimo qualche neurone e spesso molto di più a riflettere sul bene del proprio territorio, magari anche alternando una riflessione ad una risata più o meno amara, ma comunque uscendo da casa per trovarsi insieme ad altri a sentir parlare di ambiente, lavoro, partecipazione e così via.

La seconda questione riguarda gli interventi che si sentono da palco. Lasciamo da parte quelli di Beppe Grillo, guardatevi in rete quelli di candidati e cittadini. Sono gli interventi che ciascuno di noi vorrebbe avere in una iniziativa pubblica realizzata dalla propria organizzazione. Giovani, mediamente informati e preparati, con qualcosa – condivisibile o meno – che desiderano dire su come rendere migliore la propria comunità locale. Ci sono gli interventi belli e articolati e quelli un po’ confusidei ragazzi a cui davanti al pubblico gli si intralciano le parole, gli interventi densi di proposte e altri più limitati ad esprimere un disagio, magari ogni tanto anche qualcuno un po’ fissato e logorroico (è il il classico di ogni iniziativa non blindata, ciascuno di noi lo sa bene), ma in generale quello che emerge è l’espressione di una grande voglia di partecipazione.

Media e politica sono stati in questi anni del tutto incapaci di comprendere questo fenomeno. Categorie come populismo, antipolitica, il ruolo del leader, lo straccio delle vesti per una qualche battuta di Grillo sono esercizi vuoti e inconsistenti di informazione o di politica dalla coda di paglia. Non comprendono il fenomeno ma soprattutto le istanze che vi sono alla base. E’ compito del terzo settore sapere andare oltre, leggere e interpretare gli aspetti veramente rilevanti. Il fatto che mille o diecimila cittadini si ritrovino in una piazza dove, certo, parla un personaggio istrionico di richiamo nazionale, ma parlano anche trenta o cinquanta concittadini, generalmente giovani, e parlano delle imprese che inquinano e deturpano l’ambiente, del rilancio del territorio attraverso il turismo, di come sostenere il lavoro, dei servizi, della partecipazione, di come rinnovare la politica e la classe dirigente: questo è un patrimonio prezioso, che va riconosciuto. E va tenuto a mente da tutti noi, quando aspiriamo a parlare con le comunità locali e di attivarle e coinvolgerle, ma rischiamo di dialogare con soci, operatori e istituzioni. La fuori c’è un mondo ricco che, a certe condizioni, sa esprimersi e partecipare. E’ lì che dobbiamo andare.


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