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Scuola, la scommessa di Obama

Così il presidente eletto si appresta a introdurre un meccanismo che premi i professori più capaci disposti a insegnare nelle aree più disagiate

di Martino Pillitteri

Un po’di fondi qua, qualche milione di dollari là; i soliti pacchetti per stimoli fiscali e il summit allargato anche ai paesi in via di sviluppo. Tuttavia, grandi novità e soluzioni innovative per contenere la crisi economica globale, dal summit sulla crisi economia, il G20, non sono emerse. In compenso, tante foto di gruppo e le solite frasi di circostanza. Insomma, business as usual, in un periodo di unusual bad business. 


Ma forse, come ha scritto Nicholas Kristof su un editoriale pubblicato sull’International Herald Tribune, la politica anti crisi meno risonante per i politici e per le analisi dei media, non la si trova tra le dichiarazioni di ricorrenza dei leader mondiali, bensì in uno dei punti nel programma elettorale di Obama: la riforma del sistema scolastico americano. Il più efficace programma anti povertà sostiene Kristof, non ha nulla a che fare con la redistribuzione delle risorse, bensì fornendo una buona educazione scolastica a tutti i bambini, dalle pre-elementari in poi. Infondo, se gli studenti americani avessero una preparazione pari a quella degli studenti asiatici in materie scientifico, l’economia americana crescerebbe del 20% in più”.


Parlare di educazione scolastica nei summit economici e nei media non vende, tuttavia investire sulla scuola alla fine è un guadagno per tutti. Oltre a Kistof, questo è un paradigma caro anche a credibili opinion maker come Fareed Zakaria e  a un “pensatoio” prestigioso come il Think Tank americano the Brookings Institution.  Nel suo ultimo libro, The Post American World,  Zakaria, sostiene che “il problema dell’America non sono le scuole in generale. Il problema centrale sono le scuole disagiate. Troppi bambini non sono al passo con i tempi.


E allora cosa si può fare? Alcune riposte ed idee vengono dal recente studio, The Hamilton Project pubblicato dal Brookings Institution, che promuove la necessità di eliminare i rigidi certificati che sono richiesti quando si assumono gli insegnanti, di rendere più semplice il licenziamento di quelli impreparati, e di pagare sopra la media quei professori con un background di successo che sono disposti a insegnare in scuole degradate e in quartieri disagiati. Queste sono anche le soluzioni che Obama ha esposto alla nazione in campagna elettorale.


La cosa interessante è che all’inizio della campagna elettorale, prima della crisi subprime e del fallimento di alcune grosse banche d’affari, Obama aveva dichiarato che la riforma scolastica sarebbe stata la quinta priorità della sua amministrazione. Ma ora che, oltre agli indici in ribasso, il senso dell’urgenza di investire  nella scuola è percepito e promosso anche da una parte di opinion maker e dell’informazione, ci sarà anche un “change” tra le 5 priorità del neo presidente?


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