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Se L’Europa riscopre le sue povertà

Il Consiglio europeo di primavera non passerà probabilmente alla storia per decisioni epocali, né sul futuro delle politiche energetiche, né su altri punti caldi...

di Luca Jahier

Il Consiglio europeo di primavera, svoltosi a marzo, non passerà probabilmente alla storia per decisioni epocali, né sul futuro delle politiche energetiche, che così tanto avevano animato l?agenda delle settimane precedenti, né su altri punti caldi dell?agenda europea. Senza troppo clamore però, le conclusioni del Consiglio hanno fatto registrare novità importanti sul fronte delle politiche sociali. La coesione sociale è tornata al centro dell?agenda, dopo un lungo periodo in cui era apparso evidente un deciso sbilanciamento sul fronte delle questioni della competitività e della creazione del lavoro. «Se vuole assicurare la perennità del modello sociale europeo», si legge nel n. 69 delle conclusioni del vertice, «l?Europa deve intensificare i propri sforzi per generare una crescita economica più forte, aumentare il tasso di impiego e di produttività, rafforzando l?inclusione e la protezione sociale, conformemente agli obiettivi fissati dall?Agenda sociale». «La crescita e l?impiego», si afferma ancora, «sono al servizio della coesione sociale (…) la protezione sociale deve essere considerata fattore di produzione (…) bisogna prendere delle misure per dare uno slancio decisivo alla riduzione della povertà e dell?esclusione sociale entro il 2010». Un fatto dunque importante, che si fa carico delle gravi preoccupazioni che attraversano sempre di più l?Europa. Se da un lato infatti ci sono oggi meno poveri in termini assoluti in Europa del 1970, d?altro lato le disparità non cessano di accrescersi, soprattutto nei paesi dell?area mediterranea e anglosassone. Secondo le stime dell?Eurostat, ben 72 milioni di persone sono oggi a rischio di povertà in Europa, condizione che scatta per coloro che guadagnano meno del 60% del reddito medio del paese in cui risiedono. Il 19% di italiani, spagnoli e portoghesi si trova in questa situazione, contro una media europea del 16%. Irlanda, Grecia e Slovacchia superano il 21%. L?Eurostat inoltre denuncia il crescente aumento delle disuguaglianze: il 20% degli europei più ricchi ha quasi cinque volte di più del 20% più povero. E cresce la povertà di molti lavoratori: 3,5 milioni di persone vivono una condizione stabile di precariato che rende impossibile l?esistenza di una flessibilità sostenibile, con tutele sociali assai scarse. In Spagna, quasi un terzo della forza lavoro è impiegata secondo forme di lavoro temporaneo o non permanente, mentre in Gran Bretagna si raggiunge quasi un quarto della forza lavoro impiegata secondo modalità di part time, che in molti paesi significa meno di 15 ore settimanali e relega così il lavoratore in una situazione di quasi disoccupazione. Circa un quarto di tutti gli impieghi in Europa può essere così considerato o lavoro precario o lavoro di bassa qualità, cifra alla quale si arriva se si accoglie il criterio definito dall?Employment in Europe Report del 2001 della Commissione europea, con un lavoratore a tempo pieno su sette che ha un salario molto basso. Ben venga dunque la rotta segnata dal Vertice di Bruxelles, che potrebbe rilanciare una nuova stagione della strategia di Lisbona. Ben sapendo però che sarà a livello nazionale che tali impegni andranno misurati, e tutti i governi devono ora fare il loro dovere per raggiungere i concreti traguardi sociali definiti in sede comunitaria, se vogliono davvero riguadagnare la fiducia dei propri cittadini e far uscire l?Europa dal difficile tunnel nel quale si è infilata negli ultimi anni. Qui trovi le conclusioni del Consiglio europeo http://europa.eu.int/comm/councils/bx20060323/index_en.htm


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