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Signora Borsellino, permette una foto?

Le scrivo dalla casa circondariale di Rebibbia perché voglio dedicare un pensiero alla vedova Borsellino

di Cristina Giudici

Le scrivo dalla casa circondariale di Rebibbia perché voglio dedicare un pensiero alla vedova Borsellino. Il 25 maggio scorso nel carcere di Rebibbia è stata celebrata la Santa Messa per padre Pio da Pietralcina. Quando la messa si è conclusa, il direttore della casa circondariale, Maurizio Barbera, ha annunciato che era presente la vedova di Borsellino. Non le nascondo che ho provato una grande emozione nel vederla prendere la parola in mezzo a un pubblico di reclusi, ma quell?apparente contraddizione è stata subito esorcizzata da un sincero applauso. Il nostro, è stato un trasporto genuino che sicuramente ha fatto breccia nel suo cuore, infatti la signora ci ha restituito la sua voce quasi tremante e, con fare materno, mi ha indotto a provare un senso di colpa e rabbia nei confronti di coloro che ci tacciano spesso di avere solo cattivi sentimenti. Mentre la signora Borsellino parlava, provavo una sensazione indefinibile e sentivo dentro di me il dovere di rimediare; così mi sono lasciato guidare dall?istinto e quasi senza accorgermene mi sono ritrovato davanti a lei balbettando: «Mi scusi signora, mi permette di fare una foto con lei?» Mi sorrise e si avvicinò ancora di più verso di me, la presi sottobraccio e stringendole la mano ci fotografarono così… Non le nascondo che me ne andai con una certa amarezza e, superato il mio stato di confusione, capì che più della foto avrei desiderato tanto parlarle come si fa a una donna colpita nei suoi affetti e avrei fatto qualsiasi cosa per poter annullare la distanza che c?era fra me e lei: per poter restituirle il dono che ci aveva fatto venendo a trascorrere una mattinata con noi. Non è la prima volta che mi trovo coinvolto in un sistema di rapporti che ti dicono chiaramente che la vita è un?altra, che può essere diversa… Sapesse quanto questa riflessione mi spaventi quando penso all?eventualità di ritrovarmi in futuro fuori, libero e mi accorgo che sono solo un pregiudicato, pronto per una nuova detenzione e constato che, per un perverso gioco della vita proprio qui dentro ho scoperto i buoni sentimenti… Perché tutto questo?

Nazzareno Zambotti carcere di Rebibbia (Roma)

Caro Zambotti, la sua lettera mi ha dato molta allegria. Il racconto della sua esperienza di fronte al gesto di coraggio della vedova Borsellino, è una lezione per tutti noi. Si, perché lei mi ricorda che, a forza di scrivere e parlare delle malattie croniche delle carceri italiane, siamo diventati un po? superficiali e frettolosi. Le sue parole dimostrano che nella sofferenza della carcerazione si può riflettere e iniziare a vedere le cose in modo differente. Spesso, quando scrivo di carcere e di carcerati, penso ai detenuti solo come uomini cattivi o uomini buoni diventati cattivi a causa dei propri sbagli, ma anche delle avversità della vita o del disagio sociale. Mi è sempre stato detto che in carcere sia il poliziotto che il detenuto nutrono un profondo rispetto nei confronti dei condannati per mafia. Ho sempre saputo che lì dentro l?universo dei valori è diverso perché per sopravvivere bisogna essere feroci. Beh, dopo aver letto la sua lettera, forse mi devo ravvedere perché lei dà un tributo a chi ha versato il proprio sangue nella lotta contro la mafia e non solo: si stupisce che la signora Borsellino sia scesa senza nessun problema nella tribuna dei condannnati. Noi, uomini e donne libere siamo spesso pronti a difendervi come vittime dei magistrati o a parlare di voi in termini di innocenza o colpevolezza, ma raramente accettiamo di indagare sui vostri sentimenti. Negli articoli apparsi su ?Vita? sono state riportate spesso le opinioni di esperti e operatori penitenziari i quali hanno attribuito un valore totalmente negativo al carcere, descrivendolo come un luogo in cui il carcerato trascina il suo tempo fra l?attesa di una redenzione che le strutture penitenziarie scoraggiano con ogni mezzo e un? idea illusoria di un rinserimento che la pratica quotidiana continua a smentire nei fatti. Un giorno però un direttore di carcere ci disse che gli istituti penitenziari potevano anche essere un?occasione di riflessione e che molti detenuti, reclusi in carceri piccole dove c?è lavoro, gli educatori non sono dei fantasmi e i magistrati di sorveglianza riescono ad applicare meglio i benefici della legge Gozzini, hanno dimostrato di essere cambiati in meglio. Con questo non voglio certo dire che il carcere le ha fatto bene, voglio solo sottolineare che le sue parole, rappresentano un?accusa sferzante contro l?indifferenza di chi preferisce vedere la galera come una scatola chiusa da maneggiare con attenzione: dal carcere e dai detenuti possono arrivare delle lezioni di grande umanità e quindi di riscoperta della legalità. Quindi grazie.

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