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Dipendenze

Simone Feder: «Troppo soli di fronte al dilagare di nuove droghe»

«Sono preoccupatissimo. Siamo di fronte a una situazione devastante, quella che incontriamo ogni giorno, dentro e fuori le comunità, dobbiamo farci e fare una domanda: “facciamo la guerra alla droga o ai drogati?”». Così Simone Feder, psicologo della Comunità Casa del giovane di Pavia

di Riccardo Bonacina

Simone Feder

«Sono preoccupatissimo. Siamo di fronte a una situazione devastante, quella che incontriamo ogni giorno, dentro e fuori le comunità, dobbiamo farci e fare una domanda: “facciamo la guerra alla droga o ai drogati?”». Così Simone Feder, psicologo della Comunità Casa del giovane di Pavia, attivista No slot, punto di riferimento per la riflessione pubblica sulle dipendenze. Simone Feder non sale mai in cattedra, piuttosto scende per strada, incontra ragazzi e genitori, il suo è un impegno h24, senza soste o pause. Per questo anche le istituzioni lo ascoltano e lo cercano.

Perchè Feder questa preoccupazione crescente, cosa sta vedendo?

Ci stiamo allontanando dalla vera solidarietà, oggi sempre di più o la solidarietà diventa una scommessa di sistema oppure rimane uno sforzo del volontariato. Oggi il problema va spostato da un discorso di carità a una solidarietà di sistema, oggi su questa frontiera manca lo Stato con uno sguardo attento, uno Stato che dovrebbe essere attento e prevedere cosa succederà domani. Ma come potrà prevedere cosa succederà se non si è in grado di vedere quello che succede oggi?

Cosa sta succedendo? Cosa vede?

Vedo l’uso di sostanze devastanti che portano danni irreparabili anche livello sanitario e di cui pagheremo un prezzo salato, danni irreparabili fisici e della percezione della realtà che queste sostanze provocano. Pensate ai ragazzi che a Rogoredo finiscono sotto il treno: pensano di aver davanti il faro di una bicicletta e invece è un Intercity che arriva a 120 Km orari. Allora se non guardiamo all’oggi che disastro avremo domani? Io vedo cose nuove rispetto solo a qualche anno fa; il cruscotto della macchina socio sanitaria ha spie rosse accese ovunque, dalle ricadute sociali a quelle sanitarie, la situazione sta andando fuori controllo. Il problema oggi non sono più le politiche di riduzione del danno, perché il problema non è più la droga ma il malessere, la sofferenza, è quella che dobbiamo ridurre non tanto le sostanze. Oggi abbiamo ragazzini di 13 anni già pieni di sostanze che vengono trascinati sempre più con fatica dai genitori, fragili anche loro.

Sono quasi 7 anni che presidiate quello che lei aveva definito “Un buco nero dentro al cuore della città”, il bosco di Rogoredo, una delle più grandi piazze di spaccio in Italia.

Sì la presenza a Rogoredo è una sfida. C’è uno tsunami che ci sta travolgendo. Oggi genitori distrutti ci chiedono di andare a recuperare i loro figli o almeno di avere qualche notizia sulla loro presenza. Quello che il Boschetto ci ha insegnato è che oggi dobbiamo uscire dai nostri comodi setting ambulatoriali. Oggi i giovani dobbiamo andarceli a prendere. Le comunità devono uscire dalle propria mura, andare in questi non luoghi, incontrare e abbracciare questi giovani. Solo così, solo costruendo una relazione si può poi portarli alla cura. Qualche giorno fa abbiamo raccolto nel bosco di Rogoredo un ragazzo di 23 anni steso senza conoscenza, e mi sono chiesto, come è arrivato sin lì, a casa, a scuola, nessuno ha colto il suo disagio? Che relazioni ha avuto? Come mai non ha incontrato nessuno, lo Stato dove era? Dove eravamo noi? La nostra presenza ci ha permesso di agganciare centinaia di ragazzi e ragazze in questi anni  e un centinaio sono andate in trattamento o in comunità. Ma siamo troppo soli. Oggi l’eroina al bosco la paghi 14 euro al grammo, vediamo sostanze che non abbiamo mai visto come krokodril che crea disastri sanitari, una sostanza che “mangia gli arti” e provoca vistose ulcere sulla pelle. Ma c’è qualcuno che si chiede “che sostanze girano?”

Tra i ragazzi e ragazze che avete incontrato c’è Alice che hai raccontato in un bel libro, “Alice e le regole del Bosco”.  In sette anni c’è stato un cambio di numeri oltre che di sostanze?

Il bosco si sta ripopolando, non siamo ancora ai numeri del 2017-2018 ma stanno crescendo i ragazzi che arrivano. Il fatto che comunque noi siamo lì (diamo anche farmaci, cibo, vestiti) aiuta a contenere un po’ i numeri. E fuori dal bosco la droga è ovunque e costa pochissimo. Ma tutto questo rischia di passare tutto in sordina. Dobbiamo chiederci a che soglia di disagio ci stiamo abituando oggi? Crescono sempre di più gesti autolesivi, nelle famiglie ci sono concentrazioni di rabbia che esplodono in gesti violenti, anche i ragazzini si avvicinano al bosco. Ci stiamo abituando a un disagio che nel frattempo di sta strutturando. C’è un’indifferenza generale, se lo Stato non ci aiuta vedremo domani i disastri. Se non stai in quei posti i ragazzi li perdi per sempre, i ragazzi oggi non li puoi stare ad aspettare nelle comunità, devi andare a cercarli a incontrarli. Bisogna cambiare paradigma anche dei nostri servizi. Dobbiamo cercare di intercettare e capire la sofferenza che c’è in giro. Per fortuna c’è anche chi si avvicina e si impagna volontariamente e con costanza.

Qual è il suo invito?

Il mio invito è cambiare questo sguardo punitivo e repressivo, occorre un punto di partenza diverso. Provo a dirlo con San Giovanni Bosco: “Non basta amare i ragazzi, devono sentirsi amati”.

In apertura Simone Feder a Pavia (foto: A.Mola)


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