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Attivismo civico & Terzo settore

Social housing, il business delle case-alveare

Parla Alejandro Aravena, guru dell'abitare sociale

di Daniela Verlicchi

Nel progetto è entrata anche la maggiore compagnia petrolifera cilena. «Il nostro format prevede micro abitazioni da 35 metri quadrati ampliabili e inserite nella rete di servizi cittadini». Un “miracolo” da 7.800 dollari. Che promette di sfondare
La città? «Un crocevia di opportunità». L’housing sociale? «Un investimento da far fruttare». Cambiano significato i fondamenti dell’architettura nel lessico di Alejandro Aravena, l’urbanista che con un progetto di housing sociale ha vinto il Leone d’argento alla Biennale di architettura di Venezia. Quarant’anni, cileno, Aravena è arrivato all’housing sociale dopo una carriera da architetto tradizionale e una docenza all’Harvard University. A Bologna a Urbania, il festival dell’urbanistica, è intervenuto per spiegare come l’architettura low cost possa cambiare il volto delle città moderne. Un esempio? Il progetto firmato dallo studio Elemental, di cui Aravena è amministratore delegato. Una sorta di casa-alveare (ampliabile da chi la abita) che nella sua forma iniziale costa 7.800 dollari, pari al sussidio che lo Stato cileno assegna a chi ha diritto ad un alloggio popolare (7.500 dollari), più altri 300 che investono direttamente le famiglie. Un concetto di housing sociale che va al di là del puro sostegno e diventa volano di crescita non solo per chi lo vive, ma anche per le aziende che le costruiscono, e per lo Stato.
Vita: Come si diventa famosi con l’housing sociale?
Alejandro Aravena: In realtà è molto semplice, perché questo tipo di edilizia interessa a tanti. La casa è un problema di tutti, che noi tentiamo di risolvere con uno strumento specifico: l’uso strategico delle forme. Cioè, l’architettura.
Vita: In che senso «strategico»?
Aravena: La sfida è far in modo che, senza modificare i flussi di ingresso – sarebbe inutile -, la densità delle abitazioni non si trasformi in sovraffollamento e che le reti di opportunità da cui sono attraversate le città tocchino tutti.
Vita: In che modo?
Aravena: Prima di tutto occorre stare alle regole del gioco imposte dal mercato. In Cile c’è libera concorrenza tra le imprese che si occupano di housing sociale: vince chi offre le migliori condizioni al minor prezzo. Il mercato è cresciuto nel tempo: chi fa social housing ha visto aumentare a dismisura i guadagni perché la domanda di abitazioni sociali è anelastica, contrariamente a quella di edilizia residenziale. E così nel nostro gruppo di finanziatori recentemente è entrata anche la principale compagnia petrolifera cilena, la Copec.
Vita: Prima regola, dunque, essere competitivi. Poi?
Aravena: Far in modo che l’housing sociale diventi un investimento per il futuro, non un costo fisso. Per questo occorre scegliere accuratamente il terreno sul quale costruire: le periferie, di solito, non vanno bene. In America Latina capita spesso che chi ottiene un’abitazione popolare perda il lavoro perché si trova a due o più ore di autobus dal proprio impiego. Occorre dunque costruire su terreni che acquistano valore col tempo.
Vita: Ma le zone centrali sono quelle che costano di più. Come riuscite a far quadrare i conti?
Aravena: Semplice. Su un terreno da 70 metri quadrati costruiamo abitazioni da 35 con gli elementi essenziali: bagno, cucina, zona notte, scale, muri portanti. Saranno poi gli abitanti a costruire le restanti parti in base alle loro esigenze. L’importante è lasciare loro la possibilità di farlo.
Vita: Già, ma come?
Aravena: Quali sono le uniche parti ampliabili di un condominio tradizionale? Il piano terra e l’ultimo. Ecco, noi abbiamo costruito edifici a due piani che possono espandersi a terra e verso l’alto con l’aggiunta di altre pareti realizzabili con materiali low cost e sempre disponibili: legno, prefabbricati, mattone. Così abbiamo creato il primo complesso: 93 case nel centro di Iquique, una città di mezzo milione di abitanti nel deserto cileno.
Vita: È un modello esportabile?
Aravena: Già esportato. Con questa tecnica sono state costruite 492 abitazioni sociali. Dopo Iquique, abbiamo aperto altri 15 cantieri tra Cile, Messico, Colombia e Perù che daranno una casa ad altre 732 famiglie. Sono in contatto con il governatore della Bank of India per mettere in piedi un progetto simile in quel Paese. E anche in Italia abbiamo costruito due prototipi per le Biennali di Venezia e Milano.


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