Kejsi Hodo, 26 anni, vive in Italia con la sua famiglia dall’età di 10 anni, da quando arrivò dall’Albania per raggiungere sua madre che lavorava nel nostro Paese. «Ci sono stati diversi problemi per il ricongiungimento e impiegammo molto tempo. Questo è stato uno dei principali motivi per cui ho rimandato la richiesta della cittadinanza», racconta. Hodo, che è cresciuta e vive a Bologna, è attivista di “Dalla parte giusta della storia”, iniziativa promossa dalla Rete per la riforma della cittadinanza, per rivendicare il riconoscimento di oltre un milione di giovani nati e/o cresciuti in Italia. «Ho pochi minuti per quest’intervista, sono appena scesa da un treno e ne sto per prendere un altro», mi dice al telefono.
Dallo scorso autunno Hodo è impegnata nella campagna referendaria, sta girando l’Italia sul treno da Nord a Sud per comunicare quanto, per lei, sia importante votare Sì al quesito del referendum dell’8 e 9 giugno, che chiede di dimezzare da 10 a cinque anni il periodo di residenza legale degli stranieri maggiorenni per poter richiedere la cittadinanza italiana.
Hodo, cosa ci vuole raccontare dei suoi 16 anni in Italia?
A Bologna ho compiuto tutti i cicli scolastici fino all’università. Mi sono laureata in Scienze diplomatiche e ho conseguito la magistrale in Sviluppo locale e globale. Sono stata impegnata nello studio e ho impiegato molto tempo per fare le richieste di certificati. Solo quest’anno sono riuscita a fare richiesta della cittadinanza, dopo 16 anni sul territorio italiano. L’iter è molto lungo e costoso.
Poi ci sono dei costi, per una spesa complessiva di 400 euro. Sono dovuta andare in Albania per fare dei certificati. Sono fortunata ad avere parte della famiglia nel mio Paese di origine, che mi ha aiutato prima della mia partenza dall’Italia, sono andata proprio nel momento in cui era necessario, in modo da impiegare meno tempo possibile. Se non avessi avuto dei familiari lì, ci avrei messo ancora di più.
Solo quest’anno sono riuscita a fare richiesta della cittadinanza, dopo 16 anni sul territorio italiano. L’iter è molto lungo e costoso
Perché ha deciso di diventare attivista di “Dalla parte giusta della storia”?
Sono la vice presidente di “Dalla parte giusta della storia”. Mi sono resa conto di cosa volesse dire non avere la cittadinanza a partire dalla gita scolastica, per partire con i miei compagni di classe ho dovuto chiedere il visto. A 18 anni è stato difficile per me non ricevere la tessera elettorale come i miei amici. Uno dei motivi principali per cui ho deciso di diventare attivista è stato il fatto di non poter fare il concorso per intraprendere la carriera diplomatica.
Da lì è scattato qualcosa?
Diventare diplomatica era il mio grande sogno, ho provato tanta rabbia e frustrazione. Da lì ho iniziato a pensare di fare qualcosa, piuttosto che arrabbiarmi e lamentarmi. Mi sono avvicinata a “Dalla parte giusta della storia” e sono attivista da un anno e mezzo circa.

Sul concorso per diplomatica ci ha messo “una pietra sopra”?
Sì, non posso aspettare la cittadinanza italiana per fare il concorso. Ho fatto domanda ora e quando la riceverò, se tutto va bene, avrò circa 30 anni, fare il concorso a quell’età sarebbe troppo tardi. Col passare del tempo e avvicinandomi all’attivismo, ho capito che quella non è più la mia priorità.
Uno dei motivi principali per cui ho deciso di diventare attivista è stato il fatto di non poter fare il concorso per intraprendere la carriera diplomatica. Era il mio grande sogno, ho provato tanta rabbia e frustrazione
Progetti futuri?
Ora sto lavorando alla campagna referendaria e sto facendo anche l’assistente di ricerca. Avvicinarmi all’attivismo mi ha fatto capire cosa veramente mi interessa, non so di preciso cosa farò in futuro, ma quello che sto facendo con “Dalla parte giusta della storia” mi piace molto. Stiamo portando avanti delle attività bellissime. Ad esempio, “Qui vivo qui voto” è un’iniziativa con cui facciamo votare le persone che hanno la residenza (a Bologna e in altre città) ma che non hanno la cittadinanza, prima delle elezioni ufficiali. Poi, siamo tra i firmatari del Manifesto antirazzista, che è stato approvato dalla Commissione per i diritti umani del Senato.

Per lei, cosa significa la parola cittadinanza?
Per me significa avere dei diritti fondamentali, come il diritto al voto, il diritto partecipare ai bandi pubblici, il diritto ad essere visibili agli occhi delle istituzioni. E cittadinanza significa anche appartenenza al posto in cui si vive, si nasce, si cresce, si lavora e si conduce la propria vita.
Albania e Italia per me sono le mie case. Sono i due pezzi della mia identità
Cosa rappresenta, per lei, l’Albania? E cosa rappresenta l’Italia?
Albania e Italia per me sono le mie case. Entrambi sono i posti in cui sono nata e sono cresciuta. Sono i due pezzi della mia identità.
Foto fornite dall’intervistata
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