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Tante armi, tanta fame. Amici, cosa aspettiamo?

Solidarietà. Dopo il fallimento della conferenza di New York sul disarmo

di Luca Jahier

C i sono temi dei quali si trovano solo poche tracce, se si eccettuano Vita e il quotidiano Avvenire. Mi riferisco alla preoccupante impennata del traffico di armi leggere nel mondo e del vertice Onu concluso a New York il 7 luglio (vedi l?articolo in basso). Dobbiamo essere grati alla sparuta ma agguerrita pattuglia degli amici della campagna di Control arms e dell?Archivio Disarmo, per i dati preziosi e gli appelli inascoltati che continuano a diffondere. 639 milioni le armi leggere, 8 milioni i nuovi pezzi prodotti e messi in circolazione ogni anno, 22 miliardi di dollari la spesa annuale mondiale per l?acquisto di queste armi, che per lo più sfuggono ad ogni controllo e vanno in gran parte a finire sui mercati dei paesi più poveri. Il paradosso di Follereau «Datemi due bombardieri per sconfiggere la lebbra», scriveva nel 1954 Raoul Follereau, dando fiato ad una battaglia storica che, per tutti gli anni 60 – a partire dalle grandi campagne quaresimali promosse in tutto il Vecchio continente e poi dall?impegno dei movimenti pacifisti e nonviolenti – ha segnato la mobilitazione popolare di tutta l?Europa contro la fame nel mondo. Come mai oggi nessuno rilancia questo binomio e questa mobilitazione? Eppure circolano ancora altri dati che sono parimenti drammatici. Il primo di fonte Sipri attesta il fatto che la spesa mondiale per armamenti stia ormai sfiorando i mille miliardi di dollari, con un aumento dell?8% rispetto al 2003. Il secondo è di fonte Fao, in previsione del vertice di Roma del prossimo settembre: le persone che oggi soffrono la fame nel mondo sono aumentate di 18 milioni, anziché diminuire come ci si era impegnati a fare, raggiungendo la cifra di 852 milioni di persone. E tra qualche tempo dovremo registrare che gli Obiettivi del Millennio sono rimasti in gran parte carta straccia. Tutte le maggiori organizzazioni e reti della società civile italiana figurano tra i promotori della campagna Control arms ma – ahimé – di questa battaglia non se ne trova traccia nell?azione e nella coscienza pubblica diffusa. La Chiesa in prima linea Malgrado autorevoli sollecitazioni, il tema continua a rimanere relegato ai margini. E penso alle parole dell?osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite, Celestino Migliore, che ha esortato sin dallo scorso anno la comunità internazionale ad «affrontare seriamente la questione del commercio delle armi leggere e di piccolo calibro, per eliminare l?illecito traffico di armi e le attività ad esso connesse, quali il terrorismo, il crimine organizzato e la tratta delle persone». Ricordando poi le parole di Giovanni Paolo II nell?enciclica Evangelium Vitae (1995): «E come non pensare alla violenza insita, prima ancora che nelle guerre, in uno scandaloso commercio delle armi, che favorisce la spirale dei tanti conflitti armati che insanguinano il mondo? Armamenti facilmente accessibili intensificheranno e prolungheranno le guerre, e molte più persone verranno allontanate con la forza dalle proprie case. A milioni di famiglie sarà impedito di lavorare per procurarsi il cibo o per poter mandare i bimbi a scuola. Una miriade di persone intrappolate nella povertà… con un continuo disprezzo di ogni tipo di diritto umano». Per giungere infine al messaggio dell?ultima Giornata mondiale della Pace, quando Benedetto XVI ha rilanciato la questione del necessario, progressivo e concordato disarmo nucleare. «Le risorse in tal modo risparmiate», ha scritto il Papa, «potranno essere impiegate in progetti di sviluppo a vantaggio di tutti gli abitanti e, in primo luogo, dei più poveri». è troppo azzardato aspettarsi che una qualche iniziativa di larga mobilitazione venga promossa insieme, sin dal prossimo autunno, dalle principali forze pacifiste italiane, dalle ong e dal mondo missionario, pensando anche ad un coinvolgimento di sindacati e imprenditori per quanto attiene la tematica tanto complessa quanto disattesa della riconversione delle imprese produttrici di armi? Che una tale iniziativa provochi un protagonismo vero del nostro paese, secondo esportatore mondiale di armi leggere dopo gli Stati Uniti, diventi una bandiera comune e coinvolga anche l?Europa. E che si tenti così di promuovere un messaggio tanto semplice quanto condivisibile dai più: «Dimezzare la spesa militare, raddoppiare l?impegno contro la fame e la povertà». Ripartire dagli anni 60 potrebbe non essere una brutta idea, anche in termini di osare qualche proposta militante per i nostri giovani.


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