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Un palcoscenico è la mia casa

Sin dagli anni Cinquanta, Fiammetta Selva ha portato l’arte drammatica nelle piazze e nelle fabbriche. Oggi, nonostante goda del vitalizio Bacchelli per gli artisti non abbienti, è in miseria. Ma non

di Mariateresa Marino

«Salga l?agitatrice»: così disse Memo Benassi, attore bolognese, alla diciottenne Fiammetta, che guidava da giorni la protesta di un gruppo di giovani attori in lotta per ottenere uno spazio scenico dove realizzare il cosiddetto Piccolo teatro della ricerca. Erano gli anni Cinquanta e Fiammetta Selva, fresca di accademia di arte drammatica, non cercava di ingraziarsi i favori di maturi e famosi registi per avviare la sua carriera, ma sognava di portare il teatro, quello dei greci, di Brecht e di Garcia Lorca, nelle fabbriche, nelle piazze, nelle chiese. In mezzo agli operai, alla gente dei mercati , alle persone che forse un vero palcoscenico non l?avevano mai visto. Oggi Fiammetta in un teatro ci vive. Dentro il quartiere di Tor di Nona, piccolo scorcio della Capitale sul Lungotevere – antico a giudicare dalle viuzze strette e dalle piazze tardomedievali, moderno se si osserva il grigiore delle case sfatte e scrostate, dagli interni poveri – si trova un piccolo teatro. Che è anche la casa di Fiammetta. Una minuscola camera Vivaci occhi neri, sorriso bonario e disincantato, l?artista si muove nella piccola stanza spoglia con eleganza un po? trasandata. Le mani, mentre parla, si muovono con lentezza, rincorrendo le parole. Da dieci anni vive in una stanza all?interno del teatro, una minuscola camera con un letto e un cucinino, tante foto appese alle pareti e libri accatastati ovunque. Non può permettersi di pagare un affitto, anche se ha ottenuto dallo Stato il vitalizio Bacchelli destinato agli artisti che vivono in particolari difficoltà. «Da pochi anni ne usufruisco», dice, «ed è stato molto difficile ottenerlo. In questo Paese c?è una certa riottosità a riconoscere il valore culturale e sociale dell?opera degli artisti, specie di quelli che hanno alzato la voce su temi scottanti e scomodi». Ma tant?è. Grazie ad alcuni amici, Fiammetta ha trovato una sistemazione, seppure provvisoria, nell?attesa che il Comune le dia la casa che ha richiesto. E intanto, oltre che inquilina, del teatro di Tor di Nona è anche vigile custode. Organizza serate di poesia e di musica, cura le pubbliche relazioni e i rapporti con la stampa. Attività che ha svolto per tanti anni nelle gallerie di pittori romani famosi, per vivere. Nella Capitale Fiammetta arriva nel 1952. Ma le sue battaglie le aveva già combattute nella città natale, Bologna. Battaglie per ottenere un piccolo spazio dove sperimentare. Un piccolo teatro, come ce ne erano a decine nella bella città emiliana. Peccato però che fossero già in mano alle grandi compagnie. Quel giorno del 1950 Fiammetta, alla testa di un folto gruppo di attori e studenti universitari, aveva sfidato proprio uno dei famigerati occupanti, Memo Benassi, il quale invitandola a salire nel proprio appartamento, le propose di entrare nella sua compagnia e di abbracciare una carriera già sicura. «Fossi matta», rispose Fiammetta, «io voglio fare il piccolo teatro della ricerca». Prima di abbandonare la città di origine, Fiammetta non lascia nulla di intentato. Non riesce a ottenere un teatro, ma con il suo gruppo e i suoi lavori, per quell?epoca rivoluzionari, approda al ?Caffè modernissimo?, locale notturno di Bologna, famoso per le sue spogliarelliste. Come ultima provocazione, Fiammetta riesce a gabbare la buona fede del proprietario del locale e porta in scena uno spettacolo che, a dispetto dei cattivi auspici, tiene il pubblico, abituato al varietà leggero, attaccato alle poltrone. A Roma la giovane e battagliera attrice arriva con poche valigie e la protezione di un vero maestro e mecenate, per quei tempi, Anton Giulio Bragaglia. È grazie a lui che ottiene una modesta sovvenzione statale per far partire il Teatro della ricerca. Nella capitale, Fiammetta entra in contatto con scrittori e pittori della scuola romana. Conosce e diviene amica di Carlo Levi e Cesare Zavattini. Per l?interessamento di Levi, ha la possibilità di realizzare i suoi spettacoli nel ridotto del teatro Eliseo. La tragedia del figlio morto Il teatro della ricerca assomiglia sempre più a una battaglia culturale sui temi sociali più forti di quegli anni. Le battaglie operaie, incarnate in uomini simbolo, come Gerardo Guerrieri, esponente del Partito comunista morto suicida, al quale Fiammetta dedica lo spettacolo «Venticinque metri di fango» di Irving Shaw. Il tema della violenza sessuale, ancora tabù in quegli anni, affrontato nel testo, «Tema della violenza carnale e analisi di conseguenze da Spoon River di Masters». E ancora lo spettacolo che ha suscitato all?epoca scandalo e polemiche, «Il cantico dei cantici e i suoi contrari», la cui scenografia consisteva in uno schermo gigante su cui campeggiavano enormi riproduzioni scientifiche di spermatozoi. La sperimentazione dura ancora per qualche anno. Fiammetta porta in giro per l?Italia i suoi lavori e le sue proteste. Vorrebbe davvero che si realizzasse l?utopia di un teatro vicino alla gente e ai suoi drammi, che si restituisse a questa antica forma d?arte la sua veste popolare. Una protesta che dura ancora oggi, anche se con toni meno clamorosi. E mentre Dario Fo, simbolo del teatro popolare della battaglia e dello sberleffo ragionato, si gode il suo Nobel, Fiammetta non ha premi da sfoggiare ma esperienze ed eventi vissuti in prima persona. Trent?anni di impegno sociale attraverso l?arte. Ma anche di dolori personali che dall?arte sono stati poi ?purificati?. Come la perdita del figlio Van Claudio a soli 29 anni. Un trauma cranico, causato da un incidente stradale, lo ha condotto a diversi ricoveri, fino all?ultimo e fatale, quello al Santa Maria della Pietà. «Ma mio figlio non era pazzo», dice Fiammetta , «era arrivato lì perché non avevo più i soldi per farlo curare nelle cliniche private. In manicomio lui ha continuato a dipingere, ma non ha resistito». È morto nel 1982, forse per un abuso volontario di farmaci o forse per il dolore provato per il furto di alcuni suoi quadri. Probabilmente in quegli anni Fiammetta mette mano a uno dei suoi testi più impegnati, «Una rosa e una riforma», sorta di difesa in versi della legge Basaglia sulla riforma degli ospedali psichiatrici. «Perché abbia fine quella barbarie di luoghi asettici e morti» dice, ripassando nella memoria gli anni trascorsi lì dal figlio Van Claudio, «perché si dia la possibilità ai malati di continuare ad essere persone». Affida la lettura del suo testo a poeti ed attori famosi, che divengono così testimoni e ambasciatori del suo messaggio. «La vera battaglia l?ha fatta Basaglia», continua, «solo che nella piccola Trieste era più facile creare le strutture a misura d?uomo che lui aveva progettato. Nelle grandi città, non c?è soluzione che possa attenuare il disagio e la solitudine dei malati». Nella sua piccola stanza, affollata di oggetti e ricordi, proprio dietro il sipario del piccolo teatro di Tor di Nona, Fiammetta continua a scrivere. La sua ansia di battaglie per un teatro che si misuri con i problemi della società moderna non si placa. Proprio in questi giorni Fiammetta sta lavorando a un testo in cui vengono contaminati, come spiega lei stessa, «il sacro e il profano, dove il profano è il degrado sociale, che può diventare sacro se solo chi ha in mano il potere politico si decide a usarlo bene e con coscienza». Un passaggio visto nella prospettiva del Giubileo del Duemila. Una volta completato, il testo sarà mandato al vicepresidente del consiglio Veltroni. Un messaggio, dunque, che l?autrice non ha nessuna intenzione di lasciare lettera morta. Uscendo dalla stanza del teatro che dà su un cortile interno, si vedono richiuse e appoggiate al muro delle carrozzelle. Nella palazzina accanto, mi spiega Fiammetta, c?è una comunitàalloggio per disabili, voluta dal comune. Sono pochi ragazzi; circa una diecina di giovani portatori di handicap, alcuni di questi con gravi problemi psichici. Stanno tutto il giorno chiusi nelle stanze dell?appartamento, assistiti da tre o quattro operatori . «Ogni tanto qualcuno mi chiama dalla finestra per chiedermi quando ci sarà il prossimo spettacolo teatrale. È l?unica distrazione che hanno». Uscendo, per le scale si sente una voce chiamare «Mamma farfalla, mamma farfalla». Chi è mamma farfalla? «Sono io», risponde Fiammetta. È un giovane disabile che la chiama dalla finestra. Reclama forse un po? della nostra libertà.


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