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Ve li dò io gli etruschi

Genio italico. Era il re dei tombaroli di Tarquinia, oggi è un vero artista del falso

di Alessandro Sortino

C?è a Tarquinia un luogo unico al mondo: antico eppure nuovo, falso eppure vero, creato a uso dei vivi eppure pensato a uso dei morti: si tratta di una necropoli etrusca composta da una decina di tombe dipinte, interamente scavata nel cuore della roccia. Ma la sua vera particolarità è questa: è completamente falsa, realizzata nel corso di quest?anno da Omero Bordo, il re dei tombaroli un tempo, e oggi il più raffinato ?falsario? di arte etrusca vivente. Riprodurre statue e vasi non gli bastava più: voleva ?rifare? un?intera necropoli. L?utopia del falsario è diventata realtà. Anche se qui, la realtà, genera di continuo il suo doppio. Già prima, nell?antica città etrusca di Tarquinia, era facile avvertire la presenza del doppio: il ?popolo sotterraneo? come la scrittrice napoletana Anna Maria Ortese ha definito il popolo dei morti nel suo romanzo Il cardillo innamorato, un popolo che vive al fianco di quello dei vivi, distinguibile appena da esso da una nostalgia indicibile, una certa imprecisione dell?essere che gli impedirebbe pienamente di esistere. Lei non pensava certo agli etruschi di Tarquinia, cittadina dell?alto Lazio letteralmente circondata dalle necropoli, al punto che le tombe saltano fuori dovunque si scavi. Tombe che riproducono esattamente l?esistenza del morto: nelle pitture sulle pareti e nel corredo funebre in dotazione. E non pensava certo, la Ortese, a Omero Bordo, il più audace tombarolo di Tarquinia, che deve al popolo sotterraneo tutta quanta la sua attuale fortuna: lo frequentava trent?anni fa, quel popolo discreto, quando scovava le tombe e trafugava i corredi funebri degli etruschi per rivenderli. E lo frequenta ora che è diventato un ?falsario?: talmente raffinato nel riprodurre gli oggetti degli etruschi, da essere considerato un artista, ?l?ultimo degli etruschi?, come lui ama definire se stesso. La leggenda di Omero Dunque a rileggere la leggenda partenopea di cui la scrittrice dà conto, viene fatto di pensare proprio a Tarquinia, la città doppia, dove gli etruschi vivrebbero, invisibili ai più, a contatto con le vecchie loro carabattole, impegnati a sbrigare le faccende quotidiane; e a lui anche viene da pensare, a Omero, l?unico cittadino della Tarquinia dei vivi a essere ammesso ai misteri di quella di sotto. Nel depredarla ha contratto dei debiti che ora, riproducendola, conta di estinguere. Sarà per questa sua unicità bislacca che Omero a Tarquinia lo conoscono tutti e lo amano in pochi. Gli aneddoti su di lui vengono raccontati in ogni baretto, bottega o tabaccheria: narrano di quando, ad esempio, la sovraintendenza, stanca di essere gabbata, decise di ingaggiarlo. Erano gli anni ?60, i tempi della ?corsa al coccio?, che fece la fortuna dei tombaroli, e la disdetta dei musei italiani. O di quando lui, stanco di scavare, capì che era più semplice vendere agli amatori i vasi falsi: tanto era raro incappare in qualcuno che se ne intendesse al punto di accorgersi della truffa. ?Apparecchiava? le tombe già violate e svuotate con oggetti falsi, e dava al malcapitato acquirente il brivido della scoperta archeologica. Un giorno si accorse di essere diventato talmente bravo a rifare gli oggetti etruschi che non c?era bisogno di venderli come veri, perché la gente li comprava ugualmente. Arrivò a scoprire il segreto degli artigiani etruschi e a riprodurre l?esatto impasto della terracotta. Quando fu arrestato per truffa, nel 1975, in carcere passò alla scultura, e le sue opere stupirono a tal punto gli esperti che gli affidarono la scuola d?arte (?Etrusculudens?, si chiama) fondata a Tarquinia da un grande scultore: Sebastian Matta. Omero, lo invitarono spesso in Tv, la sua storia fu raccontata dai giornali di mezzo mondo. Alcuni grandi musei, ammisero con nonchalance di essere stati truffati e ora espongono i vasi di Omero con sotto il suo nome in targhetta (il museo svedese di Malmoe ad esempio); altri invece non se ne diedero mai per inteso e ancora spacciano i suoi vasi per veri (il Louvre, fra gli altri). A Tarquinia Omero ha aperto un negozio, che lui chiama ?museo?, dove espone e vende i suoi falsi. I turisti stranieri la considerano una tappa irrinunciabile del loro tour. Eppure non sono bastati tutti questi successi a convincere i tarquinesi che Omero è qualcosa di più di uno spaccone fortunato. A vederlo, infatti, più che l?ultimo degli etruschi sembra il primo dei maremmani. Non ha niente della loro eleganza orientale, rappresentata nelle pitture: ha un fisico massiccio (in gioventù ha fatto il pugile), la mascella squadrata, le mani grosse da contadino. Eppure da quelle mani escono oggetti identici a quelli realizzati dagli artigiani di tremila anni fa. Lui non se ne stupisce: «Io sono nato durante la guerra – racconta -, era il 1943 e la mia famiglia era sfollata. Sono nato in campagna tra le tombe. E ora sento come se dentro di me ci fosse un etrusco, che mi spiega come fare». Sembrava quest?ultima l?ennesima sparata, come quella che con la quale poco prima ci aveva accolto: «Ho superato me stesso. Ho costruito la macchina del tempo». Non gli abbiamo creduto, ovviamente. E lui per sfida ce l?ha fatta vedere. Arriviamo in un cantiere, che termina in una rupe, di pietra tufaia. C?è un apertura nella roccia e da lì si entra in una caverna vastissima, un sistema di caverne per l?esattezza, l?antica cava dalla quale gli etruschi ricavavano la pietra per costruire le loro città. Prima sorpresa: la pietra è chiara e le grotte così illuminate risplendono, ma le fonti di luce non si vedono. In visita a una tomba rifatta Omero ci invita a intrufolarci dentro una piccola apertura. Lo facciamo, e sbuchiamo in una tomba etrusca, come fosse stata realizzata appena adesso. Le pitture sono identiche a quelle celebri, delle necropoli tarquinesi: solo che quelle non si possono più visitare, perché l?escursione termica le stava distruggendo. Questa in cui siamo entrati è la tomba dei leopardi, scoperta da Omero, e ora da lui riprodotta identica. Ci sono i letti dei morti, con sopra le statue che riproducono i morti. C?è il corredo funebre, sempre fatto da Omero, vasi suppellettili, oggetti sacri, oggetti quotidiani, tutto falso, come se fosse vero. Di tombe così ne ha scavate e dipinte una decina circa: per esempio riconosciamo quella della caccia e pesca, e quella con i tori che osservano le celebri scene orgiastiche. L?effetto macchina del tempo è davvero impressionante, sembra di essere saltati indietro di quasi tremila anni. Così come è impressionante il plastico della Tarquinia etrusca, interamente costruito da Omero nella roccia. Visto dall?alto consente allo sguardo di contenere una intera città, e ben tre millenni di storia. Perché Omero ha fatto tutto questo, viene da chiedersi. Sicuramente una possibile risposta è nel ritorno economico, visto che le tombe vere sono state quasi tutte chiuse per preservarle. Infatti, quando la cava sarà aperta al pubblico, cioè il prossimo anno, diventerà un?attrazione turistica unica al mondo. In realtà l?interesse economico non basta come spiegazione. Borges, il grande scrittore argentino, racconta in una delle sue ?finzioni? di uno scrittore immaginario, Menard, autore di un?opera invisibile: aveva riscritto identici, ma senza copiarli, alcuni capitoli del Don Chisciotte di Cervantes. L?effetto sarebbe stato quello di inventare un nuova tecnica: ?L?anacronismo deliberato?. Il paradosso di Borges è proprio questo: un?opera riscritta identica da un altro autore in un?altra epoca, non potrà mai essere identica. Così gli oggetti funerari, creati dagli etruschi come doppioni di quelli usati nella vita, non potevano essere esattamente gli stessi. E ora questi altri oggetti di Omero, queste pitture, doppio del doppio, rinnovano il mistero della duplicazione: che è poi il mistero del linguaggio e della memoria.


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