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Biagio Conte, il missionario che non accettava la povertà come destino

A un anno dalla sua scomparsa, "Ti posso chiamare fratello?" è il libro che ripercorre le tante tappe della vita del missionario laico che ha abbandonato ogni agio per ridare dignità ai tanti “invisibili” di Palermo. Grazie agli autori, Alessandra Turrisi e Roberto Puglisi, si compone il mosaico della vita di un uomo che è diventato punto di riferimento per l’universo di derelitti, dando loro un luogo in cui si può avere una seconda possibilità perchè la speranza non muore mai

di Gilda Sciortino

Quando a Palermo si dice Biagio Conte non si pensa a una singola persona, ma a un modo di essere, di pensare, di agire, di essere sostanzialmente comunità a servizio degli altri. Nessuno avrebbe mai pensato che quel giovane che, nel lontano 1990, la famiglia cercò addirittura attraverso il programma di Rai tre “Chi l’ha visto”, scomparso per andare alla ricerca di un altro modo di stare nel mondo rifiutando il benessere che avrebbe reso privo di inciampi il suo futuro, sarebbe stato colui che avrebbe cambiato il modo di essere e fare carità.  L’azzurro dei suoi occhi sarebbe stato il faro che avrebbe guidato coloro ai quali la vita aveva negato una seconda possibilità.

Che Fratel Biagio non sia mai stato un semplice missionario si è capito molto presto, ma raccontarlo  non è mai stato semplice; nonostante quel che si pensi, nonostante la semplicità con cui si approcciava alla vita, accompagnato giorno e notte dal suo amato amico a quattro zampe Libertà.

Biagio non ha mai tergiversato. La sua vita è stata la dimostrazione quotidiana di che tempra deve avere un uomo di Dio

– Don Pino Vitrano

Per spiegare una vita dedita totalmente agli altri, per nulla curante dei pericoli che i tanti digiuni causavano alla sua salute, ci sono sempre volute penne capaci di spogliarsi di orpelli letterari e impermeabili al fascino di possibili scoop giornalistici. Ci sono senza dubbio riusciti, con il loro libro “Ti posso chiamare fratello?”, Alessandra Turrisi e Roberto Puglisi, due dei giornalisti che il percorso di vita e di fede di Biagio Conte lo hanno seguito, compreso e narrato prima attraverso la cronaca di quegli anni, mentre oggi con questo lavoro che racconta le numerose tappe vissute da un giovane che, grazie alla forza delle sue azioni, “ha pregato, digiunato e attraversato in pellegrinaggio l’Italia e l’Europa intera, per sensibilizzare i cuori dei cittadini e delle istituzioni all’impegno per la pace, all’attenzione verso i più fragili, alla convivenza fra i popoli”.

Un testo prezioso anche perché donato in occasione di una ricorrenza particolare. Fratel Biagio lasciava la vita terrena esattamente un anno fa all’età di 59 anni. Il 12 gennaio del 2023 è stato come se il cielo di Palermo si chiudesse, calando un velo di tristezza su tutta la città. La stessa viabilità è stata rivoluzionata non solo quello stesso giorno ma anche in quelli a venire per consentire di raggiungere la “Missione di Speranza e Carità” per l’ultimo saluto. Una cittadella, tra le ultime che Biagio realizzò, partendo dalla prima aperta in via Archirafi, un vecchio disinfettatoio comunale, abbandonato da oltre vent’anni.

Cattedrale di Palermo

«Una sera, proprio sotto il porticato della Stazione», si legge nel libro, «dopo aver distribuito il pasto a tutti, Biagio sente un singhiozzo. Si avvicina a un uomo accoccolato per terra, accanto al suo cane. Percepisce il suo pianto, lo lascia sfogare: “Ho perso tutto: il lavoro, la famiglia, la casa, anche la moglie e i figli”. L’uomo si chiama Andrea e i marciapiedi e le panchine di Palermo sono piene di uomini con storie simili alla sua. Bisogna trovare un’alternativa, ma quale? Biagio da mesi non si dà pace perché in ogni quartiere vede quanti capannoni o edifici ci sono in stato di abbandono che potrebbero essere strappati al degrado e trasformati in alloggio per quelli che la società etichetta come “barboni”. Un immobile più di altri potrebbe rappresentare davvero la svolta, la soluzione. In via Archirafi, a poche centinaia di metri dalla Stazione, Tra quelle macerie e detriti, dietro a quei muri sventrati, Biagio vede un futuro di accoglienza e di rinascita. Ne parla con don Pino, gli confida la sua intenzione di piazzarsi davanti al cancello dell’edificio e iniziare un digiuno di protesta, silenzioso ma fermo nel suo obiettivo. Il 17 maggio 1993, sostenuto da alcuni amici e volontari, all’alba, si sdraia su una branda in via Archirafi, con un crocifisso di San Damiano donato da un passante, qualche libro e i cartelli in cui chiede attenzione per i poveri alle istituzioni con atti concreti. I giornali ricominciano a parlare di lui, del suo gesto estremo in favore dei poveri. La struttura, è già stata data alla Usl 62 con una destinazione d’uso ben precisa che è la realizzazione di un poliambulatorio, dopo che la Usl otterrà il necessario finanziamento dalla Regione per la ristrutturazione. Il Comune, dunque, dovrebbe fare un passo indietro per assegnarla a Biagio Conte e alla sua nascente missione. Un rimpallo di competenze e responsabilità che spinge Biagio a non mollare la presa e a continuare nel suo digiuno. Rifiuta il cibo da giorni, riceve solo la Comunione quotidianamente dalle mani del suo ormai fedele amico don Pino. Ma le sue condizioni di salute destano molta preoccupazione, viene monitorato costantemente da un medico, Vincenzo Prestianni, la pressione sanguigna e la glicemia si abbassano pericolosamente. Finalmente il commissario del Comune dà il via libera per la stipula della convenzione che assegni temporaneamente gli alloggi alla Missione. Il 29 maggio 1993, il prefetto comunica a Biagio che è autorizzato a entrare nell’ex disinfettatoio. Biagio è stremato, ma felice».

Una modalità di azione che, purtroppo, sembra essere quella vincente che gli farà ottenere ciò che vuole per dare risposta concreta a chi crede in lui. Basta volerlo. E con lui le parole si traducono in fatti.

«Sbracciati e datti da fare» è il motto di chi varca i cancelli della Missione di Speranza e Carità, tre comunità principali a Palermo con altri satelliti in tutta la Sicilia, fondate in luoghi condannati all’abbandono per decenni, edifici a cui è stata donata una nuova vita al servizio del territorio.

A fratel Biagio è stato dato il triplice dono di vivere da povero, di vivere con i poveri e di vivere per i poveri

– Mons. Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo

Nella cattedrale di Palermo, da sinistra l’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, la paolina Fernanda Di Monte, Alessandra Turrisi e Roberto Puglisi

Dice bene l’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, nella prefazione, sottolineando il fatto che, per il capoluogo siciliano, Biagio Conte è stato un valore aggiunto.

«Il libro che ti appresti a leggere, scritto a due cuori e quattro mani da Alessandra Turrisi e Roberto Puglisi, non vuole solo tracciare il percorso biografico di fratel Biagio e nemmeno quello della sua sensibilità umana e spirituale. I due autori, che lo hanno conosciuto e frequentato, come abili “cantastorie” ti coinvolgono nel loro “cuntu”, ti tirano dentro. La loro narrazione ti avvince. Un libro», scrive Lorefice,  «che si legge d’un fiato poiché ha il potere di ridarti lo sguardo e il respiro dell’Evangelo. Ti avvince il cuore e ti “pro-voca”: “E tu che ne vuoi fare della tua vita?”. Vi trovi una “bella-notizia”, un “e-vangelo”, riverbero dell’Evangelo di Cristo. Accende in ogni lettrice e in ogni lettore i più alti sentimenti umani. Chiede, soprattutto ai discepoli e alle discepole di Cristo, di contribuire al volto di una Chiesa povera e dei poveri, dentro la città degli uomini, nei meandri delle sofferenze e delle attese dei “cittadini”, termine caro a Biagio, di questo nostro complesso ma promettente tempo, perché possano incontrare ancora il Messia povero e dei poveri».

La Cattedrale di Palermo affollata di cittadini è stata l’ennesima riprova di quanto Biagio Conte non sia stato per nulla dimenticato

Un’introduzione  commovente, resa ancora più tale dalla presentazione del libro nella Cattedrale di Palermo, gremita di gente nonostante la colonnina di mercurio fosse scesa notevolmente, dove i genitori di Biagio si sono sposati e dove lui stesso ha ricevuto il battesimo. Un momento importante per la città di Palermo, impreziosito dalla testimonianza di don Pino Vitrano che con lui ha condiviso la sua missione sin dall’inizio, sin da quando decise che in via Archirafi sarebbe nata la prima struttura della futura “Missione di Speranza e Carità”. Una scelta forte la sua, che arriva dopo avere affiancato un’altra figura significativa della storia palermitana, don Baldassare Meli, direttore dell’oratorio salesiano di Santa Chiara, noto per avere scoperto e denunciato l’atroce storia dei bambini dell’Albergheria vittime di abusi sessuali. Una volta conosciuto il lavoro condotto sotto i portici della Stazione centrale, dove la notte Biagio e i suoi volontari distribuiva pasti caldi ai più bisognosi, don Pino non ebbe alcun dubbio e decise di seguirlo, dovendo subito dopo uscire dall’ordine dei salesiani che mai condivisero questa scelta.

Don Pino Vitrano

«Ricordo un aneddoto. Nei primi mesi, quando inizia il suo lavoro in Stazione », racconta don Pino Vitrano – «si reca da Fra Tommaso che lo ascolta e, allo stesso tempo, l’invita a recitare sempre il Rosario perché, dice, “diversamente, tutto quello che costruisci si indebolisce in poco tempo”.  Quando eravamo nella Missione avevamo un orario per recitare i Vespri. I primi tempi lavoravamo, dedicandoci agli altri senza sosta, senza orari, di giorno e di notte. Una sera eravamo stanchissimi, stremati, senza forze. Verso mezzanotte, ci trovavamo davanti alla chiesa a sonnecchiare, quando all’improvviso sento la sua voce che dice: “Don Pino, ma oggi il Rosario lo abbiamo detto?”. Io: “Mi pare di no “. E lui: “Allora subito, iniziamo”. E recitammo il Rosario. Dico questo perché lui, quando c’era qualcosa che doveva entrare a fare parte della sua vita, non mollava, non tergiversava. Lì si vedeva la tempra dell’uomo di Dio che si andava formando».

Biagio Conte, l’uomo che ha saputo più di tanti unire, aldilà delle apparenze religiose, familiari, lavorative, di ceto sociale

«Questo non è il libro della memoria» tiene a sottolineare Alessandra Turrisi, «ma dell’oggi, dell’attualità che parla a tutti noi che ci sentiamo convocati perché Biagio è stato il  testimone. Non posso dimenticare un 15 settembre di qualche anno fa. Eravamo in Cattedrale dove era seppellito il beato Puglisi. Era tornato da uno dei suoi pellegrinaggi e, fermandosi davanti all’immagine del parroco di Brancaccio, ci raccontò dell’incontro avuto il giorno prima del suo assassinio. Si erano ritrovati in un palazzo delle istituzioni dove ognuno portava le istanze dei propri poveri, degli ultimi di Palermo. Si sono abbracciati e promessi collaborazione. L’indomani Biagio seppe quello che era accaduto. Ecco due testimoni di questa città. Ma ci rendiamo conto del privilegio che ha avuto Palermo ad averlo conosciuto e vissuto? Quando la San Paolo ci ha proposto di scrivere questo libro, mi sono messa le mani ai capelli perché, digitando sul computer il suo nome, sono apparsi 420 articoli, dalla foto notizia al servizio. Abbiamo, però, deciso di avventurarci perché abbiamo sentito Biagio al nostro fianco durante tutto il corso del lavoro, come quando ti rendi conto che è qualcosa che va fatto perché è giusto. Non siamo tutti chiamati a essere missionari, ma a vivere la carità con gli altri questo si».

Ma cosa ha lasciato Biagio Conte alla città, a tutti quelli che lo hanno conosciuto o ne hanno anche solo sentito parlare?

« La vera domanda», aggiunge Roberto Puglisi, «non è cosa facciamo ora che Biagio non cammina più tra di noi, ma cosa vogliamo fare delle sue parole, dei suo occhi azzurri; cosa vogliamo fare, non di quello che ci ha lasciato ma di quello che rappresenta in mezzo a noi. Ho conosciuto le sorelle di Biagio e ho capito come la sua missione fosse condivisa da tutta la famiglia, nonostante non sia facile capire un figlio, un fratello che decide di lasciare la casa e cambiare vita.  Certo, poi diventerà Biagio Conte, ma all’inizio non era così scontato. Biagio era una persona dolcissima, ma anche intransigente. Un giorno eravamo sotto i portici delle Poste, dove lui stava facendo uno dei suoi ultimi digiuni. Era debolissimo, in condizioni fisiche preoccupanti e cercavo di convincerlo a tornare alla Missione. Lui, improvvisamente, mi guarda e molto seriamente mi dice: “Fratello, ti ringrazio che sei venuto, ma ora è meglio che vai via”. Non si ferma un cuore cosi grande sul suo cammino. Ecco, non cerchiamo colui che camminava in  questa città, ma colui che cammina ancora in mezzo a noi».

La semplicità del coraggio che ha sempre contraddistinto Biagio Conte

«Ha fatto della sua scelta di povertà un dono a chi è povero senza averlo scelto nello spirito della condivisione e della fraternità ». scrivono in conclusione gli autori -.«Fratel Biagio ha vissuto nella consapevolezza che, solo quando la povertà non è un destino che ci schiaccia, essa può essere valorizzata nel suo autentico significato di libertà interiore dalle cose. Una visione che lo rende un autentico rivoluzionario».

In apertura la presentazione nella Cattedrale di Palermo del libro “Ti posso chiamare fratello?” (tutte le foto sono dell’autrice dell’articolo)