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Volontari, non tappabuchi

La nuova legge sulle Onlus, la riforma dello Stato sociale e dell’obiezione di coscienza, il rapporto con le imprese non profit e la cultura della gratuità.

di Mirella Pennisi

Anno nuovo, vita nuova? I volontari se lo augurano e perché l?augurio non rimanga soltanto una pia intenzione per il 1998, il volontariato italiano, per la precisione 20 associazioni di base coordinate dal Movi (il Movimento dei volontari italiani), si raduna il 9-10 e 11 gennaio a Roma in una sorta di stati generali dal titolo ?Il volontariato in transizione?. Una tre giorni per discute di prospettive, futuro, ma anche per ritrovare unità. Volontario o imprenditore «Il dibattito sviluppatosi in questi ultimi tempi in seguito alla legge sulle Onlus è stato per il volontariato una forte provocazione». Luciano Tavazza, segretario della Fondazione italiana del volontariato, e autore del documento di preparazione del convegno, dà a Vita qualche anticipazione, «Non si tratta della solita discussione sul volontariato puro e impuro. La stessa legge 266/91 prevede un rimborso economico, anche se parziale.Ma esiste un problema di identità, di ruolo, di intenzioni. Perché la legge fiscale sulle Organizzazioni non lucrative ha spostato l?attenzione di tutto il Terzo settore verso la cooperazione e l?impresa sociale. E in giro c?è molta, troppa, confusione. Poi speriamo che il ?98 sia l?anno della riforma dell?obiezione di coscienza e della riforma del nostro sistema di difesa. È evidente che la nascita di un nuovo e organizzato servizio civile sarà la spinta per enormi cambiamenti nel volontariato italiano». Volontario, o imprenditore sociale questo è il problema? Cerchiamo la risposta dal presidente del Movi, Emanuele Alecci, organizzatore del convegno. «Il rischio esiste ed è tra noi: che il volontariato si trasformi in impresa, anche se sociale. Alcuni di noi guardano con disappunto alla norma sulle Onlus proprio per questo. Il Terzo settore sta diventando il luogo dove il mercato (tradotto competizione, profitto, ndr.) trova i prezzi più convenienti e a minor costo, null?altro. Noi, invece, vogliamo che il Terzo settore ricordi le sue radici culturali, anzi le riscopra: parlo della cultura della solidarietà». Insomma, il volontariato che si sente parte debole del Terzo settore si ferma per riprendere i propri spazi e probabilmente per contarsi. «Seicentomila italiani di cui il 43 per cento offre almeno 5 ore a settimana a un?organizzazione. Quasi 11 mila associazioni della gratuità censite». Luciano Tavazza incalza: «Le dirò di più: si parla del ruolo del Terzo settore come soluzione al problema della disoccupazione. Io non sono d?accordo. Non credo che il Terzo settore possa offrire molti posti di lavoro in più di quelli che già offre, circa 500 mila. Insomma si può parlare di incentivo non certo di soluzione per la disoccupazione», conclude. «Il modello anglosassone, di un non profit di ?mercato?, pieno di buone intenzioni e opere di beneficenza non è per noi». Giampiero Rasimelli, presidente del Consiglio nazionale dell?Arci non si fa incantare dalle enormi cifre del Terzo settore Usa che arrivano a produrre addirittura il 7 per cento del prodotto interno lordo. No al business del sociale «Noi crediamo – dice Rasimelli- di poter dare un contributo originale. Sconfitte le idee neoliberiste e le ricette stataliste, nella costruzione di un nuovo Welfare il Terzo settore può non solo essere un punto di riferimento, ma anche uno strumento di correzione della storture di un sistema integrato tra pubblico e privato». Quindi, per Rasimelli, il Terzo settore deve affondare le sue radici culturali nella cultura della solidarietà e della gratuità e non nell?impresa, anche se sociale: «L?Arci è insieme volontariato, associazionismo e cooperazione. Ma per essere chiari: noi non vogliamo che il Terzo settore si trasformi nel business del sociale. Io credo che sia proprio questo il ruolo futuro del volontariato: un ruolo culturale, di formazione alla gratuità e quindi di prevenzione». Claudio Calvaruso, sociologo e membro della Conferenza nazionale dei presidenti della associazioni di volontariato guarda in avanti: «Il volontariato deve puntare ad avere, all?interno del Terzo settore, e quindi del Forum del Terzo settore, una maggiore presenza e peso. Volontariato come portatore di una cultura della solidarietà, centro di sviluppo di relazioni nuove diverse. Quindi sviluppo dell?informazione fino a incidere sulle decisioni politiche». Sta parlando di una rappresentanza anche autonoma? «Anche. Un luogo attraverso il quale sia possibile trasferire i valori e le energie del volontariato alla società civile e alle istituzioni». «Il Forum del Terzo settore- cvonclude Calvaruso- in cui il volontariato, chiarita la sua identità, si proporrà con più forza, potrà essere un luogo dal quale si possa esprimere una politica nuova». Il dibattito continua, l?appuntamento è a Roma per il prossimo 9 gennaio.


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