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Famiglia & Minori

Faccio mea culpa su Saddam

È stata l’inviata-simbolo della seconda guerra del Golfo. Intervista a Giovanna Botteri.

di Redazione

Sarah, «con l?acca mi raccomando», si chiama così perché è un nome internazionale «che significa belle cose sia in arabo sia in israeliano. È, allo stesso tempo, la luce del deserto e la principessa». Sarah frequenta la quinta ginnasio al Mamiani, storico (istituito nel 1884) liceo classico della Roma bene, e abita da nove anni in una bella casa sul Gianicolo nel cuore del quartiere di Monteverde vecchio. Il terrazzo è un tripudio di piante e fiori. Bouganville e gelsomini la fanno da padroni. Per lei il trasloco dalla vecchia casa di Trastevere non deve essere stato un grande stravolgimento. Del resto aveva appena sei anni. Per la mamma invece è stata una scelta di vita: «Ha significato finalmente mettere le radici, non so se riesco a spiegarmi?». Sarà perché a Trieste non crescono le bouganville e tanto meno i gelsomini, ma quando Giovanna Botteri, inviata di guerra della Rai e conduttrice Tg3, anchorwoman dalla voce metallica (e dal fisico da nuotatrice, qual è: due chilometri al giorno in piscina), parla del suo terrazzo, lo fa con trasporto reale. Malgrado gli anni e le nuove radici romane, però, il cordone ombelicale con la sua città natale non si è mai spezzato. A Trieste, Giovanna è nata e cresciuta sotto l?ala protettiva del papà, anche lui giornalista Rai e della mamma serbo montenegrina (Mantic, il cognome) da cui ha ereditato la lingua, che parla correttamente come l?inglese e il francese. Parigi, dopo Trieste e Roma, è stata la terza città della sua vita, in quella città prima ha conseguito il dottorato in storia del cinema alla Sorbona e poi ha dato al mondo Sarah. A incuriosire, in casa Botteri, oltre ai fiori ci sono montagne di veli, burqua, chador, jelabar, tuniche provenienti da tutto il Medio Oriente (Iraq, Iran, Algeria, ma Pakistan soprattutto) e pile di quaderni a righe. «Sono oggetti estremamente significativi per avvicinarsi alle altre culture. Quelli dei Paesi arabi sono costruiti al contrario, con la copertina in fondo, perché loro scrivono da destra a sinistra e spesso nella controcopertina ci sono riportati versi del Corano. In Iran i quaderni sono completamente neri, in Iraq invece sono più vivaci con disegni di fiori o pulcini». Il pensiero di Giovanna è spesso rivolto all?infanzia. I telespettatori se ne accorgono vedendo i suoi tanti servizi che raccontano di figli, di mamme e di padri. Ma lo si può scoprire anche da Sadr City, il poverissimo quartiere sciita di Bagdad controllato da Moqtada Al Sadr: qui sciami di bambini vestono le tutine ufficiali della Lazio o la maglia numero nove di Di Canio. Dono della biancoceleste Botteri, «i romanisti hanno la puzza sotto il naso, io, da burina, non sono stata accettata. I laziali, invece, almeno sotto questo aspetto sono più democratici». Il conto alla rovescia degli ultimi dieci anni, però non inizia dall?amato Medio Oriente. Ma dalla Somalia. Era il 1994, infatti, quando i suoi colleghi Ilaria Alpi e Miran Hrovatin vengono freddati a Mogadiscio. E Ilaria era l??amichetta del cuore? di Giovanna. Miran il ?suo? operatore prestato per una volta alla collega. Vita: Brutto anno il 94, vero? Giovanna Botteri: è l?anno nero di Sarajevo. Prima la strage del pane, con la gente che aspettava in fila. Poi i bambini che scendevano dalla collina, uccisi da un colpo di mortaio, quindi la strage del mercato, in cui muoiono 80 persone. Io e Miran arriviamo sul luogo pochi minuti dopo il massacro. Terribile. In quel momento Miran decide che non ce la fa più. Troppa pressione. Vuole cambiare aria. Per questo va a Mogadiscio con Ilaria. Io invece resto. Ma fra tante tragedie la fotografia che mi rimane stampata nella mente è quella di alcuni sacchetti di un grande magazzino che ho visto dentro una trincea in mezzo ai soldati morti. Venivano da un grande magazzino di Trieste. Quando ero bambina ogni giorno davanti a quel negozio c?erano file di sloveni, croati, serbi, macedoni e bosniaci in cerca di jeans americani, caffè e bambole. Quell?immagine ha distrutto per sempre i miei ricordi di bambina. L?anno successivo c?è la controffensiva croata nelle Kraine, quindi finisce la guerra in Bosnia e nel 96 a Sarajevo succede qualcosa di straordinario. Vita: Cosa? Botteri: C?è il concerto degli U2. Da ogni angolo della ex Jugoslavia arriva gente che non si vedeva da quattro o cinque anni. Fu un momento di grande speranza e commozione. Poco tempo dopo i Balcani impazziscono di nuovo. Prima in Albania e poi in Kosovo. Vita: Tanti anni in prima linea. Qual è la ricetta giusta per portare la guerra nelle case degli spettatori? Botteri: Io lo faccio, raccontandola nelle cose più piccole, nelle storie minime. Le storie che tutti conoscono perché sono le storie quotidiane dei bambini, delle donne, della casa, del cibo, della paura, della luce e della notte. Sono queste le storie universali, quelle che la gente può condividere. Certo puoi raccontare la guerra anche con le grandi battaglie, con le strategie geopolitiche. Ma questo si può fare anche da casa, da una biblioteca, con Internet. Ma raccontare un avvenimento così grande, così drammatico con le piccole cose credo che lasci un segno più profondo e renda tutto più comprensibile per chi ti guarda. Solo in questo modo si riesce a rispettare il confine fra finzione e realtà. Vita: Si riconosce in un modello? Botteri: Tiziano Terzani è il mio maestro di giornalismo. Lui si avvicinava alla realtà con curiosità, interesse, senza pregiudizi. Ho sempre ammirato la sua passione, perché anche quando ti spinge a sbagliare, ti consente di poterlo ammettere. Vita: È capace di ammetterne qualcuno? Botteri: Mi sono sbagliata nel racconto di cos?era l?Iraq sotto Saddam. Certamente alcuni aspetti di quel Paese non potevano emergere sotto il Rais, perché nessuno osava aprire bocca. Quando il dittatore è crollato e la gente ha incominciato a raccontare io ho sentito il peso del loro silenzio, che era anche il mio. L?attimo cruciale è stata l?apertura delle carceri, avvenuta nel 2002, quando ad Abu Ghraib (lo stesso in cui sarebbero poi avvenute le torture per opera degli americani) sono arrivate le donne, le madri, le mogli, le sorelle e le figlie. Erano per lo più sciiti in cerca dei loro uomini, uccisi chissà dove e chissà quando dalla polizia di Saddam. Il mio rimpianto è di non aver tenuto presente questo aspetto nel mio racconto quotidiano. In Iraq allora convivevano due sentimenti: il no alla guerra e il no al regime. A un certo punto è come se queste due pulsioni diventassero concorrenti e invece non era così. Io non sono stata in grado di uscire da questa morsa. Vita: Adesso ritornerebbe a Bagdad? Botteri: In questo momento non potrei fare il mio lavoro. I colleghi che sono in Iraq stanno chiusi in albergo, non possono muoversi. Io faccio l?inviata, racconto un Paese, racconto la sua gente. Vita: E allora dove andrebbe oggi l?inviata Botteri? Botteri: In Iran. È un Paese chiave per comprendere quello che sta succedendo in Medio Oriente: è la nazione sciita più importante, tutti i grandi ayatollah iraniani provengono dalle città sante irachene. Lì sta la chiave per comprendere il futuro della regione. Nella moschea di Qom, dove c?è la più importante scuola coranica, tutti gli studenti hanno il pc e studiano sul pc. Entrare in un grande magazzino di Teheran è come entrare in un megastore di Milano o Roma. È un Paese che si sta modernizzando alla velocità della luce. Vita: E allora, perché non prende un aereo per l?Iran? Botteri: Perché il mercato funziona in modo strano e conviene che io stia a Roma. Perché sembra che l?unica cosa che interessi sia lo stillicidio dei numeri dei morti. Ritornello di cui io ho una paura terribile. Ho timore che la gente finisca per stufarsi, che dica: «Ah, un?altra autobomba, che noia». Perché se tu non racconti le storie e le facce, diventa tutto virtuale, senza volto. Che cosa vuol dire 10, 20, 30 morti, se non riesci a dargli un volto, se non capisci che sono persone con famiglie, con sogni, con speranze. Se non mostriamo i volti, queste stragi non ci toccano più, non ci fanno più male. Vita: Botteri, Simoni, Capuozzo. Da dieci anni a questa parte i nomi degli inviati sono sempre gli stessi. I vostri servizi, invece, sono molto diversi da allora. Cos?è cambiato? Botteri: Ricordo, nel 94, da Sarajevo noi tutti abbiamo inviato corrispondenze davvero straordinarie. Poi, prima con l?Afghanistan, poi definitivamente con l?Iraq, siamo stati vittima di un?esplosione mediatica e siamo entrati definitivamente nel mondo dello spettacolo. Ci è richiesto un uso indiscriminato della diretta. E questo è in antitesi con il lavoro di inviato, che prima deve indagare, vedere, scoprire. Adesso invece, basta dimostrare di esserci, basta farsi riprendere di fronte a un grande albergo di Bagdad e poi tornare in stanza. Così noi inviati televisivi siamo diventati famosi, tutti ci riconoscono. Ma per la qualità dell?informazione è un vero e proprio boomerang. Vita: Quanto costa un inviato della tv pubblica? Botteri: Dipende da dove vai. Vita: Diciamo a Bagdad. Botteri: Gli autisti vanno dai 100 ai 150 dollari al giorno. Gli interpreti si aggirano sugli stessi prezzi. L?albergo costa 100 dollari. Poi c?è il satellite a cui va aggiunto il mio stipendio da inviato al minimo sindacale. Vita: Mai subita una censura? Botteri: Mai. Vita: Lei è in Rai dall?inizio della sua carriera. Passerebbe a Mediaset? Botteri: (dopo una pausa di qualche secondo) No. Nemmeno se mi offrissero di più. Mi piace il padrone che ho. Vita: Qualcuno dice che è lo stesso della concorrenza. Botteri: Il nostro editore è il Parlamento. Ogni cinque anni si vota, oggi è così, domani chissà. Vita: Intanto però Raidue ha scatenato l?Isola dei Famosi proprio contro il vostro telegiornale. Botteri: Così oltre che contro i quiz di Canale 5 e di Rai 1 ci tocca competere anche con le tette e i culi dell?Isola. Mi sembra un controsenso. Meglio l?effetto di una strategia che se ne strafrega dell?informazione di un certo tipo. Vita: Per rimanere in casa d?altri: terremoto al Tg5, via Mentana, dentro Rossella. Come valuta questo passaggio di testimone? Botteri: Mentana è un grandissimo giornalista, a me personalmente piace molto. Ma non credo che il suo addio farà crollare gli ascolti del Tg5. Lo hanno rimpiazzato con un altro peso massimo. Rossella, che ha diretto anche il Tg1, è un professionista di primissimo piano. Vita: In Rai intanto continua a brillare la stella di Vespa: Porta a Porta è un programma di informazione? Botteri: Dire il contrario sarebbe come chiudere gli occhi. Come la fanno Costanzo, Striscia la notizia e le Iene. In realtà c?è informazione soprattutto in programmi di intrattenimento, così certi messaggi vengono fatti passare in modo scanzonato, ma sotterraneo. Vita: Badaloni, Santoro, Marrazzo, Gruber, Selva, Del Noce e via discorrendo. La lista dei giornalisti entrati in politica è sempre lunga. Non è che anche lei ci sta facendo un pensierino? Botteri: Trovo il lavoro che faccio bellissimo, è quello che ho sempre sognato di fare, è una sorta di linea del fronte. Anche se devo dire che la Gruber a Bruxelles ci sta facendo fare un?ottima figura, parla perfettamente quattro lingue e dà dello spago ai politici di professione.


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