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Economia & Impresa sociale 

Cooperazione e competizione: perché devono essere sinonimi.

di Johnny Dotti

Cooperare e competere: non siamo abituati ad associare questi verbi. Sbagliamo: non c?è opposizione fra essi. Anche dal punto di vista etimologico, competere vuol dire «andare insieme» e il riferimento mi è utile a suggerire la tesi che vorrei proporre: cooperare è la forma evoluta di competizione. Perché oggi è importante affermare questa relazione? Perché i due temi vengono sempre contrapposti, attribuendo al cooperare un sapore antico mentre la competizione è descritta come cifra della modernità. L?abbiamo sentito tante volte. Non c?è miglioramento senza competizione, non c?è selezione delle persone senza che debbano competere. Insomma, oggi si attribuisce all?idea del competere una valenza positiva, che ritengo del tutto infondata. Quali sono infatti i concetti cui ?competizione? rinvia? L?opposizione vincere e perdere; l?idea che il mondo debba essere diviso in vincitori e vinti e che sono i primi quelli che vale la pena di seguire, di ascoltare. Si tratta di una visione lineare, direi semplicistica dei rapporti. Solo il vincitore diventa importante. Questo non aiuta a immaginare che solo sbagliando si impara; che gli errori sono fondamentali nel competere; che la competizione ha bisogno di regole, che non puoi competere da solo; che l?alternanza dentro i gruppi sociali fra il vincere e il perdere, è positiva. Non aiuta soprattutto a ricordare che la vera preoccupazione non è chi vince o chi perde, ma il bene comune. ?Passa? quindi e viene accolta come verità quella vecchia massima: «Mors tua, vita mea». Viceversa, mettere in relazione l?idea di cooperare e quella di competere, vuol dire includere in senso positivo il perdente. Esiste poi una cultura pratica della cooperazione: in una situazione complessa come quella che viviamo, un?idea competitiva non può essere che distruttiva. Appartengono alla complessità, la visione globale, l?apprendimento costante per errori e prove. Non è possibile pensare diversamente il governo della complessità. Purtroppo, la cooperazione ha un?immagine stantìa nella nostra società. Sconta il fatto di essere considerata come una sorta di metodologia marginale. Di fatto è stata marginale, non ha svolto un ruolo da protagonista, si è giocata dentro delle nicchie. Qualche esempio? Niente di più intelligente e moderno di avere scuole gestite sotto forma cooperativa. Una modalità molto più efficiente ed efficace dei decreti delegati, ma che non è stata promossa. La cooperazione sociale è un altro esempio. Le cooperative sociali si interessano del bene pubblico coinvolgendolo, in maniera efficiente ed efficace, e ottengono risultati che altre forme di coinvolgimento non sanno ottenere. Quindi, cooperare come miglior forma di competere, superando il dualismo tradizionale da cui siamo partiti. È possibile su questo terreno un incontro fecondo fra profit e non profit. Il non profit è cooperativo nell?anima e ha bisogno di uscire da una nicchia di collocazione sociale ed economica. Il profit sta invece scontando i molti limiti della competizione esasperata. Questo incontro è un atto di responsabilità che ciascuno deve far proprio.


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