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Fronte anti coca

In Italia c’è una rete di 14 strutture targate Fict che da almeno due anni sta combattendo in prima linea per salvare dalla droga laureati e padri di famiglia.

di Redazione

Gli invisibili sono maschi, fra i 33 e i 40 anni, laureati, sposati, con la ventiquattrore in mano e la carta di credito nel portafogli. Ma gli invisibili sono cocainomani. Come lo erano l?attore Calissano e il rampollo Elkann prima che la loro tragedia esplodesse nell?arena pubblica. E prima di loro il pibe de oro Maradona e il pirata Pantani. Famosi o meno famosi, comunque invisibili. «Siamo di fronte a una generazione di consumatori integrati nella vita sociale. Dimenticatevi il tossico sbattuto in un angolo con la siringa nel braccio», denuncia don Egidio Smacchia, presidente della Fict, la Federazione italiana comunità terapeutiche. Il suo network già due anni fa è sceso in trincea per fronteggiare un?emergenza che sembrava e sembra inarrestabile. Oggi sono 14, su 50, le strutture targate Fict pensate per chi ?pippa? e distribuite lungo tutto lo stivale: Bolzano, Torino, Varese, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Firenze, Arezzo, Prato, Pistoia, Spoleto, Viterbo, Pescara e Avellino. «Nel 1998 la cocaina era la sostanza primaria d?abuso solo per il 3% dei pazienti, nel 2003 abbiamo registrato un aumento nei valori assoluti del 230%», si legge in una relazione presentata dal ministero della Salute. Le statistiche del Dipartimento nazionale antidroga confermano che in Italia i consumatori nella fascia d?età fra i 35 e 44 anni sono raddoppiati fra il 2001 e il 2003. «Gli abbiamo chiamati invisibili perché chi fa uso di coca ha una condizione sociale ordinaria e quindi non si riconosce e non viene riconosciuto come un tossico», spiega Maria Federica Massobrio, responsabile del centro di Varese e coordinatrice del tavolo tematico Fict sulla cocaina. Invisibili anche perché sfuggenti. Le tendopoli di eroinomani di fronte a San Patrignano ormai sono storia. «è difficile che un cocainomane cerchi aiuto in prima persona, nella maggior parte dei casi sono parenti, amici o colleghi a metterci in contatto con loro», continua la Massobrio. I drogati cambiano. E le comunità che fanno? Secondo Paolo Fioravanti, del Centro di solidarietà di Firenze, «è giunto il momento di darci una svegliata». «Non si può pensare di rinchiudere un cocainomane per due anni in una comunità con il rischio che, oltre alla faccia, perda anche il lavoro e la famiglia. Queste persone richiedono soprattutto privacy», interviene Alessandro Dionigi, coordinatore del Pettirosso di Bologna, comunità che il Dipartimento nazionale antidroga sta prendendo come modello per la costituzione di centri specializzati. Per centrare l?obiettivo la rete delle Fict ha quindi elaborato due tipi di risposte. Il percorso classico-tradizionale, con interventi di disintossicazione residenziale, e il percorso innovativo di tipo ambulatoriale. «Il nostro centro rientra nel primo elenco», interviene la Massobrio, «ma il programma di recupero non dura mai più di 3/6 mesi. Nella fase acuta la nostra équipe formata da educatori, psicologi, psichiatri, medici e infermieri interviene anche con la somministrazione di farmici stabilizzatori dell?umore, successivamente incomincia il lavoro di analisi». Con quali modalità? «Il passaggio cruciale consiste nel riposizionamento di sé. I pazienti devono comprendere che non sono dei super uomini». Antonia Arganese, del gruppo Solidarietà di Pescara, propone invece «un intervento ambulatoriale e personale». «Di sera organizziamo incontri di gruppo e durante il giorno ci dedichiamo ai colloqui personali. Richiediamo però che alla psicoterapia partecipi anche la coniuge o la compagna: deve essere un lavoro di coppia». È ambulatoriale anche il sistema attuato da Fioravanti a Firenze: «Abbiamo però aggiunto il controllo delle urine in modo da testare passo dopo passo il grado di recupero». Ma quanto è efficace il metodo Fict? Dal gennaio 2003 al maggio 2005 sono stati ricoverati 503 utenti. In 328 (il 65%) hanno intrapreso la terapia. Significativa la scelta dei percorsi di recupero: solo il 24% degli utenti ha infatti aderito a un percorso residenziale, il 67% ha invece optato per l?ambulatoriale e il 9% per la comunità breve. Forse gli invisibili hanno incominciato a farsi vedere.


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