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Famiglia & Minori

Oefanotrofi addio, scocca l’ora delle ‘alternative’

L’Italia senza più istituti vista da un esperto: intervista a Alessandro Salvi: «Le isole felici non bastano. Serve una regia generale sul funzionamento dei servizi»

di Benedetta Verrini

La sensazione, alla fatidica scadenza della chiusura degli istituti per minori, «è che ci si sia impegnati più su quello che si doveva chiudere che su quello che si doveva aprire». Così Alessandro Salvi, responsabile Progettazione e sviluppo dell?Istituto degli Innocenti di Firenze, vede l?Italia dell?accoglienza all?indomani della deadline imposta dalla legge 149. Alcune regioni come Puglia, Calabria, Sicilia e Campania hanno ancora istituti nel senso tradizionale del termine, ma è solo questione di tempo: il percorso per l?azzeramento di queste strutture è avviato. La domanda che resta, a fronte di un dato costante di minori fuori dalla famiglia (circa 30mila) e di nuove emergenze (stranieri, nuove povertà), è una sola. Cosa è stato predisposto per loro in alternativa all?istituto? Per Salvi «la sensazione», dice, «è che dal 2001 ad oggi siano state poco potenziate risposte alternative e diffuse alla chiusura degli orfanotrofi, risposte che incontrassero le esigenze, molto differenziate, dei minori fuori dalla famiglia. Su tutto, evidentemente l?affido è cresciuto ma ha bisogno di svilupparsi ancora di più e le strutture residenziali, familiari o di tipo familiare, vanno analizzate in modo approfondito, per capire quanto rispondano alle emergenze del territorio».

Vita: E quanto siano differenti dagli istituti vecchia maniera. È ben nota l?accusa, da parte di molte realtà associative, che gli istituti si siano chiusi solo in senso edilizio…
Alessandro Salvi: È accaduto, certo. Ma per fare un vero passo avanti, riguardo a questo che è un vero e grande problema, bisogna uscire dal ?preconcetto? che gli istituti possano decidere da soli la propria trasformazione. Non è così. Sono le leggi regionali e gli stessi enti locali che decidono il ricollocamento dei minori. Perciò il problema sta a monte: dobbiamo analizzare in che modo le realtà territoriali si siano date e abbiano imposto all?intero sistema dell?accoglienza dei minori un percorso di riqualificazione.

Vita: L?hanno fatto?
Salvi: Alcune sì, come Veneto, Toscana, Emilia-Romagna. Altre sono rimaste più indietro, e hanno finito per lasciare un vuoto di gestione che ha pesato.

Vita: Quanto pesa sulla situazione dei minori questa ?regionalizzazione??
Salvi: Dal 2001 ad oggi sono accadute molte cose. A livello statale è stata emanata una norma, il decreto ministeriale 308/ 2001, che ancora oggi costituisce il riferimento generale sugli standard minimi delle strutture e ha fissato il tetto massimo di 10 utenti per le comunità residenziali e di 6 per le case famiglia. Ma contemporaneamente la riforma del titolo V della Costituzione ha creato una generale difformità territoriale nelle politiche sui minori. E questa minore integrazione nel coordinamento tra Stato e Regioni pesa sempre più oggi, dove gli enti locali sono stretti tra una generale penuria di risorse e la necessità di mantenere la tenuta dei servizi. Su tutto, si avverte la mancanza dei Liveas, i livelli essenziali delle prestazioni sociali senza i quali non c?è uniformità né una chiara esigibilità dei diritti.

Vita: L?affido ha conosciuto una fase di crescita, ma sembra essere anche la misura più esposta a questa Italia dei servizi a ?macchia di leopardo?, non trova?
Salvi: È vero. Ma bisognerebbe anche chiarirci su quale tipo di affido stiamo discutendo. Quello fissato dalla legge 149, cioè temporaneo, consensuale, mirato al rientro nella famiglia d?origine, è del tutto residuale. Oggi in Italia il grosso degli affidi è di tipo giudiziale, brevissimi oppure lunghissimi. I servizi territoriali si trovano a lavorare sull?emergenza e difficilmente riescono a costruire un progetto individuale di recupero per il minore. Questa realtà è ben poco coerente con lo spirito che ha animato la legge 149.

Vita: Qual è il bandolo della matassa?
Salvi: Deve arrivare dalla stesura dei livelli essenziali di assistenza, dalla creazione di questa ?cornice? nazionale all?interno della quale si inseriscono, a livello regionale, i percorsi di riqualificazione dei servizi per i minori e, sul piano territoriale, la stesura di un buon piano sul caso del singolo bambino. Non ci sono scappatoie, e anche le ?isole felici? non ci condurranno, da sole, fuori dall?emergenza minori. Solo avendo una regia generale sul funzionamento dei servizi si arriva a una buona gestione della risposta verso i singoli.


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