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La violenza gratuita di quelle ruspe

Editoriale de La Casa della Carit

di Riccardo Bonacina

Lunedì 10 settembre è stato sgomberato il campo rom di via San Dionigi, a Milano. Un fatto che ha lasciato pieni di sgomento quanti in questi anni hanno lavorato per costruire con gli ospiti di quel campo un pacifico cammino di integrazione. Silenziosi protagonisti di quest?esperienza sono stati gli operatori della Casa della carità di don Virginio Colmegna. Proprio loro hanno scritto questa riflessione, pacata ma anche drammatica. La facciamo nostra, sia perché il campo era a poca distanza dalla redazione di Vita, sia perché è una testimonianza di condivisione disinteressata e di una dimensione di civiltà che nelle nostre città sembra esser un bene sempre più raro.

Diversi anni di presenza nel campo di via San Dionigi, nostra e di associazioni come la Nocetum dell?infaticabile suor Ancilla, e di rapporti umani costruiti con le famiglie che vi abitavano hanno segnato le nostre vite e caricato i nostri cuori e le nostre menti di legami, che ora aumentano la nostra responsabilità. Sono stati anni che ci hanno visto stare nel mezzo del loro accampamento, incendiato più volte e ricostruito sempre con maggior impegno. Un lungo periodo che ci ha visto stare al loro fianco nell?accompagnare i bambini a scuola seguendoli quotidianamente nel loro percorso di inserimento scolastico, con tante fatiche, ma anche con tanti risultati riconosciuti dalle stesse insegnanti, che oggi li rivogliono ancora nelle loro classi. Tutti insieme abbiamo anche condiviso l?impegno per cercare un lavoro regolare, che consentisse loro di vivere in modo onesto e nella legalità. Molti hanno già un?occupazione e, proprio in questi giorni, stiamo avviando una cooperativa nel settore del recupero di bancali.

In quest?area fatiscente era stato fatto anche un allacciamento fognario per i servizi igienici. Non era quindi solo un insediamento (come tanti purtroppo presenti nell?area metropolitana) che destava allarmi sul piano sanitario, come l?Asl giustamente ha evidenziato, ma un territorio dove è nata un?esperienza umana sinceramente promotrice in modo attivo di socialità e legalità, come da tempo invochiamo insieme alle stesse istituzioni. Gli abitanti del campo hanno sempre respinto altre persone che chiedevano di entrare dopo altri sgomberi avvenuti in zona. Con loro abbiamo sempre tenuto aperto un confronto impegnativo per far crescere la legalità contestualmente alla promozione di diritti e di responsabilità. Non è la burocrazia che dà a un campo la patente di regolarità, ma l?esperienza umana che lì si svolge. E a San Dionigi, insediamento formalmente irregolare, esisteva ed era riconosciuta e apprezzata questa esperienza anche se ovviamente poteva, e doveva, ancora crescere e qualificarsi sempre di più.

Eppure il campo è stato sgomberato, una mattina: sono usciti tutti in modo pacifico, sembrava quasi un esodo biblico, e abbiamo visto entrare immediatamente le ruspe a distruggere le loro baracche appena ricostruite dopo l?incendio. Ma perché tanta violenza, proprio dove le stesse istituzioni hanno riconosciuto che era un?esperienza positiva?

Abbiamo deciso inoltre di non accettare, e neppure di diventare ostaggio, della consueta protesta e delle strumentalizzazioni di parte. Per questo scegliamo di rilanciare con il silenzio e il digiuno (per molti di noi anche la preghiera) questa esperienza alla città, a chi vi abita, alle istituzioni tutte. Con le nostre motivazioni ci mettiamo nel mezzo ancora una volta, rendiamo visibile il nostro silenzio e la nostra inquietudine, portiamo su di noi e con noi il valore irrinunciabile della condivisione.


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