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Incidenti sul lavoro, ancora vittime

Cinque operai deceduti in poche ore: Dopo l'ondata di indignazione provocata dalla tragedia nell'acciaieria ThyssenKrupp, non si arresta la catena delle cosiddette morti bianche

di Riccardo Bonacina

Cinque lavoratori morti in poche ore, vittime di altrettanti incidenti sul luogo di lavoro. Dopo l’ondata di indignazione provocata dalla tragedia nell’acciaieria ThyssenKrupp, non si arresta la catena delle cosiddette morti bianche che continua a colpire da nord a sud della penisola. Un operaio di 55 anni, di Jesolo, è morto stamani all’Arsenale di Venezia. L’uomo è stato travolto da alcune travi che erano state accatastate in vista della messa in opera ed è rimasto ucciso sul colpo. Valenza (Alessandria). Un’altra vittima sul lavoro a Valenza, si tratta di un operaio cinquantenne che prestava servizio come capo turno presso il Gruppo Terreal-Italia San Marco Laterizi. Un operaio di 22 anni, della provincia di Frosinone, ha perso la vita questa mattina mentre stava lavorando alla realizzazione della rete fognaria a Cecchina, nella provincia di Roma. Melfi. Tragedia alla Fiat di Melfi dove si produce la Grande Punto. Un operaio è morto schiacciato dal macchinario che stava pulendo. Vignola (Modena). Un carpentiere di 37 anni, originario di Brescia, Marco Gagliardi, è morto nel primo pomeriggio mentre lavorava alla costruzione di un solaio del nuovo centro polifunzionale in costruzione a Vignola, nel modenese.
VITA Magazine: l’editoriale La dignità del lavoro, prima questione sociale di Riccardo Bonacina La storia e le facce di Antonio Schiavone, di Bruno Santino, di Roberto Scola, di Angelo Laurino, operai morti alla ThyssenKrupp di Torino, acciaieria in via di dismissione, lo scorso 6 dicembre; le facce, il dolore e la rabbia dei loro familiari e compagni sono riusciti a far sobbalzare, almeno per un po?, l?Italia, aggiungendo spessore di esperienza, di sofferenza, e perciò di vita alle statistiche di per sé già orribili. Come ha sottolineato l?Eurispes pochi mesi fa in un?indagine commissionata dal Parlamento: «Infortuni sul lavoro: peggio di una guerra». Dall?aprile 2003 all?aprile 2007 i militari della coalizione che hanno perso la vita in Iraq sono stati 3.520, mentre, dal 2003 al 2006, nel nostro Paese i morti sul lavoro sono stati ben 5.252. Un incidente ogni 15 lavoratori, un morto ogni 8.100 addetti. La loro storia, e quella dei loro compagni Rocco Marzo, Giuseppe de Masi e Rosario Rodinò, ancora ricoverati in gravissime condizioni, la loro vicenda di giovani operai che accumulano ore di straordinario in quel che resta della fabbrica fordista, per poter immaginare con un poco meno di ansia quel che sarà di loro e dei loro cari, e di un lavoro da reinventare a 35/40 anni, una volta che il mostro siderurgico chiuderà i battenti, in cerca di altri lidi e altra e più conveniente mano d?opera per fare più profitti, è una vera icona delle trasformazioni del lavoro oggi. La loro vicenda, infatti, non mette in rilievo solo le inefficienze dei sistemi di sucurezza e dei controlli (7mila ispettori per 5 milioni di aziende), o le vergogne di uno Stato che prende senza dare (il tesoretto Inail di 12 miliardi di euro prelevati ai lavoratori che hanno visto ridursi gli indennizzi in caso di infortunio o malattie professionali), o, ancora, tutti gli affanni di un sindacato che neppure riesce a difendere il potere d?acquisto dei salari. No, quel dolore urlato nelle strade di Torino rompe il silenzio su tutte le sconcezze consumate sul lavoro come «chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale». Aveva giustamente sottolineato il papa operaio Giovanni Paolo II nella Laborem exercens nel settembre 2001, l?ultima grande riflessione sul lavoro che io ricordi. Non stiamo parlando del mercato del lavoro duale: da un lato chi ha contratti a tempo indeterminato, e da un altro chi salta da un contratto a termine a un contratto a progetto, o simili. Non stiamo parlando della sicurezza sul lavoro, ma di qualche cosa che sta prima, e di cui l?insicurezza è solo un?ovvia conseguenza. No, come insegna la tragedia di Torino, la questione è più grave e più complessa. Più grave, perché sono sempre più evidenti i segni di uno schiavismo di ritorno ed evoluto, nelle case degli italiani, nelle redazioni dei giornali, sui cantieri edili, nei campi, nei servizi. E nessuno si senta escuso, neanche il Terzo settore e la cooperazione sociale. La questione del lavoro lo riguarda, riguarda 6mila cooperanti in giro per il mondo con contratti aleatori, riguarda la cooperazione sociale e i suoi contratti a termine e i 900 euro al mese. Tutti devono fare i conti con questa tendenza alla messa al lavoro delle vite degli individui senza riconoscere dignità, valore, e quindi un minimo di assicurazioni e prospettive. [..] Continua a leggere l’editoriale, in edicola con VITA Magazine e online per gli abbonati!

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