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Cluster bomb: l’Italia le mette al bando ma non se ne libera

Siglato l'accordo internazionale a Dublino. Le bombe grappolo rimangono in dotazione alle basi Usa in Italia. Intervista a Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna Mine

di Benedetta Verrini

La Conferenza di Dublino per la messa al bando delle bombe a grappolo chiude oggi con un trattato dalla portata se non storica, certamente fondamentale. L?accordo, raggiunto da 109 delegati presenti a Dublino fra cui quelli italiani, prevede il disarmo totale degli arsenali di cluster bombs, senza alcun tipo di distinzione tra ordigni più o meno evoluti, entro 10 anni (non 8, come era emerso nei giorni scorsi), e una grande attenzione alle vittime, con un programma di sostegno che fa tesoro di dieci anni di lavoro accanto ai mutilati delle mine antiuomo.

Il retroscena più interessante di questa settimana di discussioni riguarda certamente il premier inglese Gordon Brown, indicato da tutti come la ?colomba? che ha trainato la conferenza alla sua felice conclusione, ?ma che in realtà nei primi giorni di conferenza aveva fatto dichiarazioni tali da far pensare che la Gran Bretagna sarebbe stato il convitato di pietra. Sul suo cambio di direzione devono aver pesato moltissimo le pressioni dell?opinione pubblica inglese, che ha ancora vivo il ricordo di Lady Diana come testimonial della campagna mine, e la ricerca di un rilancio del Labour?, commenta Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna Mine e tra gli operatori di ong delegati a Dublino.

Disarmo, sostegno alle vittime: quali altri obiettivi centra il testo raggiunto con questo Trattato?
E? stato cancellato definitivamente l?articolo che prevedeva un periodo di transizione tra la messa al bando e la produzione e il commercio di cluster. Si trattava di un passaggio aberrante, in cui alcuni Stati chiedevano uno spazio di 15 anni in cui avrebbero di fatto smaltito commercialmente i propri arsenali. L?altro grande gol riguarda l?impegno di ?moral suasion? che i paesi firmatari assumono nei confronti dei non firmatari.

Che sono di un certo peso: India, Pakistan, Cina, Russia, Stati Uniti, Israele. C?è qualche speranza che si facciano convincere?
Certamente no. Ma la stigmatizzazione pubblica e le campagne di pressione delle ong fanno il loro effetto anche a loro. Non a caso, pur non avendo firmato la Conferenza di Ottawa sulle mine antiuomo, non risulta che oggi queste potenze belliche commercino mine.

E l?Italia come si è comportata?
E? stato subito chiaro che il nostro Paese avrebbe mantenuto un atteggiamento da alleato leale, ma comunque dialogante con la società civile, e questo è stato importante.

Anche noi abbiamo arsenali e produzioni da mettere al bando?
Dal punto di vista strettamente produttivo, sul territorio italiano c?è soltanto la Simmel Difesa, società controllata da un gruppo inglese, che aveva in catalogo due modelli di cluster. In realtà dal 2005 non ne sono stati prodotti ne? commerciati, non per una scelta aziendale ma per il solo fatto che non ha ricevuto ordinazioni. Per quanto riguarda gli arsenali, l?Italia ha una dotazione di bombe a grappolo molto esigua e obsoleta, certamente non sarà difficile smaltirla. Si stima che per questa operazione serviranno circa 8 milioni di euro. Il problema ce l?hanno Svizzera, Germania, Gran Bretagna, Australia e Canada, dove ci sono grandi arsenali e una filiera produttiva da riconvertire.

Come sarà possibile cooperare in sede Nato con le truppe Usa?
L?articolo 21 del trattato si occupa proprio di questo. E? intitolato ?Relazione con gli Stati-Non Parte? e stabilisce che se si fanno operazioni congiunte le truppe degli Stati firmatari non dovranno in nessun caso usare questo tipo di munizionamento. E ancora, se sarà uno Stato-firmatario ad avere il comando delle operazioni, non potrà ordinare alle truppe degli Stati-Non Parte di farne uso.

Cosa succede nelle basi Nato italiane?
A differenza di quanto previsto nel caso delle mine, nelle basi americane poste sul territorio italiano continueranno a esserci cluster bombs. L?italia ha infatti giurisdizione ma non controllo su quelle zone, e ha le mani legate.

Quali sono gli Stati più infestati da munizioni cluster inesplose?
Tutti i teatri degli ultimi conflitti: dall?Afghanistan al Libano, fino all?Iraq. E? decisivo che nei prossimi anni gli Stati impegnati nella messa al bando delle cluster reperiscano le risorse necessarie a garantire la bonifica dei territori e l?assistenza alle vittime. A cominciare dall?Italia, che negli ultimi anni ha ridotto il Fondo per le mine a una cifra quasi irrisoria: poco più di 2 milioni di euro per un?attività di cooperazione estremamente impegnativa. E? necessario che il governo e il parlamento prendano ora un impegno concreto. La prossima azione della Campagna mine sarà proprio quella di chiedere ai 270 senatori che hanno votato la mozione contro le cluster di giungere al più presto all?adeguamento del fondo.

UN LUNGO PERCORSO: DA OSLO A DUBLINO
Nella giornata di oggi gli Stati partecipanti adotteranno il testo finale del Trattato, e dopo questa data non potranno più essere apportati cambiamenti. Il Trattato sarà poi aperto alla firma, a tutti i paesi, anche quelli non presenti durante i lavori, ad Oslo il 2-3 dicembre 2008. Dopo aver firmato il Trattato, affinché diventi pienamente e legalmente vincolante, i Paesi dovranno ratificarlo, attraverso approvazione legislativa nazionale.

Il processo per il Trattato sulla messa al bando delle bombe a grappolo è stato lanciato ad Oslo in Norvegia nel febbraio 2007, dove 46 paesi si trovarono d?accordo nel concludere entro il 2008 un trattato che proibisse le cluster bombs ? che provocano danni inaccettabili ai civili?. Il testo del Trattato è stato sviluppato nel corso di riunioni internazionali svoltesi in Perù, Austria e Nuova Zelanda, con più di 140 paesi che hanno partecipato all?ultima fase del processo.

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