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La pena può essere certa ma anche un po’ più umana

di Redazione

Una giornata speciale
In un momento storico in cui tutti chiedono pene certe, cioè scontate fino all’ultimo giorno in galera, vale la pena leggere su Idee Libere , il giornale del carcere di San Gimignano, le impressioni di un detenuto, Antonio Faulisi , dopo un permesso premio, per capire che riassaporare la libertà gradualmente, uscendo prima dal carcere con i permessi premio, non rende la pena meno certa, ma solo più umana: «Di quel giorno non dimenticherò il momento in cui comprai le sigarette dal tabaccaio e bevvi un caffè. Ho osservato tutto ciò che mi circondava con piena curiosità: sedersi su una sedia del tutto normale mi ha creato attimi di disagio, perché ormai abituato ai soliti sgabelli che per molti anni ho usato. Ricorderò la pioggia che mi bagnava e mi tonificava: è stata una pioggia in parte piacevole e mentre qualcuno si riparava sotto l’ombrello, io ho volutamente rinunciato per godermi a pieno la natura. Tutto è stato bello, anzi stupendamente bello».

Il mistero delle donne in galera
Scrive Adriano Sofri , nella prefazione al saggio di Franco Corleone Il mistero delle donne in galera : «In un numero elevato di casi le donne detenute hanno almeno un figlio, e questo basta a rendere il loro carcere incomparabile con quello maschile, perché la distanza e la separazione obbligata delle donne dai figli – tanto più dai figli restati in un altro continente- è ben altrimenti dolorosa che quella dei padri». Forse, per rendersene davvero conto, è sufficiente leggere qualche testimonianza di donne detenute, che ricordano sempre che in carcere a loro pesa non tanto la condanna del giudice quanto il giudizio dei figli.

Mio figlio non si è suicidato!
«Suo figlio si è suicidato»: essere un famigliare di una persona detenuta può significare anche questo, che ti chiamano dal carcere al cellulare per dirti che tuo figlio si è suicidato. È successo alla madre di Niki, morto a 26 anni nel carcere di Sollicciano a Firenze, dove era detenuto con l’accusa di partecipazione a una truffa informatica. «Suicidio», le è stato detto, ma quella madre non ci crede e ha tutte le ragioni per farlo perché le morti in carcere spesso sono troppo oscure, e comunicate con parole fredde.


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